La forza e la politica

Al di qua della forza, che presiede ovunque a ogni attività che ne consegue, la politica è sempre stata – così ancor più nel “mondo” odierno proprio di un Apparato scientifico-tecnologico di cui Smizer e Severino, tra i tanti, discutevano già agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso – ed è comunicazione. Nient’altro.

Magari, molti penseranno che quanto appena detto sia un’enorme sciocchezza o piuttosto una banalità; e invece si tratta di un’opinione (tutto è opinione!) che affonda le proprie radici nel fondamento stesso dell’arte della politica, così come anticamente l’hanno caratterizzata i primi ‘scopritori’ e, nella nostra terra d’occidente, i Greci e in particolare Platone e Aristotele.

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In “Il Politico”, Platone fa dire allo Straniero: “Avanti, in quale di queste due arti potremmo considerare colui che esercita l’arte del regnare? Lo porremo nell’arte preposta a fornire giudizi, come fosse un osservatore, o piuttosto lo considereremo come appartenente a quella preposta al comando, dal momento che si tratta di un padrone?” E, a conferma di quanto qui nell’incipit, Socrate il giovane rispondere: “E come non orientarci piuttosto per quest’ultima?”.

Ma altresì, continua Platone, al politico destinatario del comando spetta anche l’arte di “curare il gregge”, a differenza di quanto invece fanno i pastori, che esercitano l’arte di “allevare” lo stesso gregge. E inoltre, occorre infine distinguere l’arte della politica, così definita vera e propria, da quella della tirannide, “chiamando ‘tirannica’ quell’arte di chi si impone con la violenza, e ‘politica’ quella che volentieri si prende cura degli uomini (letteralmente nel testo greco: animali viventi bipedi), i quali volentieri la accettano”.

E allora, come prendersi cura degli uomini al fine di far loro accettare volentieri l’arte del comando di cui il padrone è destinatario?

Sul punto, e in buona sostanza, le opinioni di Platone e Aristotele divergono. Se, per entrambi, è indiscutibile il compito del “padrone” di “curare il gregge”, tuttavia diversi sono gli strumenti di cui il padrone può servirsi in modo più o meno valido ed efficace. E tra questi, al fine di comunicare e quindi provvedere alla “cura del gregge”, la parola (o verbo) e la tragedia. In questione, l’opinione di Simon Critchley, oltre che lapidario, appare essenziale: “Aristotele si comporta da analista pragmatico, Platone da metafisico” (S. Critchley, A lezione dagli antichi, 2020).

In entrambi i casi, mediante la tecnica, in ogni caso imitativa (mimesis), della parola e della recita teatrale, il padrone assolve al compito di curare il gregge perché volentieri accetti l’esercizio del proprio potere. Egli userà la parola piuttosto che la rappresentazione per scene e immagini, o viceversa, ma ciò che essenzialmente conta è il risultato.

E allora, ci dice ancora Critchley, riportando una frase di Madame Huppert, che giunge come il fulmine di Zeus: “Ciò di cui si occupa il teatro è l’energia vitale, una certa esperienza dell’energia vitale. La sola cosa che conta è questa. Tutto il resto sono solo idee. Buone idee, forse. Ma solo idee”.

Ciak, si gira!

Angelo Giubileo  da PENSALIBERO

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