LA FORZA DELL’AMORE

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona

                                           Paolo e Francesca, Inferno, Canto V

Quasi a rifuggire dagli echi delle guerre che affliggono il mondo, anche ai confini orientali di un’Europa che ha subito le più atroci, ho voluto oggi astrarmene partendo da questo pregiato bassorilievo ligneo del tardo Medio Evo, che raffigura un uomo in età avanzata cavalcato da una giovane donna con tanto di pungolo.

Quella che, a mio giudizio, è la più fine rappresentazione dell’episodio che ha dato l’aire all’articolo di oggi. Di località imprecisata

Non è facile trovare una scena di carattere così “feticista” in mezzo alla miriade di scene atte a commemorare questo o quell’avvenimento del passato degno di rimanere nella memoria collettiva. Si tratta in genere di episodi tratti dalla narrazione biblico-evangelica o di battaglie e fatti d’armi che hanno inciso sulla storia di un popolo. Al contrario, ciò che questo bassorilievo ci mostra ha carattere non solo privato, ma altamente trasgressivo; e in quanto tale si discosta da tutti gli altri, di natura pubblica e celebrativa, nella millenaria tradizione inaugurata da grandi civiltà antiche, come l’assiro-babilonese e l’egizia, per citare le più feconde in campo monumentale e artistico.

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Qui non si tratta di proclamare la potenza di un esercito e del suo re, o memorabili passi biblici, ovvero ancora, secoli più avanti, prodigi di Gesù o di santi, ma di mettere a nudo una debolezza umana, che in tanti considererebbero una perversione; mentre, nella visione più aperta del mondo LBGTQ, non è che uno dei tanti preliminari d’amore, per insaporire il frutto finale.
Un’opera di così squisita fattura potrebbe appartenere alla collezione o impreziosire lo studio privato di qualche raffinato nobile medievale o rinascimentale, per soddisfare una sua riservata inclinazione sessuale, non certo per venire esposta alla libera visione da parte di chiunque. Eppure, si ritrova questa scena in una miriade di luoghi, non solo laici, ma persino sacri, come sulla facciata o sui capitelli di chiese o di chiostri, scolpita o intarsiata sugli scranni dei cori ai lati degli altari, su acquasantiere o sulla tomba di qualche personaggio irriverente, ecc.

Ho voluto seguire la scelta di Paola Palumbo [VEDI] nell’utilizzo del quadro di Francersco Hayez ad illustrare questo passo del secolo XI di una poesia provenzale di Beatriz de Dia, anche se la donna appare ancora in posizione subalterna all’uomo: l’amor cortese sarebbe nato solo un secolo dopo

Vorrei il mio cavaliere
Stringere nudo una sera tra le mie braccia

E che lui si sentisse felice

Solo che io gli facessi da cuscino

Chi sono dunque i due personaggi raffigurati, così iconici da infrangere ogni tabù e superare ogni barriera di natura etica o religiosa?
Si tratta di un episodio, forse leggendario, ma a maggior ragione indicativo della sua capacità di penetrare nei meandri della fantasia collettiva e imprimervi un marchio indelebile, incurante della sua veridicità e del passare dei secoli.
L’anziano gattoni è nientemeno che il sommo Aristotele, il dantesco “maestro di color che sanno”, il quale, in spregio ai suoi trattati di filosofia e di etica, cede alla passione per la bellissima Fillide, l’amante indiana del suo discepolo Alessandro Magno, anch’egli così perdutamente innamorato di lei da trascurare i suoi doveri, militari e regali, trattenendosi nella conquistata India più del dovuto e incorrendo nei rimbrotti del suo istitutore. Fillide, informata da Alessandro, decide di punire Aristotele e cammina sotto la finestra del filosofo, scalza e coperta solo da una leggera veste. Per solleticarne ancor più i sensi, intona una soave melodia. Tant’è che Aristotele scende in cortile e la implora di ottenere le sue grazie, facendo in cambio qualsiasi cosa lei gli richiedesse. Pur di avere i suoi baci, il vegliardo accetta di mettersi a quattro zampe e gattonare con l’oggetto della sua concupiscenza sulla groppa.

Incisione del 1485 dal germanico Master of the Housebook: un’altra delle innumerevoli rappresentazioni artistiche di Fillide a cavalcioni dell’anziano Aristotele, schiavo dei sensi

La diffusione tramite le più svariate forme artistiche di questo racconto ne stimolò diverse interpretazioni, da quelle dei predicatori cristiani misogini, che condannarono le astuzie femminili per far capitolare la resistenza maschile (citando gli esempi di grandi uomini dell’antichità, cui le donne furono fatali, da Adamo ed Eva al profeta Davide e Betsabea, da Salomone e Idomenea, a Sansone e Dalila, a Paride ed Elena, e così via), al suo accoglimento per dimostrare, al contrario, che l’amore non cessa col passare degli anni e muore solo nella tomba; mentre, d’altro canto, riesce a piegare ai suoi voleri e a far planare a terra anche uomini di elevata levatura morale e dediti alle più alte speculazioni, rendendoli consapevoli della propria natura animalesca, qualunque sforzo essi facciano per reprimerla. Per contrasto, l’ossessiva, innaturale esortazione alla castità che ha impegnato la religione cristiana sino alla modernità, ha conseguito esiti decisamente fallimentari, con una scia di torture e orrori di cui è rimasta indelebile traccia nei verbali di tanti processi inquisitori.

Alessandro e Aristotele: gioventù e vecchiaia a confronto

Il vassallaggio dell’uomo nei confronti della donna è il fulcro dell’atteggiamento cavalleresco dei “trovatori” della fin’amor, l’amor cortese che sbocciò in Provenza in lingua d’oc nel XII secolo, per poi trovar fortuna anche in Italia tramite il Dolce Stil Novo, esemplificato nell’idealizzazione dell’amore di Dante per Beatrice. Nella sua forma originaria, l’amor cortese [VEDI] implicava persone di alto lignaggio, ma con la donna in posizione preminente (tanto da chiamarsi midons, “mio signore”, in quanto gerarchicamente inarrivabile, come lo era il signore per i suoi vassalli [VEDI]), mentre l’uomo era in genere un valoroso cavaliere dell’aristocrazia militare. In termini odierni diremmo che lui era il suo spasimante, ma anche il suo vassallo; e la relazione amorosa, da platonica (come quella stilnovista) a carnale, quindi adulterina, era giustificata dal fatto che i matrimoni ai massimi ranghi della società erano di convenienza, senza amore, riservato appunto a un prode cavaliere, di rango inferiore alla donna, che le giurava fedeltà e protezione fisica, se necessario: il “bastone” –mi sia consentita la battuta- della sua giovinezza. Del resto l’aggettivo stesso “cortese” significava una relazione in ambito di corte, non certo al di fuori di essa. Anche “corteggiamento”, “fare la corte”, sono termini che traggono origine dall’epopea cavalleresca medievale. (“Cortigiana/o” ha invece assunto connotati spregiativi di donna dai facili costumi o uomo adulatore del re/signore per ottenerne vantaggi economici).
Questa gerarchia rovesciava il ruolo subalterno riservato altrimenti alle donne di ceti inferiori; e forse anche per questo l’episodio di Aristotele e Fillide ebbe così successo proprio in quei secoli, nei quali la donna tentava il suo aurorale riscatto. [VEDI]

Dante e Beatrice nel famoso dipinto del 1882 di Henry Holiday. Walker Art Gallery, Liverpool. UK. La versione amorosa degli stilnovisti si limitava alla sua parte più idealistica dei sospiri e del desiderio a distanza, ponendo la donna su un irraggiungibile piedestallo: “bella e impossibile”. D’altronde, quanti segreti turbamenti squassano i petti –e non solo maschili- di indichiarati amanti in ogni tempo e luogo?

Dopo il XVI secolo, la donna dovette scendere dal piedistallo elitariamente raggiunto, fino al ‘900, quando i movimenti femministi lottarono per riappropriarsi dello status perduto. Gradualmente la donna, nella società occidentale, affrancandosi da ancestrali tabù, si è emancipata, arrivando a competere con l’uomo in molti ambiti, sociali, politici, lavorativi, culturali e legislativi. E anche sessuali, forte del fatto di non essere soggetta ai prerequisiti che ultimamente hanno posto l’uomo in posizione di difesa, di soggezione, e spesso di timore per ogni suo gesto verso l’altro sesso, eventualmente sgradito.
Non desta pertanto troppa sorpresa il recente episodio, riportato dai media, del presunto adulterio di Meghan Markle con la sua ex guardia del corpo, Christopher Sanchez; anche in questo caso, con una vistosa differenza di età. Sembra un’imperfetta replica della fin’amor cavalleresca, con la Duchessa di Sussex (sia pure di rango acquisito) che, boccaccescamente, “si giace” con un uomo di lignaggio enormemente inferiore, ma pur sempre “di corte”. E non è certo un caso senza precedenti e probabili future ripetizioni.

La Duchessa di Sussex, al secolo l’americana Meghan Markle, se confermata fedifraga, avrebbe seguito, probabilmente a sua insaputa, la tradizione della fin’amor, l’amor cortese, sorto un millennio fa in Occitania e poi diffuso sino alle corti italiche. Anche lei non s’è fatta mancare i servigi di un, pur attempato, uomo di corte, nei panni della sua body guard, odierno cavaliere promosso a toy boy o, più propriamente, toy man

Dobbiamo aspettarci il rinnovarsi dell’antica proliferazione di opere d’arte che hanno connotato tanti secoli della nostra storia galante, con qualche filosofo o politico di primo piano “vassallato” da una novella midons? O è iniziato il nuovo corso delle loro mogli con giovani e prestanti cavalieri serventi?  Marco Giacinto Pellifroni   4 dicembre 2022

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