La disfatta della Lega nel mondo onirico della stampa nazionale
fra discalculia e malafede
Non sono uno spettatore imparziale delle vicende politiche – e dubito che ne esistano – ho le mie idee e le mie simpatie ma non sono personalmente coinvolto o direttamente interessato. Ad impedirmi di chiudermi in un privato nel quale convivo benissimo con me stesso e le mie cose c’è solo l’ideale partecipazione alla civitas mutuata dalla mia personale educazione e dalla nostra storia collettiva. Pertanto mi posso permettere il lusso di guardare senza pregiudizi alle vicende politiche del mio Paese e, riguardo all’ultima tornata elettorale, di constatare quali brutti scherzi giochino sulla capacità di giudicare l’investimento emotivo e, mi si consenta la litote, la scarsa perspicacia degli osservatori, non solo quelli di regime. Ho sott’occhio, all’indomani del voto, i titoli di tutti i principali quotidiani, unanimi nell’enfatizzare con titoli cubitali la disfatta della destra sovranista e la rinascita del Pd. Lascio da parte il Fatto, che nella mistificazione della realtà sfiora la patologia; tutti, dal Corriere alla Verità esultano – o piangono secondo le rispettive posizioni – perché il centrodestra, e in particolare la Lega di Salvini, avrebbe perso e perso disastrosamente. E tutti guardano ai risultati di Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna.
E mi chiedo: ma se perdere significa, come significa, che qualcosa che si aveva non si ha più che cosa hanno perso la Lega e il centrodestra? Milano era amministrata da Sala e a Sala rimane con l’entusiastico consenso di meno di 280.000 milanesi su oltre un milione di elettori, il Pd era il primo partito e il Pd rimane nell’indifferenza generale il primo partito, la Lega aveva quattro seggi e nel nuovo Consiglio forse saranno cinque: dov’è la disfatta? Che cosa ha perso la Lega? Qualcosa che la Lega di Salvini non aveva e non aveva mai avuto. A Bologna un voto, si fa per dire, plebiscitario (con metà dell’elettorato che è rimasto a casa in una città abituata a percentuali bulgare) ha confermato il radicamento dei compagni delle coop a palazzo D’Accursio; che cosa hanno perso il centrodestra e la Lega a Bologna? quello che non avevano mai avuto (su Guazzaloca stendiamo un velo pietoso). A Torino è in bilico il ritorno dei compagni, che dal dopoguerra avevano sempre amministrato la città finché non sono andati a schiantarsi contro l’Appendino: ora, dissolti i grillini, invece di tornare fra squilli di tromba devono affrontare un incerto ballottaggio nonostante un’affluenza lontana dal 50% (più cala l’affluenza più risalta lo zoccolo duro dei compagni). Bella vittoria! e dov’è la perdita del centrodestra? Mistero. A Roma, quale che sarà il risultato del ballottaggio fra un pezzo da novanta del Pd e un candidato che fino all’altro giorno era un perfetto sconosciuto e al quale è mancato il tempo di fare una campagna elettorale decente, nei municipi sulle macerie dei grillini si sono affermati Lega e FdI: dov’è la disfatta del centrodestra in una città che prima della Raggi era stata sempre governata dalla sinistra con la remota sconfortante parentesi di Alemanno? A Trieste il sindaco uscente di centrodestra va al ballottaggio sicuro di vincere col suo 46% a fronte del 40% riportato al primo turno nelle passate amministrative, con Fdi che prende il posto di FI in testa alla coalizione e la Lega stabile. Cinquestelle evaporati e Pd stagnante. Chi ha vinto? Ma c’è Napoli, dove i grillini diventati il partito del reddito di cittadinanza sopravvivono seppure un po’ ammaccati e in quello che era stato il feudo di Bassolino e della Finocchiaro l’antipolitica e il tirare a campare cementano il potere della sinistra. Va bene così ma non si dica che il centrodestra ha perso qualcosa. Centrodestra che mantiene saldamente il governo della Calabria, confermando così la sua posizione dominante nelle regioni. Dov’è la débacle?
E quelle sono le “metropoli” che fanno giubilare Letta e compagni. Nei centri minori le cose sono andate molto peggio per loro. Comincio dalla mia Toscana. A Grosseto il sindaco uscente, eletto nel 2016 al ballottaggio, ha stracciato la sinistra al primo turno, con la Lega che passa dall’8 al 14% e FdI che si prende i voti della lista civica e balza al 18%. Una disfatta per il centrodestra? A Latina, che ha ancora Littoria nel cuore, Lega e FdI sono appaiati e il candidato di centrodestra sfiora la vittoria al primo turno, spodestando la sinistra che con una lista civica amica si era aggiudicata il municipio col 76% dei voti. La lega passa dal 4 al 14%. Chi ha vinto? A Novara il centrodestra non si limita a confermarsi vincente ma fa cappotto e diventa destra-destra, a Varese aveva vinto al primo turno Galimberti per il Pd ora si va al ballottaggio con i due candidati appaiati, a Pordenone il sindaco uscente di cdx ha sbaragliato il campo e, rimanendo al nord, lascio agli amici savonesi le loro valutazioni e il giudizio sul baratro in cui sarebbe precipitata la Lega. Attraversando l’Emilia rossa vedo che a Rimini il csx vince al primo turno col 51%; aveva il 57%: un trionfo. E la Lega aveva il 12 ora è al 13,5%. Ravenna conferma la sua anima comunista ma il Pd perde quasi tremila voti e in città prende corpo una destra prima inesistente. A Benevento si conferma l’emarginazione della sinistra. A Caserta, dove la sinistra aveva vinto col 65%, il candidato della Lega va al ballottaggio e la sua lista è maggioritaria col 10% dei voti a fronte dell’8% del Pd. A Cosenza però la città già amministrata da Occhiutto, ora nuovo presidente di centrodestra della Calabria, va al ballottaggio col Pd che ha preso 300 (trecento) voti in più rispetto alle precedenti amministrative: saranno questi trecento cosentini la rinascita del Pd? o il germe del partito di Draghi? A confortare il Pd c’è anche Salerno, dove Vincenzo Napoli si conferma al primo turno ma la sinistra lascia sul terreno più di diecimila voti e passa dal 70 al 62%. Salerno che è anche la città dove i grillini, come a Napoli, sono duri a morire e mantengono il 16%. Miracoli del reddito di cittadinanza. Ma a raffreddare l’entusiasmo meridionalista dei compagni, Calabria a parte, ci pensa Isernia, dove il risultato delle passate amministrative che avevano visto la vittoria del candidato di sinistra sono stati rovesciati.
Insomma: sarà anche vero, come si dice, che chi si accontenta gode ma a sinistra nemmeno arrampicandosi sugli specchi è possibile trovare appigli per gridare vittoria. Al massimo se guardano alla fine che hanno fatto i grillini imparentatisi con loro i compagni possono compiacersi per lo scampato pericolo. Ma se pensavano di prenderne voti sono rimasti con un mucchio di mosche in mano.
Ma per i compagni i dati di fatto hanno un’importanza molto relativa. Hanno deciso da tempo che la Lega è alla frutta, dilaniata da lotte intestine, coi governatori in rivolta, Giorgetti che scalpita, gli elettori sedotti dalla Meloni, Salvini in stato confusionale. E allora l’ordine alla stampa amica, recepito chissà perché anche da quella che amica non dovrebbe essere: si deve gridare a caratteri cubitali che la Lega è sprofondata, che Salvini è finito, che il sovranismo è crollato sotto la valanga del voto popolare.
Non è vero, ma se tutti i giornali e tutte le televisioni lo dicono il popolo bue sicuramente se ne convincerà e non punterà più sul cavallo perdente. Poi, tardivamente, qualcuno comincia a dare sommessi segni di resipiscenza, come fa il Fatto, che il giorno successivo al suo titolo delirante “Pd e Cinquestelle uniti vincono le destre unite perdono” con una virata di 180 gradi riconosce: “I numeri: altro che sconfitta populista e vittoria moderata”. Ma il giorno prima i numeri non li avevano visti? Continua invece a non vederli l’inviata della tv di Stato, pagata coi soldi pubblici – nel corso del telegiornale di rai News 24 alle ore 11 del 6 ottobre, per la precisione – ribadiva ai telespettatori paganti il canone la “disfatta” della Lega. Non dei Cinquestelle ma della Lega. E anche se e quando si rinuncerà a mistificare la realtà e ci si adatterà all’idea che la politica non consiste nel far pervenire dossier alla magistratura non è detto che si riconoscano le regole del gioco democratico. Lo dice con rassegnazione Brambilla, il direttore del Quotidiano nazionale: il centrodestra è maggioranza e vincerà le elezioni politiche ma non potrà mai governare. Come dire, le cose potranno andare in qualunque modo ma qualche espediente perché al governo rimangano i compagni si troverà sempre. E per non farla troppo complicata meno gente va a votare meglio è.
Per concludere mi concedo una riflessione, al di là dei dati numerici di per sé eloquenti. Che i Cinquestelle sarebbero scomparsi era ovvio, così come era ovvio l’abbaglio dei sondaggisti che li davano al 18%: la statistica, che pure proprio in Italia aveva emesso i primi vagiti, da noi versa ancora in un’infanzia imbambolata. Per capire dove sono finiti i loro voti non è necessario scomodare Gauss: gli elettori grillini della prima ora erano gente non insoddisfatta ma arrabbiatissima e com’era prevedibile per lo più non sono andati a votare. Una parte di loro hanno cercato una sponda in Fratelli d’Italia, che se sono cresciuti non è stato a spese della Lega come dicono in tanti minus habentes; una quota sparuta è andata dietro al nasino incipriato di Giuseppi e il resto intende difendere coi denti il reddito di cittadinanza. Che il Pd si sia rinfrancato e sia addirittura cresciuto è una gigantesca bufala. E infine dovrebbe essere accertato con una seduta psicoanalitica cosa ci possa incastrare in questa faccenda il sovranismo e perché ne sarebbe uscito sconfitto. L’unica cosa seria che poteva esser detta, e che nessuno ha detto, è che tanti elettori non dico no-vax – che sono quattro gatti e per stupidità fanno il paio coi fanatici del vaccino – ma giustissimamente critici verso il green pass, che non serve a nulla ed è supinamente accettato da tutti gli schieramenti politici, si sono rifiutati di andare a votare. Last but not least: avrebbe vinto il partito di Draghi! non c’è limite né decenza nel servilismo.
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