La crisi performativa dei leader italiani: Meloni, Salvini, Schlein

Giorgia Meloni
Il palcoscenico della politica italiana non è mai stato così simile a un circo mediatico dove si scontrano, in una lotta senza quartiere, i protagonisti delle frattaglie politiche. Giorgia Meloni, Matteo Salvini ed Elly Schlein, i tre leader maggiori, sembrano ormai prigionieri della loro stessa rappresentazione, costretti a recitare ruoli che non convincono più neanche i loro sostenitori. Attorno a loro si muovono colonnelli infelici, mezze figure e outsider pronti a sparigliare le carte.
Meloni: tra retorica sovrana e diplomazia performativa
La Presidente del Consiglio, nonostante una narrazione di forza e determinazione, appare sempre più isolata tra le tensioni interne al governo e il pressing internazionale. I suoi colonnelli – da Crosetto a Lollobrigida – sembrano sempre meno allineati, con un malcontento crescente in Fratelli d’Italia.

Salvini Le Pen
La sua strategia di avvicinamento al Partito Popolare Europeo ha trasformato l’asse sovranista in una fragile alleanza di facciata. Nel frattempo, il ritorno di Marine Le Pen sullo scenario europeo, con una nuova spinta anti-Bruxelles, potrebbe ridisegnare gli equilibri, lasciando Meloni in una posizione scomoda: troppo europeista per i sovranisti, troppo sovranista per i popolari.
Salvini: il punteruolo di Le Pen contro Meloni
Matteo Salvini, ormai relegato a comprimario, cerca disperatamente di recuperare il ruolo di protagonista. Con il ritorno della Le Pen in grande spolvero, il leader leghista prova a sfruttare la nuova sponda per contrastare la deriva centrista di Meloni. Ma la Lega è un partito allo sbando, con Zaia e Fedriga che fanno da contrappeso alla linea oltranzista del Capitano. Il risultato è una strategia ondivaga e incoerente: un giorno con Putin, il giorno dopo con Orbán, nel mezzo un perenne braccio di ferro con Giorgetti e la sua agenda “governista”.

Schlein

M. Turco
Schlein: il personaggio senza personaggio
Nel Partito Democratico, Elly Schlein vive un dramma performativo ancora più evidente: nata come icona della sinistra radicale, si è ritrovata prigioniera di un partito che non la riconosce come leader. Le minoranze interne remano contro, e il suo tentativo di mediazione tra base movimentista e establishment riformista produce solo immobilismo. Il PD è fermo, schiacciato tra il populismo meloniano e le fughe in avanti della sinistra radicale.
Le mezze figure della politica italiana
Se il trio Meloni-Salvini-Schlein lotta per un palcoscenico che si sgretola, il resto del panorama politico offre una schiera di mezze figure che vivono di rendita mediatica o di patetiche pose da statisti.

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Antonio Tajani rimane l’ultimo custode del berlusconismo senza più Berlusconi, Renzi e Calenda litigano in eterno senza riuscire a costruire un progetto credibile, Maurizio Lupi si barcamena tra il nulla e il nulla, mentre Riccardo Magi e il tandem Bonelli – Fratoianni sopravvivono grazie a slogan logori. Dulcis in fundo, Ilaria Salis, trasformata in icona, e il generale Vannacci, paladino di un patriottismo di maniera, tentano di emergere come astri nascenti di un firmamento senza stelle.
Il Solone senza pensieri: Maurizio Turco
E mentre il caos regna sovrano, rimane lui: Maurizio Turco, segretario del Partito Radicale, l’ultimo Solone senza più pensieri. Portatore di una tradizione libertaria ormai relegata alla marginalità, Turco rappresenta la crisi di un’intera classe politica incapace di trovare una nuova narrazione.
La politica italiana è diventata un grande spettacolo di ruoli vuoti, di leader senza leadership e di partiti che esistono solo per esistere. La crisi non è solo nei sondaggi o nei risultati elettorali, ma nell’incapacità di dare un senso alla propria esistenza. La domanda rimane: quanto potrà durare questo teatrino prima che il pubblico abbandoni definitivamente la sala?