La cavalcata delle valchirie

LA CAVALCATA DELLE VALCHIRIE

LA CAVALCATA DELLE VALCHIRIE

 Nelle mie ultime due puntate esplorative del mondo LGBT ho molto insistito sull’avvicinamento reciproco dei due sessi, accentuando la prevalenza della femminilizzazione maschile rispetto al processo inverso.

 

 


La cavalcata delle Valchirie. Cesare Viazzi, 1911. 

 

Il martellamento mediatico di soprusi e crimini contro le donne suona come la definitiva campana a morto per la residua dose di mascolinità che ancora alberga in sempre meno soggetti, prima dell’aspersione del capo di cenere per la colpa di essere maschio e la capitolazione finale. 

Le donne, influencer di minoranza sino a mezzo secolo fa, sono diventate trendsetter, piegando alla propria visione del mondo quella che un tempo era “l’altra metà del pianeta”. 

Nel 2012 fui protagonista di un film, “Il Professore”, che parla dei trucchi di una studentessa universitaria per convincere il professore a promuoverla nonostante la scarsa preparazione. 

È un classico, ma affronta il fenomeno in maniera ambivalente, come dichiarai nell’intervista [VEDI], di cui riporto questo stralcio:

Il nocciolo del film è qualcosa di dejà vù, di “niente di nuovo sotto il sole”. Ma la polpa intorno al nocciolo introduce qualcosa di diverso, ossia che corrotti e corruttori cadono nello stesso peccato. Se il clichè è quello della pura verginella che cade nella rete dell’orco, il film ci mostra invece l’altra faccia della medaglia: una ragazza spregiudicata, sboccata e disposta a tutto pur di conseguire i suoi scopi. Nel film si assiste a un duello all’ultimo sangue tra due esemplari di un’umanità che si potrebbe pensare soltanto contemporanea, mentre è invece senza tempo, nell’eterna lotta tra sopraffazione e sopravvivenza, dove ciascuno ricorre ai trucchi più abietti pur di sopraffare l’altro. Qui sta la vera novità del film, che tende a smontare il mito femminista che vuole l’uomo sempre nelle vesti di sopraffattore e la donna in quelle dell’innocente “sedotta e abbandonata”.

 

La schermaglia tra i due eterni contendenti: lui per avere lei, e lei per un suo occulto fine

 

Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda, scrissi nel 2015 su queste stesse pagine [VEDI] “La femminilizzazione dell’Europa”, a commento di due libri di autori francesi: “Sii sottomesso: la virilità perduta che ci consegna all’Islam” di Éric Zemmour, del 2006, e “Sottomissione” di Michel Houellebecq, del 2015. Del primo riporto qualche stralcio:

Zemmour evidenzia l’effeminatezza del maschio europeo in tante sue manifestazioni. L’uomo vuole sempre più assomigliare al genere vincente: quello femminile. E così ne copia sia i comportamenti esteriori, come la depilazione, gli atteggiamenti e il modo di vestire, sia il metro di giudizio verso cosa sia lecito fare e cosa invece sia da condannare.

Secondo Zemmour “Il capitalismo (le multinazionali), dopo aver optato per la società multirazziale e multiculturale, ha scelto il campo della femminilizzazione degli uomini, la frankensteiniana fabbricazione di un uomo senza radici né razza, senza frontiere né paesi, senza sesso né identità. Un cittadino del mondo meticciato e asessuato. Un uomo campato in aria”.

La Boldrini sogna un’Italia finalmente femmina al 100%, con libero ingresso nelle nostre case degli “eco-rifugiati”, reddito di cittadinanza, specie agli immigrati e pubblicità senza “donne-oggetto” in costume. […] La Boldrini del resto è lo specchio pasionario di un’Europa nella quale il femminismo sta celebrando il suo trionfo: ha stravinto, avvilendo il maschio e contagiando in pieno le istituzioni; e accumula crescenti rivendicazioni di diritti e doveri un tempo riservati all’altro sesso. Come il diritto al lavoro, che, in parallelo al proliferare della tecnologia, sostitutiva della mano e della mente umana, ha determinato lo schizzo verso l’alto della disoccupazione.

Peccato che poi quegli islamici di cui la signora vorrebbe riempire l’Italia, fino alla sostituzione etnica finale, portino con sé le loro maschilistiche leggi, scritte nell’Alto Medioevo, dove alla donna era assegnato come compito precipuo quello di sollazzare l’uomo, sia in vita che post mortem. E senza limiti minimi di età della donna, anzi della sposa bambina (child bride) [VEDI] e [VEDI]

La natura assegna all’uomo e alla donna ruoli complementari. Primo fra tutti quello del raggiungimento pieno dell’età puberale, contraddistinta nella femmina dallo sbocciare degli attributi distintivi della donna, indi il concepimento, la gestazione e il parto; di poi l’allattamento e l’accudimento dei piccoli, come minimo fino all’età scolare.

 

 


Laura Boldrini col velo islamico, a sottolineare la disinvolta accettazione di culture e religioni diverse e di coloro che ne sono portatori. Eppure, Islam e femminismo sono agli antipodi

 

La civiltà islamica ha sovvertito la prima di queste fasi, rispettando in linea di massima quelle successive; mentre la civiltà occidentale ha stravolto le fasi successive al parto, per mantenere alla neo-mamma il posto di lavoro. Si è trattato di un cambiamento radicale che, in nome dell’emancipazione femminile dai suoi ruoli tradizionali, ha comportato un vero terremoto sociale: innanzitutto il massiccio intervento dello Stato per l’accudimento degli infanti mentre le madri sono al lavoro; e, ancor più incisivo, lo schizzo all’insù della disoccupazione, con milioni di donne in ingresso nel mondo del lavoro: ingresso salutato dalle sinistre con lo stesso entusiasmo con cui accolgono i migranti in arrivo con le navi ONG. Fenomeni ulteriormente accentuati dalla più recente competizione di macchine, robot e computer. E va da sé che più rarefatti i posti di lavoro e più nutrita la schiera degli aspiranti, minore il potere contrattuale e quindi la fine del potere contrattuale di questi ultimi. Le ricorrenti critiche ai sindacati per la loro debolezza sono in buona parte fuori luogo, perché si sono trovati dall’altra parte del tavolo con una sedia sempre più bassa. 

L’abbassamento di stipendi e salari ha finito col diventare la giustificazione del lavoro femminile, in chiave ausiliaria, per far quadrare i bilanci famigliari, in una spirale perversa. E mentre i figli sono lontani da entrambi i genitori per l’intera giornata, con tutto ciò che ne consegue per la loro educazione, i loro coetanei nei Paesi dove ha traslocato il grosso del lavoro, sgobbano senza tutele sin dall’adolescenza. Un capolavoro di sfruttamento generale della popolazione, sia domestica che esotica. 

 


Roberto Fico, miracolato a terza carica dello stato, incarna l’utopia pentastellata del reddito di cittadinanza, risoltasi in una diffusa “disoccupazione volontaria”: perché lavorare se ho già di che vivere? 

 

Questi sono i risultati del tanto decantato “progresso”. L’improvvisa bufera sanitaria, sociale, economica del Coronavirus ha accelerato l’impatto dei nodi col pettine, esacerbando la rarefazione delle attività produttive e di conseguenza le occasioni di lavoro e l’ulteriore abbattimento di salari e stipendi. Pensare di risolvere il mancato afflusso erariale favorendo l’ingresso di nuovi soggetti stranieri non fa che accentuare i problemi. 

 

 

  Marco Giacinto Pellifroni                     19 luglio 2020

 

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