La Caduta e il dogma
Senza il cosiddetto peccato originale, gran parte dell’impianto dottrinale della Chiesa crollerebbe, così come la legittimazione del pedobattesimo tanto strenuamente da essa difesa dalle critiche di chi, semplice credente o teologo, ora come già nei primi secoli dell’era cristiana, non lo riteneva accettabile.
Tale peccato in realtà non è mai nominato nell’Antico Testamento.
Per gli ebrei, che l’Antico Testamento lo hanno scritto, non esiste nessun peccato di questo genere.
Si tratterebbe invece di una forzatura di Paolo di Tarso ripresa da Agostino di Ippona.
Bisognava trovare una spiegazione al problema del male e della morte, e dare una giustificazione alla nostra precaria e sofferente presenza nel mondo.
Un’esigenza ovviamente non solo cristiana, tant’è che il mito della Caduta trae molti spunti da diversi miti precedenti, come quello mesopotamico di Gilgamesh, i quali però non ne traevano le stesse conseguenze.
Che la colpa dei progenitori ricada come peccato mortale su tutta l’umanità e si riversi su tutte le generazioni future, è un concetto controintuitivo e non facilmente accettabile.
Per esempio si scontra platealmente con la norma giuridica, faticosamente acquisita nel corso dei secoli, della pena come conseguenza di una responsabilità individuale e non collettiva, e tantomeno di una collettività allargata ai posteri.
Pertanto non solo in altre religioni l’idea di colpa collettiva ereditata non è prevista, ma è stata rigettata all’interno di alcune correnti dello stesso cristianesimo, come quella dei Càtari, i quali anche per questo venivano a rappresentare un potenziale elemento di attrazione. Non a caso furono oggetto della seconda delle due Crociate, entrambe finite in un bagno di sangue, non condotte come tutte le altre contro i musulmani di Palestina ma contro altri cristiani ( la prima delle due, lo fu contro i cristiani di Costantinopoli e più ancora dello Scisma d’ Oriente del 1054, creò quella frattura non più sanata tra la Chiesa Romana e quella Ortodossa ).
Oggigiorno, a fronte delle incongruenze e dei vuoti concettuali che il racconto adamitico della disobbedienza comporta, sono pochi coloro che accettano incondizionatamente la interpretazione della Caduta così come è stata imposta dalla Chiesa nei secoli, sebbene ciò non implichi automaticamente che il racconto a cui si riferisce sia privo di un messaggio che va a toccare le corde più profonde della psiche umana, perché lungi dal sollevare soltanto una problematica religiosa, ne solleva altre, spesso incrociate fra loro, di tipo psicoanalitico, antropologico, sociale, e persino politico.
Bisogna insomma riconoscergli una straordinaria polivalenza semantica, che stimola visuali e prospettive rare da ricavare in altri testi così brevi come quello che costituisce il terzo capitolo della Genesi.
Ma appunto, da lì ad arrivare con il Concilio di Trento a dogmatizzare un peccato d’origine che senza l’acqua mondante del battesimo dannerebbe l’umanità destinandola all’Inferno, il passaggio non è così naturale come si è voluto far credere.
Tanto che neanche il divieto stabilito dall’ Indice dei Libri Proibiti, coevo al Concilio, è riuscito ad arginare il desiderio di pensare autonomamente e liberamente, e il numero dei perplessi, degli scettici o dei francamente critici, è andato aumentando.
Tuttavia tra coloro che continuano a crederci, molti ammettono che lo fanno in modo piuttosto innaturale, per averlo assimilato in età infantile come parte essenziale della dottrina, cioè, in definitiva, per acquisizione passiva e trascinamento, senza esserci più ritornati per rivederlo da un punto di vista adulto condotto in autonomia di giudizio.
E’ un fenomeno piuttosto frequente: si è talmente immersi in una narrazione innaturale che diventa più facile restare innaturali che modificare l’interpretazione.
Accade così che se si chiede a un convinto assertore della storicità della vicenda adamitica come abbia fatto a svilupparsi la specie umana avendo come soli attori Adamo, Eva, Caino e Abele, egli si trovi in difficoltà e ammetta di non essersi mai reso conto prima che l’umanità avrebbe dovuto iniziare il suo cammino a seguito di un atto incestuoso, tanto inevitabile quanto, evidentemente, impercepito o, meglio, difficilmente percepibile agli occhi di chi ha aprioristicamente metabolizzato una narrazione.