La buccia di banana dell’ultimo dpcm

La buccia di banana dell’ultimo dpcm
Non basteranno le mance per salvare Conte

La buccia di banana dell’ultimo dpcm
Non basteranno le mance per salvare Conte

 Viviamo in una dimensione onirica, sospesi fra Alice nel paese delle meraviglie e il castello di Kaffka. L’Italia, come il resto del mondo, è colpita da un’epidemia virale molto contagiosa ma fortunatamente poco letale la cui diffusione avrebbe dovuto essere contrastata con interventi tempestivi sostenuti da un’indagine epidemiologica seria. L’organizzazione sanitaria e i governanti del nostro Paese non sono stati all’altezza del compito, al pari, ma è una magra consolazione, dell’Europa e di tutto l’occidente. Con una differenza sostanziale: il virus ha cominciato a diffondersi in Italia con numeri molto bassi e con relativa facilità di tracciamenti e di interventi ma il governo ha indugiato, sottovalutato, occultato e non ha saputo predisporre un piano strategico limitandosi a interventi tampone tardivi e contraddittori.


Si sono sentite affermazioni ispirate alla volontà di non pestare i piedi all’amico cinese: non abbiate paura, continuate tranquillamente a frequentare negozi e ristoranti cinesi, vi diamo noi l’esempio, sono casi sporadici, tutto passerà presto. E ancora: la nostra è la sanità migliore del mondo (!) siamo pronti ad affrontare qualunque emergenza. E ancora: i nostri laboratori hanno identificato il virus, siamo i migliori al mondo, i nostri ricercatori stanno per sconfiggere la malattia. Poi, dopo avere esportato il virus a Malta e ai nostri vicini sul continente, sono cominciati i morti nelle case di riposo e negli ospedali e le nostre autorità sono andate a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito invece di intervenire prontamente su questi due veicoli di infezione, e quando ormai la casistica cominciava a crescere in modo esponenziale a tutto si è pensato tranne che a predisporre uno screening di massa e mentre cominciava il balletto delle mascherine e dei respiratori si alzava il coperchio sullo stato della nostra accademia, della nostra ricerca e, ahimè, della nostra sanità, con uno stuolo di “scienziati” diventati improvvisamente prime donne impegnate a battibeccare fra di loro come comari nel ballatoio.


Poi tutti chiusi in casa con l’epidemia che continuava tranquillamente a diffondersi senza che nessuno si preoccupasse di effettuare un’operazione elementare di statistica come quella di trovare l’indice di correlazione fra provvedimenti e andamento della curva epidemiologica. Ma intanto il presidente per caso e il suo staff da soap opera avevano intuito tutta la potenzialità mediatica della malattia e hanno creduto bene di cominciare a sfruttarla per creare consenso e incollarsi più tenacemente al potere. E come prima avevano minimizzato ora drammatizzano, alimentano un clima di paura che spinga la gente a stringersi attorno al pastore, il conducator, il caro leader, il nostro Cicisbeo, il Gauleiter della Merkel. Ed è così che si sono intrecciati indissolubilmente allarmismo e legittimazione politica con la conseguenza che tutta la stampa di regime – quindi in pratica tutta la stampa – e tutte le reti televisive non hanno fatto passare un giorno senza oscurare col coronavirus cronaca, politica, sbarchi di clandestini, economia a picco e crisi dell’occupazione: fiumi di parole e cifre, cifre, cifre senza un minimo di analisi seria, con l’unico intento di impattare emotivamente sull’opinione pubblica e di mantenerla in uno stato di allarme costante. Gli italiani si sono fatti docilmente chiudere in casa per due mesi dimostrando così non senso di responsabilità, come continuamente si ripete, ma mancanza di senso civico e spirito servile. Poi a frenare il contagio ci ha pensato l’estate, una vita all’aria aperta, minore permanenza in luoghi chiusi. Ma l’Italia non si poteva sigillare e fra chi è andato a pescare il virus all’estero e quelli che ce l’hanno portato con i barconi il contagio ha attaccato il sud che ne era rimasto al riparo (ma non certo per merito degli uomini, tantomeno dei politici) e l’Italia si è ritrovata omogenea e unita nella malattia. Nell’intervallo, durante i mesi di relativa calma, il Cicisbeo ha pensato bene di tenersi stretto un potere rinsaldato dall’emergenza guardandosi però dal predisporre strumenti per far fronte alla prevedibile nuova ondata con la fine delle ferie e la riapertura delle scuole, che comportano rientro in ambienti chiusi e promiscui, non solo i luoghi di lavoro e le aule ma anche se non soprattutto i mezzi per raggiungerli. 


Si era detto che la riapertura delle scuole sarebbe stato il banco di prova del governo: se falliva a casa e nuove elezioni. Ha fallito come peggio non si poteva immaginare: scuole elementari nel caos e licei chiusi ma il Cicisbeo e il suo governo non hanno fatto una piega. Un coro unanime, dall’opposizione, dall’interno della stessa maggioranza e da tutta stampa di regime, che denuncia “ritardi e inadempienze” e il non aver messo in conto che il problema dei trasporti sarebbe stato cruciale; ma la ministra e il suo presidente fanno finta di nulla come se la cosa non li riguardasse e sperano che con lo smart working il problema si risolva da solo. Tutto mentre il supremo Custode è entrato in un buco nero per vigilare in qualche altro universo. E in attesa che si faccia vivo si scopre che il governo del fare non ha fatto nulla di quello che aveva promesso di fare: dicevano di aver risolto il caso Whirlpool e non era vero, di aver estromesso I Benetton dalle autostrade e non era vero, dicevano di aver resuscitato Alitalia e non era vero, come non era vero che grazie a loro l’Italia era il Paese che col covid se l’era cavata meglio. Ma qualcosa bisognava pur fare e qui è cascato, è il caso di dirlo, l’asino. Si preannunciava un autunno caldo, con tanti nodi che sarebbero venuti al pettine, ma il Cicisbeo aveva un asso nella manica: Ursula von der Leyen che avrebbe sganciato i soldi per quietare gli italiani, che però doveva render conto a Bruxelles esibendo gli sforzi che il governo italiano stava facendo di fronte all’emergenza. E allora? Sul tracciamento e sui tamponi non si sapeva che pesci prendere, come spengere i focolai meno che mai, moltiplicare i reparti di terapia intensiva avrebbe solo dimostrato che mancava il personale per farli funzionare, chiudere di nuovo la gente in casa avrebbe distrutto la credibilità del Cicisbeo ma qualcosa andava fatto, giusto per dire che si era fatto. Quindi i ristoranti aperti ma fino alle 18, i musei chiusi, tanto gli italiani non ci vanno, i teatri chiusi, che vuoi che sia, e chiuse anche palestre e piscine, dimenticando i sacrifici che avevano fatto per mettersi a norma. Questo perché ristoranti, musei, teatri, palestre o piscine sono a rischio diffusione del contagio? Nemmeno per sogno, solo perché qualcosa andava fatto e si è scelto la via meno impegnativa e meno dispendiosa (per il governo). Poi tanto con qualche mancia staranno tutti buoni.


Ursula Von der Leyen e Conte

Ma il diavolo si dice fa le pentole e non i coperchi e gli italiani, quanto meno i diretti interessati, non sono stati al gioco. Perché i nostri connazionali saranno sì più sudditi che cittadini ma, da nord a sud tutti si riconoscono nel motto ca’ nisciuno è fesso e dal ristoratore al personal trainer si chiedono “perché noi?”; Perché si chiude un museo ma le chiese rimangono aperte? Perché si può pranzare ma non cenare? Perché non ci si può allenare in piscina ma si può stare appiccicati nella metropolitana? E nasce spontaneamente la richiesta: fuori le carte! Si dimostri, dati alla mano, che ci si infetta al ristorante, in palestra o dentro un museo ma non ci si infetta alla messa, sul tram o in fila alla posta, per non parlare delle mense scolastiche. E, già che ci sono, dimostrino con dati alla mano che nigeriani o tunisini positivi che scappano dalla quarantena non sono contagiosi e non hanno niente a che fare col brusco aumento del contagio al sud e nelle isole.


Gli italiani questa volta non sono stati al gioco e le piazze hanno cominciato a infiammarsi. Per spengerle e salvare il Gauleiter italiano Ursula è prontamente intervenuta in soccorso al governo amico assicurandogli un acconto immediato per placare gli animi ma c’è il rischio concreto che il pompiere getti benzina e non acqua sul fuoco perché soldi dati a casaccio servono solo a esasperare gli animi. Ecco allora che tornano i vecchi collaudati metodi: via libera ai centri sociali e agli antagonisti sempre pronti a spaccare vetrine e teste di poliziotti. E siccome a sostenere la protesta contro i provvedimenti liberticidi del governo non ci sono soltanto Salvini e Fratelli d’Italia ma anche i militanti di Forza nuova prima si attribuisce la violenza e il vandalismo ai “fascisti” poi, quando risulta evidente la presenza dei rossi insieme a malavitosi e clandestini, si riattacca con gli opposti estremismi e il pericolo eversivo con l’obbiettivo scoperto di castrare la protesta. Protestare è lecito, dicono, ma sommessamente, educatamente, “senza ribellismo”.


E qui la ministra dell’interno e il Cicisbeo sbagliano, e non in buona fede: i compagni dei centri sociali, i finti antagonisti sono come le sardine i migliori alleati del regime, sono strumenti del regime. La loro violenza non è ribellione, è solo teppismo di emarginati, psicopatici, ragazzini e studenti viziati. La protesta di chi ha perso o rischia di perdere col lavoro il senso della propria esistenza, comunque si esprima, è ribellione, è rivolta, è un segnale preciso e inequivocabile: questo non è il governo degli italiani. E che i militanti di Forza nuova, di cui non voglio fare il difensore d’ufficio, spacchino vetrine o diano fuoco ai cassonetti la stessa ministra non se l’è sentita di dirlo: è una bufala troppo grossa anche per un membro di questo governo.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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