Jean-Luc Nancy o della sopravvivenza

Jean-Luc Nancy (Bordeaux, 26 luglio 1940 – Strasburgo, 23 agosto 2021) è stato, o meglio è, il filosofo che più di ogni altro ha vissuto l’esperienza di morire e di rinascere da vivo, fino alla sua ultima rinascita quando, pur malato, ha voluto tenere la sua ultima lectio magistralis in presenza a Modena, nel settembre del 2018, sul tema nietzschiano – e quanto mai attuale! –  della “Verità come menzogna”.

Jean-Luc Nancy, allievo di Paul Ricoeur e di Jacques Derrida, è considerato l’ultimo grande classico del pensiero così detto postmoderno, ha concluso la sua prestigiosa carriera accademica come titolare della cattedra di Filosofia presso l’università Marc Bloch di Strasburgo. Sul finire del secolo scorso è sopravvissuto a un trapianto cardiaco grazie al cuore di una giovane donna di colore riuscendo anche a guarire in seguito da un cancro di origine immunodepressiva. Ne scrive egli stesso nel saggio autobiografico L’Intrus, (Paris, Galilée) uscito nel 2000, in cui affronta l’esperienza della malattia e della sofferenza psicofisica. Questa esperienza traumatica e la sopravvivenza dovuta al cuore di un’altra persona gli hanno fatto, per così dire, toccare con mano l’inseparabilità dell’identità dall’alterità e la conseguente messa in discussione dell’indipendenza del soggetto nei confronti del mondo e della communitas di appartenenza. In un’intervista del 2001 Nancy dichiara: “Di sicuro sono un sopravvissuto, nel senso che sarei morto nel 1991 se non fosse stato possibile trapiantarmi un cuore.

Questo significa che dieci anni fa sarei morto oppure che se non ci fosse stato un trapianto disponibile in tempo sarei già morto (quando mi hanno fatto il trapianto mi restavano circa sei mesi di vita). Anche nel 1997 sarei potuto morire per il linfoma provocato dal trattamento post trapianto (è uno degli aspetti possibili, per fortuna abbastanza rari, della ciclosporina, farmaco antirigetto…ambivalenza del pharmakon!), se un trattamento in parte nuovo non fosse stato messo in sperimentazione proprio in quel momento”. Certo è che se Jean-Luc Nancy fosse morto nel 1991, noi oggi non avremmo, tra le molte altre, opere come Il mito nazi, Il nuovo Melangolo, Genova, 2013; Corpus, Cronopio, Napoli, 1995; Il senso del mondo, Lanfranchi, Milano, 1997; Hegel. L’inquietudine del negativo, Cronopio, Napoli, 1998; Essere singolare e plurale, Einaudi, Torino, 2001; per non citarne che alcune tra le più significative.

Il suo pensiero verte su tre questioni fondamentali: 1) La singolarità e la pluralità dell’essere; 2) l’esperienza della libertà e 3) Il corpo inteso come l’originario accadere dell’esistenza in tutti i suoi aspetti concreti e relazionali, eros compreso. Nel saggio Essere singolare plurale viene sostenuta la tesi secondo la quale tutti gli enti co-esistono e che non si dà un ente o un soggetto che con-sista solo in sé e per sé. L’essenza dell’essere è singolare e plurale nello stesso tempo. Nancy rovescia l’ordine ontologico consueto, secondo il quale l’essere “con” – Il Mitsein heideggeriano – viene dopo il Dasein; prima di tutto ogni ente co-esiste con gli altri co-esistenti. Dunque l’essere non viene prima dell’ente per poi diventare l’essere stesso come essente l’uno con l’altro, ma l’ente – ogni ente – è determinato nel suo stesso essere come essente l’uno – con- l’altro. Singolare plurale nel senso che la singolarità di ciascuno è indissolubile dal suo essere-con-gli altri. D’altronde – osserva Nancy – singuli è solo al plurale, dal momento che denota “l’uno” dell’”uno a uno”, quindi la finitudine originaria dell’esistenza e della struttura relazionale che la costituisce: “Il singolare è fin dalla sua origine ‘ogni’ uno e dunque anche ogni ‘con’ e ‘tra’ tutti gli altri”. In questo senso “la verità dell’ego sum è un nos sumus e la communitas coincide con il modo di essere dell’esistenza stessa.

Quanto all’esperienza della libertà, per Nancy significa decidere di esistere accettando le condizioni di un essere che si ritrae e abbandona l’esistenza alle proprie possibilità. L’uomo è libero perché non è precondizionato da un’essenza esterna e si sente libero quando, nella sua singolarità, non si identifica con nulla, neppure con sé stesso. Più che un concetto, un valore o un diritto la libertà è un’opzione o una forma di vita (bios) distinta dal semplice vivere (zen) e dunque si tratta di un’esperienza alla quale non il pensiero astratto ma l’esistenza concreta dà forma e realtà. La terza, ma non certo l’ultima, a questione fondamentale nel pensiero di Nancy è quella relativa al corpo, questione che naturalmente si riallaccia alle precedenti. Invero, se la specificità dell’esistenza è quella di non avere un’essenza, allora il corpo rappresenta l’essere dell’esistenza, il luogo originario del suo accadere, la concretizzazione e manifestazione del suo senso, in tutti i sensi e in particolare con quello del tatto; d’altronde il contatto e la relazione con il prossimo sono possibili soltanto per mezzo del corpo e, ovviamente, della sessualità. Ma non si può parlare del corpo senza parlare anche della sua fine, cioè della morte. Ne L’intruso Nancy ha scritto. “Isolare la morte dalla vita, impedire che l’una sia intimamente intrecciata con l’altra, che ognuna faccia intrusione nel cuore dell’altra, ecco ciò che non bisogna mai fare”. E se lo dice un filosofo sopravvissuto a sé stesso, possiamo credergli.

Fulvio Sguerso
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