Italia Viva: l’Impero dei sensi politici
Italia Viva: l’Impero dei sensi politici
Tra desideri irrefrenabili di centralità e pulsioni autodistruttive, la parabola del partito renziano raccontata attraverso il prisma del celebre film di Ōshima
Nel 2025, Italia Viva sembra muoversi nello scenario politico italiano come una troupe vagante dell’“Impero dei sensi”: un partito consapevole di non avere più peso elettorale rilevante, ma ancora prigioniero di una tensione narcisistica tra desiderio di visibilità e consumazione dell’identità. Come nella pellicola di Nagisa Ōshima, dove l’abbandono ai sensi sfocia nell’annullamento, così il partito di Matteo Renzi e dei suoi fedelissimi si è lasciato andare a un gioco compulsivo di posizionamenti tattici, smentite, rilanci e implosioni.
Il leader: Renzi e l’agonia della presenza
Matteo Renzi, regista e protagonista, è oggi un personaggio che gira in loop nella scena politica italiana: non più capo, ma spirito ingombrante di se stesso. Dopo aver guidato da solo il Pd, rottamato i suoi padri, fondato un nuovo partito, mandato a casa Conte, flirtato con Meloni e corteggiato Macron, è rimasto sospeso in una dinamica autoreferenziale: parla, scrive, pubblica, twitta, critica… ma nessuno ascolta davvero. Come Sada nel film, consuma la scena, fino a prosciugarla.
Il potere, per Renzi, non è più un fine: è un’estetica. E come in ogni “impero dei sensi”, ciò che conta è sentirsi al centro, anche in assenza di qualsiasi contatto reale con la trasformazione politica.
Le devote: Bellanova, Boschi, Paita

Bellanova, Boschi, Paita
Teresa Bellanova, sindacalista d’acciaio trasformata in ministra fashion-pop, ha vissuto anch’ella la metamorfosi che segna tutti i comprimari del “renzismo sensuale”: da figura concreta del mondo del lavoro a personaggio di palcoscenico, costretta a recitare copioni di appartenenza più che a incidere sulla realtà.

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Maria Elena Boschi, icona e reliquia del renzismo originario, continua a galleggiare tra talk-show, interviste su Instagram e ricordi di un referendum che fu. La sua traiettoria è quella di una geisha che ha visto bruciare il proprio tempio e si aggira ora tra rovine di consensi e selfie d’occasione, con la nostalgia di un potere perduto e la lucidità di non poterne più riavere uno.
Raffaella Paita, passata da promessa ligure a pedina di un gruppo parlamentare sempre più afono, pare oggi l’eco di una corrente che non scorre più: tra tentativi centristi e dichiarazioni su ponti e infrastrutture, resta avvolta in una nebbia di irrilevanza.—
Gli uomini di apparato: Rosato, Scalfarotto, Giachetti
Ettore Rosato, l’architetto di mille operazioni di Palazzo, è ormai un costruttore senza cantiere. Si muove nel dietro le quinte come un attore stanco di recitare una parte che nessuno ha più scritto. La sua figura riflette l’estenuazione tecnica del renzismo, quando la tattica prevale sul contenuto fino all’evaporazione della strategia.
Ivan Scalfarotto, l’uomo delle battaglie civili condotte sempre un passo prima del naufragio, continua a esistere politicamente come minoranza della minoranza, brillante e tagliente, ma inascoltato.
Roberto Giachetti, infine, appare come il monaco zen del renzismo decadente: convinto, appassionato, coerente nella sua missione impossibile. Ma, come nel film di Ōshima, dove il rituale dei sensi prosegue anche quando tutto è già finito, anche lui continua a danzare in una coreografia senza pubblico.

Rosato, Scalfarotto, Giachetti
Una sensualità sterile: tra alleanze e autoesclusioni
Nel quadro del 2025, Italia Viva non è più decisiva né per la maggioranza né per l’opposizione. Si presenta come la corrente più fluida e al tempo stesso più solitaria del Parlamento italiano. Le sue alleanze evaporano prima di concretizzarsi, le sue proposte – pur talvolta serie – sono interpretate come provocazioni. È l’effetto dell’ossessione da protagonismo: più il partito cerca l’ebbrezza della centralità, più si avvicina all’afasia politica.
E così, mentre la destra governa e la sinistra si organizza tra mille dubbi, Italia Viva rimane *il letto disfatto della politica narcisistica italiana*: pieno di movimenti, ma privo di generazione.
Conclusione: l’autoconsumo dei sensi politici
Nel film di Ōshima, l’abbandono ai sensi si consuma fino al limite dell’annientamento. In Italia Viva, la ricerca della centralità ha finito per prosciugare il progetto stesso di partito. L’“impero” si è ridotto a gesti autoreferenziali, a rituali estetici, a una sensualità politica senza più contatto con il reale.
In un tempo in cui servirebbe concretezza, Italia Viva offre invece ancora il teatro del desiderio ripetuto: *un dramma sensuale, sterile, che si ripete, ormai, solo per abitudine*. Un corpo politico che si accarezza allo specchio, mentre intorno si alza il silenzio.