Italia, terra dei pini perduti. Cronaca di un’ecatombe annunciata. Tagliare rende
In Italia, da Nord a Sud, la motosega è diventata la colonna sonora di troppe mattinate. In nome della “sicurezza” e di una presunta modernizzazione urbana, le amministrazioni comunali stanno abbattendo, silenziosamente o meno, centinaia di pini. Non solo quelli malati o pericolanti, ma interi filari che per decenni hanno fatto ombra a strade, piazze e scuole. Anche la provincia di Savona non è stata risparmiata: i tagli, giustificati con relazioni tecniche spesso di parte, stanno cancellando un patrimonio arboreo identitario e insostituibile.
Dietro questa silenziosa carneficina non ci sono solo errori di valutazione, ma spesso una miscela pericolosa di ignoranza arboricola, pigrizia amministrativa e interessi economici. Tagliare è più facile che curare, abbattere costa meno che potare con criterio e soprattutto consente di aprire la strada a nuovi appalti, nuove forniture, nuove piantumazioni – guarda caso, spesso affidate a vivai “amici”.

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Il pino, da simbolo a capro espiatorio
Il nostro pino domestico, è diventato il bersaglio preferito. Descritto come “inadatto all’ambiente urbano”, accusato di sollevare l’asfalto, minacciare la viabilità, ospitare processionarie. Ma questa è solo la superficie.
Molti dei problemi lamentati – radici affioranti, rami spezzati, instabilità – non sono colpa degli alberi, bensì della gestione umana: potature selvagge, asfalto gettato sopra le radici, mancanza di manutenzione. È come condannare un malato senza nemmeno averlo visitato.
Lo confermano agronomi e arboricoltori qualificati: i pini possono vivere in città, a patto che vengano rispettati nei loro bisogni. Le radici non vanno soffocate, le chiome non devono essere svuotate, la potatura deve essere arte e non mutilazione. Ma servono soldi, competenze e soprattutto una volontà politica che guardi oltre il prossimo appalto.
L’albero “killer” è una fake news
L’alibi della sicurezza – “meglio tagliarli prima che cadano” – è diventato un mantra ipocrita. Nessuno parla mai della reale causa dei cedimenti: lavori stradali invasivi, cementificazioni, stress idrico, incuria.
Ma non si tratta solo di ecologia. I pini sono identità, memoria, paesaggio. Le loro chiome modellano lo skyline mediterraneo, i loro aghi odorano d’estate e infanzia. Toglierli vuol dire desertificare le città, creare isole di calore, aumentare il rischio idrogeologico. Eppure, mentre Parigi tutela i suoi alberi monumentali e Berlino investe in foreste urbane, da noi si abbatte in nome del “decoro”.
L’ipocrisia verde e l’economia del taglio
C’è poi il lato più sporco della faccenda: quello economico. Dietro i tagli c’è un fiorente business che lega vivai, ditte di giardinaggio e politici locali. Si taglia l’albero maturo per piantare il giovane alberello, fragile, basso, ornamentale. Dopo tre anni muore, e si riparte. Un circolo vizioso che arricchisce pochi e impoverisce tutti.
In alcuni casi si arriva all’assurdo: pini monumentali sostituiti da “acacie”, da “melie” o “ligustri” ornamentali, piazze alberate trasformate in deserti di cemento con vasetti di tamerici. E i cittadini? Protestano, certo, firmano petizioni, organizzano presìdi. Ma nella maggior parte dei casi vengono ignorati, zittiti con relazioni tecniche cucite su misura.
Salviamo i pini, salviamo noi stessi
Non è solo una battaglia ambientalista: è una questione di civiltà. Difendere i pini significa difendere la qualità della vita, il paesaggio, la salute. Significa dire no alla logica del taglio facile, del profitto veloce, dell’estetica spersonalizzata. Significa restituire agli alberi il ruolo che meritano: non ingombri da eliminare, ma compagni silenziosi del nostro vivere quotidiano.
Se i pini cadono, cade un pezzo di Italia. E rischiamo di ritrovarci, un giorno non lontano, a rimpiangere l’ombra che abbiamo perso.
T.S.