Io, savonese, che ho perso il lavoro

IO, SAVONESE, CHE HO PERSO IL LAVORO.
Da L’Eco il giornale di Savona e Provincia

  IO, SAVONESE, CHE HO PERSO IL LAVORO.

 

Le aziende chiudono stremate, gli orari vengono ridotti, i contratti rivisti, gli stipendi dimezzati. Mutano ruoli e mansioni. Si ribaltano aspettative.

Se ne parlava da molto tempo, ma prima era voce flebile e lontana, come una presenza fantasmatica. Ora è crisi che sovrasta tutti come una nuvola nera carica di pioggia.

Si era scorta da lontano e, quando la si guardava proseguendo la vita di sempre, appariva sempre più vicina, impossibile da fermare.

L’ombra è scesa da tempo, ma ancora eravamo convinti che non ci potesse toccare. Non noi. Non adesso. E invece la pioggia ha iniziato a cadere.

Prima goccioline lievi, poi sempre più fitte fino al temporale che ci ha travolto.

Siamo fuori. Non sappiamo neanche il perché né come ci siamo arrivati, ma siamo fuori.

Abbiamo perso o stiamo perdendo. Senza poter fermare questa slavina rimaniamo fermi, incapaci di salvezza. La comunicazione ci è arrivata in un giorno che aveva la stessa alba del giorno prima. E come il giorno prima avrebbe dovuto trascorrere.

Invece no. Adesso abbiamo un limite, un tempo, un confine oltre il quale , sul momento non riusciamo a scorgere nulla. Nemmeno noi stessi.

Incapaci di ogni previsione.


“L’ azienda è stata acquisita da un grosso gruppo che non prevede l’amministrazione in città”.

“Siamo spiacenti di comunicare che l’azienda, nostro malgrado, chiuderà. Non esiste colpa, ne siamo le prime vittime, non riusciamo più a reggere”.

“Dobbiamo ridurre l’orario a metà. Lo so che cosi non si vive, ma il poco è meglio di niente. E speriamo che questo provvedimento possa bastare ad evitare il peggio”.

“un po’ di cassa integrazione e poi vedremo…Magari risolviamo, magari tutto ritorna com’era…” Ci siamo. E’ il vortice. E’ il “non ritorno”.

Ci ha colpiti in pieno. Come tanti, ma finché non sentiamo scorrere la disfatta nelle nostre vene non ci rendiamo conto che esiste davvero.

I pensieri mutano in un attimo. La sicurezza sedimentata negli anni scompare.

La certezza diventa paura. Tremano fondamenta che si pensavano granitiche.

Si cercano soluzioni con la pretesa che possano affiorare alla mente in un solo minuto. Per stare meglio. Per prendere respiro. Per placare l’affanno.

La notte è insonne e l’alba è meno chiara di quella precedente.

Non ci si può permettere di arrivare al nulla. C’è la famiglia, il mutuo, la vita quotidiana che non è mai facile. Si cercano soluzioni e la mente salta da un pensiero all’altro.

All’inizio si è quasi ottimisti, sembra un gioco, una sfida.


Si fa conoscere agli altri la propria vita, la propria serietà , il proprio percorso.

Qualcuno risponderà. Non può essere tutto ingiusto e forse la vita migliorerà.

Ci si dedica di più a cercare l’alternativa, la luce che si è spenta che a presenziare un lavoro che sta morendo con la pretesa di trascinarci con sé.

Ma il tempo si accorcia e le risposte che aspettavamo non sempre arrivano.

Ma sono momenti che, se ci capitano, non possiamo fare a meno di vivere.

La fuga non è prevista. Non possiamo eluderli né sfuggire ad una realtà angosciante che ha preso il Paese, che ha preso noi. Che fare? Viverla. Riducendo l’angoscia ottenebrante per come si può.

Impegnandosi con metodo e calma allargando la mente a prospettive più vaste.

Non rimanendo aggrappati al passato come culla di conforto, non rimpiangendolo.

Mantenendo un pensiero dinamico.

Mettiamoci in gioco. Se il destino lo richiede facciamolo. Forse è non chiudendosi nel lamento sterile o nella disperazione, ma aprendoci al mondo e alle sue possibilità che la Vita diventa generosa. L’alternativa c’è sempre. Le soluzioni esistono. Le strade sono due: quella della disperazione o quella dell’apertura al possibile. Non prendiamo quella sbagliata. Il nostro primo sforzo: la fiducia.

In noi, negli altri, nel futuro.

Loretta Ramognino da l’Eco – il giornale di savona e provincia

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