Indigestione di frittelle al baccalà: ovvero come alla Leopolda si frigge anche la politica
Indigestione di frittelle al baccalà: ovvero come alla Leopolda si frigge anche la politica
Tra baccalà e bottiglie, un’antica arte ligure e una nuova indigestione fiorentina
In Liguria, le “frittelle di baccalà” sono più di un piatto: sono una filosofia.
Il segreto, come sanno le nonne di Varazze e gli osti di Noli, sta nella pastella — leggera, frizzante, appena aromatizzata al prezzemolo e all’aglio tritato fine come la sabbia di Bergeggi. Il baccalà, dissalato a dovere, viene immerso nel velo bianco della farina e poi abbandonato nell’olio caldo, dove prende colore e orgoglio. Il risultato è un boccone dorato e sapido, perfetto per le tavole delle feste o le improvvisate di mezza Quaresima.
E poiché ogni frittella ha bisogno del suo vino, la tradizione chiama in causa un *Pigato delle colline di Albenga* o, per chi preferisce un tono più allegro, un *Vermentino di Ponente*: vini che odorano di macchia, di mare e di polemiche risolte al bar del porto.
Ma — e qui la cucina diventa metafora — come ogni cosa buona, anche le frittelle al baccalà hanno il loro limite. Esagerare può portare a una certa pesantezza, sia di stomaco che di spirito. Ed è qui che entra in scena l’altra metà di questa storia: *l’indigestione politica della Leopolda 2025*.

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Indigestione di frittelle al baccalà, con ciucca di vino giusto per accompagnarle: conseguenze dirette e conseguenze indirette*
Alla tredicesima edizione della Leopolda, Matteo Renzi ha servito un menù ambizioso:
una spolverata di Machiavelli, un soffritto di riformismo e una riduzione di “Casa riformista” al 10% di Irpef per i ventenni — una proposta tanto leggera quanto le sue frittelle promozionali. Il pubblico ha applaudito, qualcuno ha fatto il bis, e qualcuno — come dopo un pranzo domenicale a casa di zia — ha iniziato a sentirsi un po’ gonfio.
Le conseguenze dirette, come in ogni indigestione, non si sono fatte attendere: un improvviso senso di déjà-vu politico, con retrogusto di “ci siamo già passati”. L’idea di rifondare la casa riformista su nuove basi è apparsa come l’ennesima frittura di avanzi del centrosinistra: croccante fuori, ma con il rischio di restare cruda dentro.
Chi ha assaggiato troppo entusiasmo ha finito per chiedere un bicchier d’acqua (o di Pigato), mentre i più prudenti hanno preferito sedersi lontano dal tavolo, temendo la consueta “ciucca da Leopolda”, fatta di entusiasmo alcolico e retorica frizzante.
Le conseguenze indirette, invece, sono più sottili e più pericolose: l’illusione che basti cambiare la pastella per far dimenticare il sapore del baccalà. Renzi promette di non attaccare più il governo se il governo si comporta bene — un po’ come dire “non friggerò più se l’olio resta limpido”.
Ma si sa: in politica come in cucina, l’olio si scurisce presto, e chi frigge troppo finisce per impregnarsi dell’odore.
Così, tra un richiamo a Machiavelli e un accenno a Sammy Basso, tra Irpef scontata e riformismo flambé, la Leopolda 2025 si è chiusa come certe cene di Capodanno: con un senso di euforia appesantita e la promessa — non mantenuta — di mettersi a dieta dal giorno dopo.
Epilogo al limone (come dopo la frittura)
La morale è semplice: in Liguria si dice che le frittelle di baccalà vadano gustate calde, ma con misura.
La politica, invece, sembra non imparare mai: si frigge troppo, si brinda più del dovuto, e ci si stupisce del mal di testa del giorno dopo.
Così, se il futuro del Paese davvero “emerge da qui”, come dice Renzi, speriamo almeno che emerga “sgocciolato bene”, asciutto d’olio e senza troppa bolla di retorica.
Perché il problema non è mai il baccalà — è quando chi lo cucina non distingue più il profumo di mare da quello del fritto.
