Il volto nuovo della sinistra e il dramma del partito che non c’è
Il volto nuovo della sinistra
e il dramma del partito che non c’è
Qualche giorno fa sul Fatto Quotidiano Marco Travaglio lamentava il mancato ricambio all’interno del Pd, che non riuscirebbe, nonostante la Schlein, a liberarsi dalle zavorre che lo immobilizzano e gli fanno perdere il consenso. E, a questo proposito, citava il caso della Sardegna dove un volto nuovo ed estraneo alla nomenclatura del partito è stata la carta che ha consentito di sconfiggere il centrodestra.
A parte la circostanza che in politica, come in qualsiasi altro campo, quel che fa la differenza non sono né il ricambio generazionale né innesti dall’esterno ma idee e programmi innovativi e realizzabili e se necessario cambiamenti di rotta, vorrei far presente che quello sardo è stato solo un cimiteriale fuoco fatuo.
Ma in realtà la sinistra italiana, il Pd e le sue appendici, non è così restia al rinnovamento, purché di facciata. Il suo problema è che persa la sua ragion d’essere storica dopo il collasso dell’Unione Sovietica e le trasformazioni culturali economiche e sociali intervenute a partire dal dopoguerra e in particolare negli ultimi cinquanta anni non ha saputo riposizionarsi in modo stabile e coerente. Già negli anni Ottanta dava segni di sbandamento e abbandonata la concretezza delle rivendicazioni sociali e cominciava a scadere nella retorica astratta dei “giovani” e delle “donne” alla ricerca di nuovi target elettorali. Quando quella vuota genericità e sostanziale vacuità hanno cominciato a riempirsi di contenuti si è creato un impasto ideologico del tutto estraneo alla tradizione marxista e la sinistra ha iniziato a scivolare verso le élite salottiere e un neo anarchismo tanto violento quanto privo di idee.

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Il suo asse si è sposato dalle fabbriche, dai campi, dai cantieri alle scuole, alle università, ai centri sociali e, con una contraddizione solo apparente ai salotti buoni della nuova borghesia; le sue battaglie, dopo essere state incentrate su un ridicolo pacifismo in assenza di guerra si sono focalizzate sull’aborto, sulle quote rosa e, dopo aver sfiorato il voto ai sedicenni, sull’ossessione linguistica maschile – femminile e sulla difesa a oltranza dell’ideologia LGTB evoluta in LGTBQIA+ in attesa di comprendere chi indulge a rapporti sessuali con animali. Più timidamente e sommessamente per non farsi sentire troppo dai suoi elettori ma con la determinazione che non viene tanto da valori etici ma da valori monetari e da affari incoffessabili, la difesa a oltranza dell’invasione e dell’islamizzazione. Tanto bastava perché se ne perdesse ogni traccia ma a salvarla dalla disgregazione ci ha pensato la robustezza di un’organizzazione che distribuisce fette di potere, privilegi e lauti emolumenti.

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Per Travaglio il problema sono le vecchie cariatidi del partito e l’assenza di facce nuove. Ma non si è accorto che a interpretare questa fase storica della sinistra (si fa per dire) ci sono, eccome, della facce nuove di zecca come la Salis (Ilaria, non quella borghesaccia di Torino), la Picierno che insidia la Schlein, Francesca Albarese. Da loro dovrebbe venire nuova linfa, sarebbero loro la vera alternativa alle destre e al vecchiume che ingessa il Pd. C’è da ridere per non piangere.
Intanto perché non si sa dove siano le destre, ma questo merita un discorso a parte, poi perché al di là della risonanza mediatica è il caso di considerare la portata politica di questo abbozzo di ricambio. La Salis pare un personaggio teleguidato, privo di consistenza interiore, identificabile non per quello che balbetta ma per le vicende che l’hanno vista protagonista: l’occupazione di case altrui per cui è stata inquisita e condannata e la spedizione punitiva a Budapest dove era in corso una manifestazione di nazionalisti anti Ue che gli è costata una condanna e il carcere per aggressione e lesioni. Per salvarla si sono mobilitati non solo l’AVS ma tutta la sinistra, che evidentemente ne condivide quella che pare sia la sua visione politica: l’esproprio delle case sfitte o con proprietari assenti (in vacanza o in ospedale o fuori a fare la spesa) e la realizzazione del motto: i fascisti non devono parlare (né esistere). Chi siano i fascisti lo decidono lei e i suoi compari.
Poi c’è la promessa di un partito nuovo, autenticamente progressista e dalla parte del popolo: quello a guida Picierno, l’alternativa alla logorroica e deludente segretaria. La novità consiste in una più decisa sterzata verso la Nato, verso il cuore dell’Unione europea, l’abbandono di ogni residua sovranità, la convinta adesione ai piani di aggressione alla federazione russa. Spaventoso, tanto più che non è il delirio di una mente malata ma trova un riscontro nel più accreditato giornalismo. Mi è capitato di leggere sulla pagina online del Messaggero uno sproloquio firmato dal suo ex direttore che rovescia senza pudore i fatti identificandosi completamente nella propaganda ucraina: l’Europa ritrova la sua dignità e si riprende il suo ruolo svincolandosi dall’ondivaga politica estera americana e facendosi l’unico autentico baluardo contro la minaccia russa, una Russia allo stremo (ma allora che minaccia è) che l’Ucraina col sostegno europeo e della Nato (con o senza gli Usa) è in grado di annientare. Insomma la nuova ragion d’essere di una sinistra rinnovata sta in un’Europa politicamente unita armata fino ai denti e pronta a invadere la Russia prima che siano i russi a invaderci (perché lo dovrebbero fare resta un mistero).

Francesca Albanese
E infine dal cappello del Pd esce Francesca Albanese, momentaneamente scesa dall’Olimpo delle Nazioni Unite dov’è alloggiata come “esperta dei diritti umani” (!) ma soprattutto patrona della causa palestinese, lei che qualche giorno fa a Reggio Emilia ha severamente rimbrottato il sindaco che le aveva consegnato un premio non so per che cosa. Il sindaco, fra le urla dei convenuti, si era azzardato a dire che per essere credibile Hamas dovrebbe rilasciare gli ostaggi. “Io la perdono sindaco, ha detto la signora, ma mi deve promettere che una cosa del genere non la dirà più”. Testuale, con l’aggravante che all’indomani del 7 ottobre si era dichiarata incredula e inorridita. È proprio vero che il tempo lenisce le ferite e sbiadisce i ricordi.
Dimenticavo il golden boy approdato all’ala moderata e intelligente della sinistra (non Calenda, non esageriamo, né i renziani), quella dei degeneri eredi della Minerva dei miei anni giovanili, quel Magi entrato rumorosamente sulla scena per poi svanire come un ectoplasma insieme al suo flaccido europeismo.
Ma di che parla Travaglio? i volti nuovi non fanno che accelerare la deriva del Pd e della sinistra, che si regge solo per le malefatte della destra allo stesso modo che la destra è puntellata da quelle della sinistra. Il popolo, la “ggente” come dicono nei circoli romani, reagisce disertando le urne o con la transumanza di voti che per disperazione vanno da FdI al Pd e dal Pd a FdI e ignora i ramoscelli ormai rinsecchiti da una parte e dall’altra; la vera alternativa se c’è è ridotta al silenzio.
Se non fosse che FdI e Pd, la falsa destra e la falsa sinistra, sono due facce della stessa medaglia, parto entrambi di una politica putrescente, se si giocasse a carte scoperte ad un tavolo senza bari, sarebbe chiaro e lampante che c’è una sedia vuota, quella di un partito radicato nella società italiana e non eterodiretto. Un partito libero da condizionamenti capace di mettere mano al dissesto culturale, formativo, amministrativo del Paese e di liberarlo dal cappio dell’Ue che lo sta soffocando. Con l’aggravante che ormai l’Ue è diventata la foglia di fico che copre il ritorno degli interessi e delle rivalità nazionali e lascia assoluta libertà di manovra non solo a Francia e Germania (e ovviamente Regno Unito, che ne è uscito fuori) ma a entità trascurabili come i Paesi baltici o la Polonia. Sembra che ci siano due Europe: quella ufficiale diretta dalla von der Leyen e quella di Macron, di Merz, di Starmer, organici con l’Ue quando fa loro comodo e sovranisti se i loro interessi divergono. Poi c’è l’Italia, serva di due padroni, Washington e Bruxelles con la Meloni che ne va fiera e pretende di far passare il suo nulla come un ponte o una mediazione. Due Europe che sono una peggio dell’altra, una più pericolosa dell’altra. Il loro collante è la mobilitazione bellicista di cui l’Ucraina è insieme complice e vittima, una mobilitazione giustificata da un’ossessione russofobica e alimentata quotidianamente da notizie false. Una mobilitazione che per l’eterogenesi dei fini giova all’industria degli armamenti ma è soprattutto indispensabile per mantenere in sella governi privi di consenso popolare e alle prese con economie traballanti. In questo quadro la posizione dell’Italia è surreale: è l’unico Paese che dalle sanzioni, dal conflitto latente con la Russia, dal riarmo ha solo da perdere e niente da guadagnare. Quello che tradizionalmente poteva contare con le migliori relazioni politiche culturali e commerciali con Mosca, con la quale non aveva mai avuto alcuna ragione di attrito o di rivalità. Ci si è supinamente accodati rinunciando completamente a far valere la nostra presenza: l’Italia è una nullità che rispecchia la nullità della Meloni, del suo partito e del suo governo (del quale Salvini colpevolmente continua a rimanere complice). Si è arrivati al punto che quando Zelenski, al quale fanno furbescamente eco dall’altra sponda dell’Atlantico e dai vertici Nato, spara la ridicola panzana che Roma è nel mirino di Putin nessuno nel governo la rispedisce al mittente. Non solo: con la lucidità e il senso dell’umorismo che lo distingue il ministro degli affari esteri la considera un monito di cui tener conto.
Un partito che non c’è e un sindacato che non c’è. Il partito che non c’è e avrebbe dovuto forte del consenso popolare costringere il governo a riallacciare rapporti amichevoli con la federazione russa, a riprendere sul serio il suo ruolo nel mediterraneo, a bloccare con fermezza e senza isterismi i flussi migratori (id est l’invasione). Ma soprattutto il partito che non c’è avrebbe la forza di mandare a casa questo sciagurato governo dopo aver neutralizzato lo spauracchio di un’alternativa allucinante fatta di Salis, Picierno, Albanese e dallo spettro di Draghi che si aggira per l’Europa. Perché è solo a causa di quello spauracchio che quel misero 13% di elettori consente alla Meloni e al suo seguito di occupare palazzo Chigi.
E quanto al sindacato che non c’è, uno sciopero generale l’avrebbe sì indetto ma contro le spese per la corsa dissennata al riarmo, contro le menzogne di chi millanta di aver diminuito la pressione fiscale quando l’ha aumentata, di aver incrementato salari e pensioni quando il loro potere di acquisto continua a calare, contro chi ha voluto accaparrarsi i fondi del PNRR per dilapidarli, contro chi ha ridotto stampa e televisioni a strumento della propaganda ucraina, contro chi dice di aver bloccato i flussi migratori che continuano a inondarci come e più di prima, di aver attuato un programma di rimpatri inesistente e non si riesce a rispedire da dove è e venuto nemmeno uno stupratore seriale, contro un governo e una maggioranza convinti di poter impunemente mentire e prendersi gioco degli italiani.
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Articolo oso dire magistrale. Quando però conclude con “prendersi gioco degli italiani”, mi chiedo se gli italiani siano davvero così migliori dei loro governi. A me sembra invece che una sua parte -minoritaria- sia stata definitivamente anestetizzata, perché, quando si reca alle urne, vota sulla base di argomenti viziati in partenza dalla loro inconsistenza, dalla loro estraneità ai problemi quotidiani degli italiani. Di qui il crescente assenteismo, cioé l’auto-bavaglio di chi preferisce non esprimersi. Insomma, il meglio degli italiani, quelli che non si fanno incantare, sembra stare proprio lì, tra gli assenteisti. Ecco dove ci ha portato questa pseudo-democrazia, con l’elezione al potere da parte della “peggio Italia”, degli anestetizzati, col risultato speculare di chi sale a palazzo Chigi (quanto al Quirinale, gli italiani tutti non contano, l’inquilino se lo scelgono i partiti). La parte migliore di noi è in attesa, forse dal 1948, di un partito che la rappresenti. E mi sia consentito azzardare che un partito, ancora all’angolo, si sta delineando: Democrazia Sovrana Popolare, di Marco Rizzo. Ascoltando alcuni suoi discorsi li trovo sostanzialmente in sintonia col mio pensiero. Salvo future sorprese