Il vicolo cieco della Palestina

Il vicolo cieco della Palestina
Chi ha pagato il conto della soluzione della questione ebraica

Non voglio scomodare i soliti Einstein e Freud, due ebrei senza i quali la cultura europea e occidentale sarebbe altro da quello che è e sorvolo sulla circostanza che l’Ethica di Spinoza, anche lui ebreo, è uno dei pilastri della filosofia moderna, quello che segna la rottura definitiva fra filosofia e religione. Mi basta ricordare che nonostante i tentativi di emarginazione fomentati dall’odio di classe e dalla Chiesa gli ebrei sono stati pienamente integrati nella componente evoluta delle società europee e in particolare di quella italiana.  È motivo di orgoglio per la nostra comunità nazionale il fatto che nonostante la presenza invasiva del clero e la sudditanza morale al cattolicesimo l’antisemitismo non si sia mai manifestato nelle forme parossistiche della Spagna, della Francia, dell’Inghilterra e dell’Europa centro orientale, dove le comunità ebraiche sono state rigidamente ghettizzate e periodicamente perseguitate o cacciate.  Accadde nel 1492 nella Spagna di Torquemada, si è ripetuto nel 1933 nella Germania nazional socialista.  Ma nonostante tutto gli ebrei sono stati una componente essenziale delle rispettive comunità nazionali e la cartina di tornasole del loro livello di civiltà e di uscita dall’oscurantismo.

La vicenda geopolitica della Palestina è ovviamente connessa con quella del popolo ebraico ma se ne distacca nettamente a partire dalla prima grande diaspora seguita alla distruzione di Gerusalemme per mano romana.  Basti dire che le Crociate sono state la Guerra Santa per strappare all’Islam i luoghi sacri della cristianità: una faccenda fra la Croce e la Mezzaluna dalla quale gli ebrei sono esclusi. Lo stesso nome, imposto proprio dai romani per cancellare la superstizione, parole di Tacito, sostituendola con la pietas, la restituisce idealmente ai filistei e all’oriente ellenistico finché non diviene patrimonio cristiano prima e terra araba dopo.  Una terra tormentata per la difficile convivenza fra le residue comunità ebraiche, il sostrato etnico, i nuovi venuti e gli insediamenti cristiani, a dimostrazione di quanto possa essere lacerante all’interno di una medesima nazione il fanatismo religioso.  Interrotto il flusso di pellegrini cristiani, che di fronte al comune avversario aveva avvicinato ebrei e musulmani, l’inizio della migrazione di ritorno verso la Terra Promessa causato dalle politiche persecutorie dei paesi europei aggiunse al contrasto religioso quello culturale ed economico. Un contrasto che diventa esplosivo nel corso del Novecento, quando al movimento sionista innescato dall’antisemitismo francese – l’affaire Dreyfus- si aggiungono le leggi tedesche in un crescendo pauroso dal 1933 alle dichiarazioni di Norimberga del 1935 che davano veste giuridica al mito ariano provocando un’ondata migratoria di ebrei verso gli Stati Uniti e in buona parte verso la Palestina. Questa nuova migrazione è all’origine della occidentalizzazione della componente ebraica della Palestina, che diventa esplicitamente un corpo estraneo e ostile nei confronti degli indigeni, destinai ad arretrare davanti ai conquistatori europei.

Un ritorno dopo la diaspora che non solo aggrava l’incompatibilità economica, religiosa, sociale e culturale con gli arabi ma di riflesso trasforma una questione locale in un problema internazionale, rende impraticabile il progetto di costruzione di uno Stato palestinese multi religioso e fa di Israele, ufficialmente nata nel 1948 su una parte del territorio palestinese, un avamposto del’Occidente nel medio Oriente arabo.

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Utopia lo Stato palestinese vagheggiato fra le due guerre mondiali per l’incompatibilità fra arabi e ebrei, il cui numero era in continua crescita. In seguito,  per gli ebrei che avevano combattuto a fianco degli anglo americani contro gli arabi alleati del’Asse Israele era un risarcimento per l’Olocausto: superato il sionismo, che a seconda della prospettiva poteva sembrare una deportazione sulla quale anche Hitler si sarebbe trovato d’accordo, ora lo Stato ebraico diventava una riparazione di fronte alla quale la presenza indigena era un ostacolo da rimuovere, giustificato dall’ottuso fanatismo dei gruppi palestinesi organizzati.  Ma se era tramontata l’idea dello Stato israelo-palestinese la soluzione alternativa per rabbonire gli arabi, quella di due popoli due Stati, non aveva miglior fondamento.  Al di là della retorica è un’altra utopia quella  di due entità politiche antagoniste addossate l’una all’altra, in perenne stato di guerra ma con un intollerabile squilibrio militare ed economico e la crescente pressione demografica israeliana.  Un focolaio, insomma , una polveriera, utile solo a mantenere un clima di instabilità in tutta l’area.

Ed è così che un problema grave, addirittura insolubile ma locale, diventa motivo di disordine mondiale perché gli Stati Uniti sono legati a doppio nodo con Israele – un legame politico palese al quale se ne aggiunge uno finanziario occulto.- Israele, con la sua sola presenza e il suo espansionismo alimenta il radicalismo islamista e il terrorismo, impedisce il normalizzarsi delle relazioni dell’Iran con l’Occidente, favorisce il riaccendersi delle tensioni interne al mondo arabo fra sciiti e sunniti, rafforza il revanscismo turco, simmetrico a quello ridicolo francese e inglese e ora anche tedesco.  Se, infatti, si guarda ai nuovi equilibri mondiali è perfino patetica l’illusione degli eredi dell’impero coloniale britannico di contare ancora qualcosa;  in Germania per un curioso paradosso storico-politico l’AfD, accreditata come l’ultradestra, sarebbe stata l’unica forza politica capace di contrastare il bellicismo democristiano e socialista ma nonostante il clamoroso successo elettorale è stata “democraticamente” messa da parte.  Quanto alla Francia, il ruolo di Macron non discende da un mandato popolare ed è la prova provata del fallimento del concetto stesso di democrazia.  Questo vuoto politico finisce per dare credibilità al nuovo Sultano le cui ambizioni possono favorire il dilagare di una Grande Israele e il conseguente stritolamento di ciò che sta in mezzo.

Nella storia come nella politica homo homini lupus, anche quando si traveste da agnello.  Buone maniere e buoni sentimenti sono foglie di fico che nascondono le vergogne dell’odio verso l’altro, dell’interesse personale e di gruppo, della ricerca di un capro espiatorio per le proprie nefandezze. Quando diventano strumento politico “democrazia”, “giustizia”, “libertà” perdono ogni significato.  Le grandi manifestazioni di massa sono in realtà espressione di minoranze che lasciano indifferente il popolo vero e nelle piazze dei facinorosi che si scontrano con la polizia per sostenere oggi la causa palestinese ieri non ricordo neppure quale altra nobile causa non c’è altro che una grande miseria umana e totale assenza di intelligenza e sincerità.  Nient’altro che scarica ormonale, ubriacatura collettiva, reazione alla consapevolezza della propria nullità, smania di protagonismo di aspiranti politici, distruttivismo infantile.  Insomma, per essere più esplicito: agli studenti “pro pal” della Palestina e dei palestinesi non importa assolutamente nulla e nulla sanno del cul de sac creato dalla risoluzione dell’Onu del 1948.  Peggio di loro solo i politici e i governanti europei, unanimi nel condannare Netanyahu, addirittura criminalizzato dal tribunale dellAja, fermi nel rivendicare la fine del massacro di palestinesi ma abilissimi nel tenere i piedi in due scarpe e nel continuare allegramente la compravendita di armi con Israele, con la quale si guardano bene da rompere i ponti,  mentre a Bruxelles non sfiora nemmeno l’idea di imporle sanzioni.  Si condanna a parola Israele per compiacere il popolo bue, ci si rifugia nell’ipocrisia dello “state esagerando” e mentre si esecra il terrorismo si arma un dei suoi esponenti di punta per rovesciare il governo siriano e si sorvola sui torbidi rapporti che legano i terroristi islamici all’Ucraina. E a fare le spese di questa deplorevole ambiguità sono gli ebrei europei che hanno resistito al sionismo, vittime di uno strisciante rinvigorito antisemitismo che, guarda caso, solo nella Russia di Putin non ha modo di attecchire.

Pierfranco Lisorini

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