IL VALORE DEI SOLDI

La ridda di tasse imposte dalla Corona Britannica sui coloni americani creò una ribellione generale e infine la Guerra d’Indipendenza del 1775-1783. Ne nacquero gli embrionali Stati Uniti che si dettero una Carta Costituzionale comune. In essa si tenne subito a specificare, all’art. 1, sez. 10, che cosa potesse qualificarsi come denaro, dopo il ripudio formale della sterlina.

Le tasse, imposte in misura massiccia dalla Gran Bretagna sulle sue 13 colonie americane, funsero da scintille che deflagrarono nella Guerra d’Indipendenza e nella fondazione dei primi Stati Uniti. Qui sopra l’originale della Carta Costituzionale

Per confronto, la nostra Costituzione riserva ai soldi uno sparuto angolino, all’art. 47, dove afferma che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.
La Costituzione americana invece specifica, con buona pace della sterlina britannica, sino allora imposta come unica valuta legale, che “Nessuno Stato attribuirà corso legale ad altro che non siano monete d’oro e d’argento per il pagamento dei debiti”.
Si tratta di un ben delineato punto fermo, a dispetto di quanto nella pratica i greenbacks, i verdi dollari cartacei, abbiano successivamente avuto partita vinta, ma siano stati oggetto di una secolare e tormentata battaglia tra Stato e banchieri.<Il nocciolo della battaglia, senza esclusione di colpi, e con cadaveri eccellenti a livello di Presidenti USA, verteva su chi avesse la facoltà di stampare moneta. Un Congresso semideserto, per le imminenti vacanze natalizie, il 23 dicembre 1913, attribuì al pool dei banchieri, ossia alla Banca Centrale, la Federal Reserve (Fed), ad hoc costituita, questa facoltà, che dura tuttora. Veniva sancito così il principio che ad emettere moneta non fosse lo Stato, bensì un istituto privato, trasformando di conseguenza il denaro da pubblico a privato. Il fine precipuo di questo istituto fu definito come il mantenimento del potere d’acquisto del dollaro. Come questo principio rimase una formula vuota, lo vediamo dai numeri.

Il grafico mostra chiaramente come il dollaro (e ogni altra valuta non legata all’oro) abbia ridotto via via il suo potere d’acquisto, che invece l’oro ha mantenuto saldo nel tempo.

Nel 1900 bastavano $ 20 per l’acquisto di un’oncia d’oro. Oggi ce ne vogliono sui $ 3.400. In sostanza, a quei tempi compravi con $ 20 gli stessi beni che oggi devi pagare $ 3.400.

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Questo divario stellare spiega il formarsi di una tendenza, da parte di vari Stati, a riconsiderare il dettato della Costituzione, la quale, nonostante la vetustà e i grandi cambiamenti succedutisi in oltre 2 secoli, dimostra tutta la sua validità. Ciò significa che l’oro (e l’argento) è il miglior antidoto contro l’inflazione e la svalutazione monetaria.
Una svolta così radicale nel mondo monetario non attecchisce in tempi brevi, in quanto deve vincere le poderose resistenze sia della grande finanza, ormai adusa a destreggiarsi con meri numeri su un computer, che dello stesso apparato governativo, che ha finito per considerare come pubblica una moneta che in realtà è alla totale dipendenza degli interessi dei banchieri, anziché a quelli della popolazione.
Eppure, sembra che la spinta decisiva degli ultimi anni a sostituire come riserva di valore l’oro anziché il solito dollaro, accrescendone quindi le quotazioni, sia partita proprio in una riunione dei banchieri centrali nella sede della “banca centrale delle banche centrali”: la BRI con sede a Basilea. Se per tanti, troppi anni era il dollaro a farla da padrone come valuta di riserva, a partire circa dal 2018 è attribuibile proprio a quella delibera congiunta l’impulso ad accumulare oro da parte delle banche centrali, sostituendo il dollaro, che ha di pari passo perso gran parte del suo appeal, e quindi del suo valore di cambio rispetto alle altre divise. Il criterio di base sembra essere stato: dato l’enorme volume di transazioni nel mondo, c’era troppo poco oro per fare da sottostante. Ma se gli si aumenta il valore, stimolato da massicci acquisti delle banche centrali, l’abissale distanza tra oro e transazioni si accorcia di molto; e almeno una parte degli scambi commerciali e dei pagamenti tra cittadini potrebbe tornare ad essere fatta con monete d’oro (e d’argento), garantendo le stesse la stabilità del potere d’acquisto che le valute cartacee e digitali hanno dimostrato di non possedere

Il grafico del Bitcoin, in un arco di tempo molto più breve, ricalca un po’ quello dell’oro; tanto da farlo definire da alcuni “l’oro digitale”. Trattandosi, appunto, di qualcosa di digitale, ne assume tutta l’evanescenza

Ho già scritto in precedenza che questo disamore per il dollaro non è stato certo un capriccio della BRI, bensì la presa d’atto della diffusa reazione a troppi anni di strapotere americano, nonché di ripetute, eccessive sanzioni USA contro le nazioni “non allineate”, fino alla confisca dei loro beni depositati in banche occidentali, determinando così la fuga dal dollaro, in direzione dell’oro, che non ha connotazioni nazionali. La nascita dei BRICS è una conferma di ciò da parte del c. d. mondo del Sud, i cui scambi commerciali tra nazioni del gruppo avvengono ormai in valute locali, con priorità data allo yuan cinese, ma con modalità ben diverse da quelle prevaricanti del dollaro.
Se ciò sta avvenendo a livello di nazioni e delle rispettive banche centrali, all’interno degli USA, come già accennato, sta succedendo qualcosa di analogo da parte di vari Stati nel decretare oro e argento come moneta corrente, avente valore legale, facendo appello alla Costituzione: [VEDI] Ohio, Pennsylvania, New Hampshire, South Carolina, Texas e Louisiana sono i primi Stati ad aver legiferato in tal senso; mentre la Florida, come primo passo, ha abolito le tasse sull’acquisto-vendita di oro. Anche questo è sintomo della volontà di saggiare il terreno verso il riconoscimento del pieno valore legale delle monete d’oro e d’argento.
Il concetto è: una moneta d’oro o d’argento non va vista come un investimento, con la relativa applicazione delle tasse sull’incremento di valore, bensì come denaro in sé, e in quanto tale esente da imposte nel suo percorso di accrescimento del potere d’acquisto. Come sarebbe illogico tassare l’eventuale incremento del potere d’acquisto delle banconote.

Monete d’oro e lingotti. Il loro valore è intrinseco, non dovendo ricorrere a validazioni esterne

In Italia, fino ad una dozzina di anni fa, non c’erano tasse sull’aumento del valore di mercato delle monete d’oro; ma lo Stato ha alfine deciso di tassare al 26% il loro extra valore, né più né meno come si applica alla compravendita di azioni di Borsa. In Europa, finora, nessuna nazione ha visto il sorgere di movimenti pro valore legale delle monete auree. La BCE sta, in direzione opposta, impostando la propria moneta digitale, che, in sintonia con l’attuale digitale, presenta gli svantaggi del mancato possesso fisico e quindi della sua sparizione o confisca a seconda degli umori di governo, enti pubblici, banche stesse. Vantaggi zero.
Quando mai gli Stati studieranno misure a vantaggio dei loro cittadini, anziché ad ingigantire i propri, già sproporzionati, interessi? In sostanza, ci ritroveremo con le tasche vuote e tutti i nostri risparmi nelle mani di banche e governo. Si instaurerebbe lo Stato Etico, che deciderà per noi la liceità delle nostre spese, bloccandole dall’alto se non in linea con le norme del governo (e delle banche dietro di esso).

La strana coppia: Trump e Powell, il governo e la Fed. Il primo vuole che il secondo abbassi i tassi, ossia gli interessi che i Treasuries devono pagare per attirare investitori esteri. Se Trump l’avesse vinta, nell’attuale contesto di fuga dai Treasuries, i compratori si dileguerebbero ancor più, e il dollaro continuerebbe a deprezzarsi. Altro che MAKE AMERICA GREAT AGAIN

Insomma, solo con le monete auree ed argentee possiamo esser certi di esserne reali e pieni possessori, incuranti di inflazione e svalutazione; mentre con le banconote, ciò è vero solo come meri possessori di carta, priva però di valore intrinseco, e come tale esposta a tutti i capricci del mercato e dello Stato. Le banconote possono salvare in momenti di blackout elettrico, come successo recentemente in Spagna (ma non la loro erogazione attraverso i bancomat), ma non tutelano contro i più frequenti collassi finanziari e ancor meno contro il mostro strisciante dell’inflazione.

Anziché raffrontare oro e inflazione, che nel primo grafico dimostrano la reciproca indipendenza, è molto più appropriato il confronto tra oro e debito pubblico americano, come indicato dal secondo grafico. [VEDI] E aumento del valore dell’oro significa deprezzamento del valore del dollaro

Se pensiamo che fino ai primi anni di questo secolo l’oro era considerato un “relitto del passato”, bisogna riconoscere che ha dimostrato di essere la nostra unica àncora di salvezza contro inflazione e svalutazione.

Marco Giacinto Pellifroni   11 maggio 2025

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