Il trionfo del nihilismo
A distanza di quindici anni mi capita di tornare a Roma. Lo faccio senza entusiasmo perché nonostante sia passata tanta acqua sotto i ponti del Tevere non ho ancora elaborato il fastidio e la frustrazione per la mano che nella calca della metro si era insinuata nel mio borsello portandomi via il portafoglio. Ero corso dietro alla giovane zingara e l’avrei acciuffata se non fossi stato bloccato da due poliziotti che mi consigliarono, o meglio mi imposero, di lasciar perdere. Ora la calca è la stessa e una voce dall’altoparlante avverte della presenza di borseggiatori e invita a stare in guardia. Strippato da tutte le parti salgo sul treno preceduto da mia moglie che si volta verso di me gridando qualcosa. Abbasso lo sguardo e vedo il marsupio aperto mentre le due ragazze che mi stavano addosso scendono prima che si chiudano le porte.
Ne è passata acqua sotto i ponti del Tevere, si sono succeduti governi e sindaci ma l’unica cosa che è cambiata è l’etnia dei ladri: prima erano rom ora sono latinos. E non ci sono poliziotti che proteggono la fuga delle zingarelle.
Il convegno al quale partecipa mia moglie si tiene in un albergo a una decina di chilometri dal centro cosicché mi viene risparmiata la marea di un turismo cialtrone inebetito e sporcaccione e un traffico da megalopoli del terzo mondo. Al momento di tornare ci teniamo alla larga dai mezzi pubblici e ci facciamo accompagnare alla stazione dal taxi guidato da un’affabile e loquacissima signora che in quaranta minuti ci fa un dettagliato resoconto del degrado della Città Eterna e ci partecipa il suo personale accorato bisogno di cambiare vita e orizzonte. Sul tragitto dall’atrio della stazione al marciapiede parola non vi appulcro, penso piuttosto a quando venne inaugurata la stazione Termini, simbolo della rinascita del Paese e al film che ne fece Vittorio De Sica. Era il 1953; che tristezza…
Simpatica e intelligente la tassista ma non sono riuscito a interagire con lei per il romanesco declinato al femminile che inesorabilmente mi imponeva volto voce e movenze della nostra non a caso lodatissima presidentessa. Elly se ne deve fare una ragione: si può e si deve dire peste e corna di Salvini, si può diffidare dell’inconsistente Tajani ma la Meloni va lasciata stare: ha rimesso la destra sulla strada giusta, persegue un atlantismo senza sbavature, tiene fermamente l’Italia al giogo di Bruxelles e della Nato e se non ha votato per la rielezione della von der Leyen l’ha fatto quando era sicura che sarebbe stata comunque eletta. Non ti voto perché il mio voto è superfluo e in questo modo neutralizzo Salvini e lo metto a cuccia.
L’Europa, nel senso dell’Ue, non coincide più con quell’asse franco- tedesco che a noi italiani poteva dispiacere ma aveva il merito di porre fine a secoli di instabilità e discordia cronicizzata. Ora Il baricentro dell’Ue si è spostato verso est, verso il vuoto politico, economico, culturale. L’Ucraina, adottata non per quello che potrebbe essere o diventare ma per quello che non è, valorizzata per la sua nullità politica ed economica, usata in funzione antirussa, il suo popolo messo nelle mani di una minoranza corrotta e senza scrupoli, un popolo al quale viene fatto pagare un prezzo altissimo col miraggio di entrare a far parte di un Occidente che fingendo di volerlo accogliere lo manda al macello per i propri interessi.
Il continente non sarà mai uno Stato, nemmeno se il Regno unito tornasse all’ovile, perché è privo dei prerequisiti culturali storici e soprattutto linguistici: chi intende costruirlo non lo fa sommando ma sottraendo, il suo denominatore comune è solo nella negazione, nella rinuncia, nella nullificazione. Tant’è che in Italia i più convinti fautori dell’Europa unita sono gli stessi che considerano gli immigrati illegali “cittadini extra comunitari” togliendo al concetto di cittadino ogni significato. Tutti cittadini vale a dire nessun cittadino, e nemmeno l’ombra della sovranità popolare, nessun autentico peso politico, nessuna partecipazione, nessuna funzione di controllo e nessun diritto che non sia una graziosa concessione da parte di un Potere usurpato. La farsa delle elezioni europee dovrebbe servire di lezione a quanti, come me, si sono presi l’incomodo di andare a votare.
Meloni e Von der Leyen sono accomunate dalla stessa mancanza di personalità politica, prive come sono l’una e l’altra di idee forti, di una visione, di una spinta ideale. La loro non è nemmeno cupidigia di potere, che non hanno, ma semplice ambizione di apparire, voluttà di occupare il centro di una scena che riserba loro il ruolo di portavoce e interpreti di decisioni prese altrove. Ed entrambe incapaci di vedere dove ci porta il delirio bellicista di chi per salvare il dollaro metterebbe a repentaglio la vita stessa del pianeta.
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Roma fu il mio primo luogo di lavoro dopo aver conseguito a Milano la laurea nel febbraio 1961. Ci rimasi 1 anno. Era l’epoca della Dolce Vita, e Roma aveva un fascino tutto suo. Ci sono tornato per vari motivi saltuariamente sino a qualche anno fa. Ad ogni mia visita potevo graficamente constatare il suo accelerato degrado urbano, che cominciò con la rinuncia delle varie Amministrazioni capitoline a riparare strade e marciapiedi. Per mia fortuna ho evitato di constatarne, come Lisorini, lo sfacelo, non solo urbanistico, degli ultimi anni. Ormai vado poco anche a Milano, mia città natale e di elezione. Ma sento che, quanto a degrado e criminalità, fa a gara con Roma. Non ho mai rimpianto di esserne fuggito, sfidando lo spettro della disoccupazione, decenni or sono, per vivere in un piccolo centro rivierasco; anzi, mi rallegro per la mia lungimiranza. L’unico lato negativo è che, per 2 mesi all’anno, Milano e Torino si trasferiscono qui, e il paese si trasforma in una loro caotica appendice…