Il tempo della follia

Il tempo della follia
La genitorialità indipendente dalla riproduzione

Il tempo della follia 

La genitorialità indipendente dalla riproduzione

 Non mi piacciono i convegni, men che mai quando sono ecumenici.  Quanto alle manifestazioni di piazza, in tutta la storia moderna ce ne saranno state tre o quattro che hanno lasciato un segno, le altre sono solo carnevalate. Pertanto, riguardo a quello che è successo a Verona, ho guardato con un po’ di diffidenza alla Convention, chiamiamola così, sulla famiglia e con disgusto a chi l’ha contestata in nome dell’amore LGTB. Con disgusto non solo nel merito ma soprattutto per la circostanza che se a sinistra si celebra, si commemora o comunque si esprimono pubblicamente delle opinioni su qualunque oggetto nessuno rifiata, nessuno contesta nessuno scrive sui muri o minaccia sfracelli mentre ogni volta che si fa sentire una voce in contrasto col Pensiero Unico e  la Verità Rivelata si mobilitano i Custodi del Verbo, i sindacati, l’Anpi (ma non sono ancora morti?) e i bravi ragazzi dei centri sociali.  


 

Luci e ombre nel movimento per la vita

Trovo legittimo che ci siano singole persone e associazioni che difendono il diritto alla vita o che sono preoccupate della bassa natalità nel nostro Paese, magari perché hanno in mente la sfrenata natalità nel terzo mondo e, qui da noi, degli stranieri. Trovo deplorevole l’atteggiamento della Chiesa cattolica, che continua a condannare l’aborto e a ostacolare la contraccezione ma nel contempo ha creato e alimentato lo stereotipo dalla “ragazza madre”, che va perdonata come una peccatrice quando se ne dovrebbe lodare il coraggio e l’indipendenza. E, siccome ho buona memoria, non dimentico gli attentati in America contro ospedali e medici impegnati nella interruzione di maternità indesiderate e non mi sento di escludere che qualcosa di quel fanatismo criminale sia rimasto e circolasse anche nel convegno veronese. 

La centralità della donna

La genitorialità va tutelata, incoraggiata, sostenuta in tutti i modi ed è banale riconoscere che il soggetto principe della genitorialità è la donna, sulla quale grava il peso, ma anche il privilegio, di garantire la continuità del nostro popolo, della nostra storia, della nostra civiltà. Un peso che una donna può trovarsi a sopportare da sola, per libera scelta o costretta dalle circostanze, ma che di norma viene sostenuto dalla coppia, la madre e il padre, che creano con la famiglia la cellula della società civile, il luogo in cui, nella nostra cultura, si pongono le basi dell’inculturazione. Il nucleo di questa cellula rimane costante nella nostra storia come nella storia di tutto il genere umano ed è il caso in cui cultura e natura combaciano. Ciò non toglie che in epoche diverse, in culture e in classi sociali diverse questa cellula sociale si presenti in modi multiformi.  Ai due estremi si collocano la familia della Roma arcaica, una vera piccola società gerarchizzata con a capo il pater familiase la famiglia borghese, nella quale rimane solo il nucleo, la moglie e il marito con la loro prole. 

Questa famiglia, come sapeva bene il buon Carlo Marx, la famiglia finalizzata all’educazione dei figli e alla conservazione del patrimonio, è un’istituzione tipicamente borghese, rinforzata dall’amore  e punto di arrivo di un rapporto di coppia, il futuro padre e la futura madre, liberamente formatasi. 


Che c’entra il medioevo?

Che cosa abbia a che fare col medioevo rimane un mistero. Ed è anche un mistero l’associazione del medioevo alla repressione sessuale o ad un esasperato moralismo.  Nel medioevo c’era tanta superstizione – ma nell’antica Roma non ce n’era meno – ma ben poca repressione: a parte il Boccaccio, che tutti conoscono, qualcuno vada a leggersi la Celestina  o poeti come Giacomino Pugliese, poi parli. Il moralismo e la sessuofobia sono indubbiamente stati facilitati dalla Chiesa ma sono essenzialmente un frutto della cultura borghese ottocentesca, per la quale l’adulterio e la libertà sessuale rappresentavano un attentato all’integrità del patrimonio.  Ma, in generale, la nostra storia, per quel che concerne i comportamenti sessuali, il ruolo degli affetti, le cure parentali, non ha seguito un percorso lineare. Nell’ancien régime il nobile imparruccato era più sollecito verso i suoi cani che verso i figli e la moglie dal canto suo più che al ruolo di madre badava a quello di organizzatrice di balli. I romani celebravano Cornelia, quella che esibiva come propri gioielli i figli, proprio perché le matrone tendevano a scrollarsi di dosso il peso della maternità e a scaricalo sulle serve. Nel mondo contadino i figli erano preziosi come braccia da lavoro e allevati come tali. L’amore nel matrimonio è pressoché sconosciuto nel medioevo, il che non significa che uomini e donne non si innamorassero. I valori all’interno della coppia coniugale sembrano essere più il rispetto, forse l’affetto ma non certo la passione. Quando è testimoniata si tratta di coppie sui generis, come quella formata da Abelardo e la sua allieva.

Insomma, sentir dire da persone che occupano posizioni di prestigio che la centralità della famiglia (con l’aggettivo stupefacente di “tradizionale”) ci riporta ai secoli bui del medioevo dimostra solo quanti danni ha fatto il 68 alla scuola. 

Lo Stato deve tutelare la procreazione non l’istituto familiare come tale

Ma la centralità della famiglia non ha niente a che fare col matrimonio o col tipo di matrimonio. La centralità della famiglia è in realtà la centralità della procreazione e delle cure parentali, che, salvo il caso comunque eccezionale della donna che affronta da sola una gravidanza voluta o no, presuppone che due persone decidano consapevolmente di mettere al mondo un figlio e di occuparsene creando de facto una famiglia. Questo e solo questo è il motivo per cui lo Stato tutela la famiglia chiedendo come condizione un impegno fra le due parti, che, senza tanti giri di parole, sono un maschio e una femmina.  L’aver spostato il baricentro dalla procreazione alla natura di quell’impegno, il matrimonio, è un residuo di confessionalismo. 


Perché un “single” dovrebbe avere meno diritti di una coppia omosessuale?

 Ma non c’è alcun motivo perché lo Stato debba tutelare una coppia composta da due uomini o due donne che decidono di vivere insieme sotto lo stesso tetto. La circostanza che i due si amino,  abbiano fra di loro un commercio carnale e si impegnino alla reciproca fedeltà è di natura squisitamente privata, non porta alcun giovamento alla società e non può riguardare lo Stato più di qualsiasi accordo societario. La ministra Trenta che si compiace dell’unione di due signore che militano nella nostra marina militare è un segno del generale disorientamento giustificato solo in parte dal moralismo ottuso di un recente passato. 

Famiglia e matrimonio fra natura e cultura

Resta il problema del tipo di suggello che stringe i due soggetti, un virtuale padre e una virtuale madre. La Chiesa, quella stessa che ora strizza l’occhio alle coppie omosessuali, ha fino a ieri ossessivamente preteso di tenere nelle sue mani quel suggello, compreso il costosissimo diritto di risolverlo (con tanto di avvocati specialisti accreditati presso la Sacra Rota). Con un po’ di ritardo e qualche affanno a partire dal 1866 sono arrivati il divorzio, il matrimonio col solo rito civile e infine le unioni civili come forma attenuata di matrimonio, che avrebbe dovuto normare le convivenze – concubinaggi per la Chiesa – ed hanno invece finito per produrre lo sbandamento che ha portato come risultato all’idea che esistano tipi di famiglie svincolate dal genere

Dio, Patria e Famiglia sono valori fascisti?

Le menadi del femminismo e i coloratissimi ideologi LGBT sono convinti che la famiglia insieme a dio e alla patria siano un retaggio fascista; i più colti, si fa per dire, temono che per i loro tramite si ripiombi nel buio del medioevo.  Se il medioevo è tirato in ballo a sproposito, quella che il regime poggiasse sul treppiede ”dio-patria-famiglia”  è opinione ancor più fantasiosa, anche se potrebbe far piacere a qualche nostalgico con le idee poco chiare. Fermo restando che il regime incoraggiava la natalità e la sosteneva concretamente, tant’è che dalla seconda metà degli anni Venti dello scorso secolo  dopo la creazione  dell’ONMI si moltiplicano gli asili, si vara un piano imponente di colonie estive, viene drasticamente abbattuta la mortalità infantile e contemporaneamente fioriscono gli studi pedagogici, è banale riconoscere che la monarchia e il partito, ciascuno a suo modo, alimentassero il culto della Nazione e della Patria. Ma vorrei vedere quale governo o quale classe politica in Italia dall’unità in poi – prima che nella stanza dei bottoni entrassero i cosacchi in giacca e cravatta – abbia rinnegato la Patria. Per la verità, almeno a parole, non lo facevano nemmeno i comunisti del Pci.  Quanto a Dio, penso ci si voglia riferire ad una fede grossolana e bigotta, diciamo clericale, e non vedo che cosa c’incastri col fascismo, che aveva un orientamento esasperatamente laicista se non addirittura anticlericale. Lascio da parte il caso personale del Duce, quello che sul palco sfidava il padreterno a farlo secco per dimostrare la sua esistenza, il regime è stato caratterizzato da una feroce rivalità fra organizzazioni cattoliche e organizzazioni fasciste, fra indottrinamento religioso e indottrinamento fascista. Siccome qualcuno nel governo, commentando la sua presenza a Verona, ha raccomandato a Salvini di studiare, la medesima raccomandazione la farei non solo a quelle menadi e a quei personaggi pittoreschi che esibiscono i propri gusti erotici ma anche al Capo del governo e dintorni. Il fascismo, nel suo nocciolo duro, aveva assunto in sé l’eredità futurista e quella fiumana-dannunziana: roba trasgressiva, irriverente, dileggio verso i preti e la Chiesa, amore libero e libero pensiero.  Altro che dio, patria, famiglia, una formula che semmai rimanda dritto dritto al severo e lugubre Mazzini, severo e lugubre nell’aspetto e per carattere ma non certo oscurantista. 

 

Che ci sia di retrogrado o oscurantista nella fede religiosa, nell’amor di Patria e nell’attaccamento ai propri familiari qualcuno me lo dovrebbe spiegare.  È il solito manicheismo dei compagni, incapaci di comprendere la diversità, loro che si fanno paladini delle diversità. Non capiscono che un uomo libero può avvertire la presenza di Dio dentro di sé e fuori di sé o può risolvere il senso del divino nell’ordine e nella razionalità delle cose; l’uomo libero è geloso dei propri sentimenti e della propria intimità, non sbandiera i propri dubbi, le proprie paure o la propria angoscia di fronte all’infinito. Tanto meno le proprie inclinazioni sessuali anche se è consapevole che la continuità della specie è garantita dalla natura, dalle leggi ferree della natura contro cui cozza la ridicola pretesa di introdurre la variante “genitori dello stesso sesso”, maschio-maschio o femmina-femmina. E sulla famiglia come valore: l’uomo libero è fiero della propria autonomia, ha reciso il cordone ombelicale con chi l’ha generato ma conserva come un bene prezioso l’amore filiale e il ricordo di quelli che l’hanno cresciuto e verso i quali è debitore della vita. Perché l’uomo libero è immune dal nichilismo di chi odia la vita essendo incapace di gestire la propria e cerca di camuffare il proprio fallimento scaricando sull’avversario di turno, ora tocca a Salvini, la somma dei propri risentimenti e delle proprie frustrazioni.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

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