IL “MANIFESTO”

IL “MANIFESTO”
COMPIE QUARANT’ANNI

IL “MANIFESTO”
COMPIE QUARANT’ANNI

Il “Manifesto” compie quarant’anni.

Un percorso straordinario, quasi incredibile, se pensiamo alle difficoltà materiali, organizzative, economiche incontrate da un soggetto che, via, via si è trasformato profondamente dal punto di vista culturale, politico, dei riferimenti sociali, del modo di intendere l’informazione, nell’uso delle tecnologie (sotto quest’ultimo aspetto sempre all’avanguardia, in verità, fin dai tempi della “teletrasmissione”, ed eravamo ancora negli anni’70).

Per chi ha appartenuto , fin dall’inizio,all’area politica all’interno della quale il “Manifesto” è nato all’epoca della rottura con il PCI e della rivista ( un’area politica chepossiamo ancora definire “sinistra comunista”, riferendoci a quel tempo?) ed anzi, ha anche partecipato in prima persona alla vicenda della costruzione di un soggetto politico di riferimento ( quel  PdUP un po’ negletto che, a mio giudizio personale, è forse stato più importante sotto certi aspetti, di quanto non abbia rilevato, successivamente, la ricostruzione di quel periodo svolta dalla pubblicistica corrente) l’occasione è buona per ripercorrere un cammino e rammentare quanto sia cambiato il cielo sopra di noi e le cose che ci stanno attorno.

Pur tuttavia il tema di fondo sembra rimasto lo stesso: caduto il “socialismo reale”, venuta avanti la controffensiva liberista, mentre sono emerse contraddizioni sociali non contemplate dal manuale di Stein Rokkan (quelle definite dai politologi “post-materialiste”), è rimasta per intero la necessità di una profonda, radicale, trasformazione della società e della politica, perché sfruttamento, disequilibri, guerra sono ancora lì a dominare la scena del mondo.

 La politica , almeno quella che avevamo conosciuto nella nostra gioventù, pare davvero aver abdicato al proprio ruolo e lasciato spazi enormi, praterie che non si riescono a percorrere.

Ecco, questa mia opinione, di vecchio militante del primo “Manifesto” sarà controcorrente.

Ripenso al giornale di questi quarant’anni e intravvedo, alla fine, una parabola discendente : dall’obiettivo ambizioso di rappresentare il “punto critico” dell’idea più profonda ed importante che la storia abbia prodotto attorno al tema del cambiamento (quella del comunismo: idea che si era fatta partito, organizzazione, soggetto radicato nella società) fino ad una sorta di “inseguimento” eclettico delle contraddizioni, senza l’elaborazione e l’offerta di una sintesi.

Il “Manifesto” ha rappresentato, per una certa fase, una ipotesi politica compiuta.

Una soggettività presente: poi, caduti i grandi soggetti, cambiato l’assetto sociale, emerse novità forse imprevedibili (ma  è anche mancata la capacità d’analisi; anzi l’idea dell’analisi è stata proprio abbandonata, ma questo fatto non è avvenuto certo per responsabilità del collettivo del “Manifesto”, anzi) si è assunta una veste diversa, di lettura, in certi casi oscillante, della realtà consolidata;  quasi una sorta di “lettore” per certi versi acritico dei “movimenti” (che pure avrebbero bisogno di una critica adeguata); di assunzione di forme di iniziativa diverse e, dal mio punto di vista, abbastanza estranee culturalmente .

Sono cosciente di parlar male di Garibaldi, ma “uniti contro la crisi” non mi convince proprio, tanto per fare un esempio.

Così come,allora, mi è apparve debole la posizione rispetto ai limiti del movimento contro il G8 e, adesso, mi sembra eccessiva la condiscendenza verso la personalizzazione della politica.

Affiorano, quindi, dalle pagine del giornale un eccesso di movimentismo e di personalismo: i due difetti più gravi della sinistra di oggi ( o meglio: di quel poco che rimane di sinistra di oggi)

Insomma, sarò un nostalgico del tempo in cui “si stava meglio, in cui si stava peggio”: ma il puntuale acquisto mattutino del giornale (che pure viene eseguito) non ha più quel sapore emozionante  che c’era quando si pensava di agire, sul serio, per una impresa collettiva, per una eresia importante rispetto alle forme organizzate che aveva assunto il più grande progetto di riscatto sociale della storia, quello del comunismo, e della sua forma politica, anch’essa anomala, del Partito Comunista Italiano.

Sono andato “a vela”, come si diceva una volta: ho messo insieme, pensieri un po’ disordinati, che mi sono venuti alla mente pensando a questi quarant’anni; indubbiamente quarant’anni di vita comune.

Auguri “Manifesto”.

Savona,  23 Aprile 2011                                                         Franco Astengo

 

 

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