Il punto di Alberto Bonvicini: Non è più domenica
La rubrica firmata da Alberto Bonvicini, già comandante della Polizia Postale di Savona, ci accompagnerà con riflessioni dedicate all’impatto dei social network, di internet e delle nuove tecnologie sulla nostra società.
Con lo sguardo esperto di chi ha vissuto in prima linea l’evoluzione (e le derive) del mondo digitale, Bonvicini ci offrirà analisi lucide e senza filtri su temi che toccano da vicino il nostro quotidiano: dalle devianze giovanili alla cultura dell’emulazione, dal web come strumento educativo o distruttivo fino al lento smarrirsi del senso critico.
Uno spazio di pensiero libero, per leggere con occhi diversi quello che ci succede intorno
Non è più domenica
Da quando Senna non corre più, da quando Baggio non gioca più, da quando la Sampdoria non esiste più… non è più domenica.
Tutti abbiamo una squadra del cuore. Lo si è visto anche l’altra sera: Sinner e Laura Pausini soffrivano per il Milan, Carboni e Cremonini esultavano per il Bologna. I nostri bisnonni tifavano per l’Italia di Vittorio Pozzo, i nonni per il Grande Torino, e i nostri padri si dividevano tra Juventus, Milan e Inter. Poi arrivarono le sorprese: squadre “provinciali” che con presidenti visionari e allenatori innovativi iniziarono a farsi strada. Prima il Verona dello scudetto ’84-’85, poi il Parma delle coppe europee. Ma fu la Sampdoria a fare il salto più alto.

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Nata nel dopoguerra, esplose tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Con una maglia unica e un’identità inconfondibile, la Samp fu benedetta dall’arrivo di un presidente romano innamorato di Genova: Paolo Mantovani. Petroliere di mestiere, sognatore per vocazione, la portò dalla B al primato in classifica nel settembre del 1982. Con una squadra giovane, composta da ragazzi sconosciuti come Francis, Brady e un giovane Mancini, fece capire a tutti che il talento, se miscelato a esperienza e cuore, può sfidare anche i giganti.
Mantovani era un mix unico: aveva la classe di Agnelli, l’eleganza di Moratti, i soldi di Berlusconi e la competenza di Pozzo. Con lui non si discuteva: si accettava il progetto. Punto. Risultati? Nessuna polemica, solo impegno e fair play, quello vero. Arrivarono coppe, piazzamenti, e poi lo scudetto, che potevano essere anche due o tre, ma questa è un’altra storia.
Poi, il calcio cambiò. Arrivarono le holding, i fondi, gli imprenditori stranieri. La narrativa si spostò sugli americani, gli arabi, gli inglesi. Le storie romantiche cominciarono a svanire. Prendi il Parma: sotto Callisto Tanzi, un modello vincente. Poi investimenti sbagliati, consiglieri ambigui e fallimento. E lì arrivarono gli avvoltoi, come Manenti, che sembrava un personaggio di “Mai Dire Gol”: conferenze stampa deliranti, società fantasma, e promesse mai mantenute.
E la Samp? Diversa la storia, ma stesso esito. Un presidente stanco e deluso, contestato mentre la squadra era ancora dignitosamente in Serie A, decise di mollare. Arrivò Ferrero: discusso, sì, ma con il merito di aver rinnovato il settore giovanile e ottenuto anche qualche risultato. Poi, però, la frustrazione dei tifosi e la solita voglia del “tutto e subito” lo travolsero. Non bastava essere a metà classifica: si volevano vittorie. E il peggio, come sempre, era lì dietro l’angolo.
Si arriva all’era Manfredi – e no, non Nino, purtroppo. Una proprietà fumosa, dirigenti scelti per motivi opachi, squadra costruita male e gestita peggio. Allenatori in serie, presunzione, confusione tattica, infortuni a raffica. Fino alla retrocessione in Serie C.
La Sampdoria in C è come vedere una rosa buttata nel letame. Affidata alla “banda Mancini-Evani-Lombardo”, si è schiantata contro la realtà: il blasone non basta se non sai combattere nel fango. Sarebbe servito un Sannino, uno che all’occorrenza diventa un T-Rex con chi non si impegna.
Ora è tardi. Le lacrime non servono. Qualcuno rimpiangerà i tempi in cui si era “solo” ottavi in A e si criticava tutto. Ma era ancora calcio vero, domenica dopo domenica, su “Pressing”, “La Domenica Sportiva”, “90° Minuto”. Oggi restano solo immagini di repertorio e la malinconia di una canzone di Sanremo anni ’80:
“Tu fai schifo sempre, da mattina a sera”.