Il punto di Alberto Bonvicini: Cold Case all’italiana: quando il caso Garlasco diventa una serie TV a reti unificate

La rubrica firmata da Alberto Bonvicini, già comandante della Polizia Postale di Savona,  ci accompagnerà con riflessioni dedicate all’impatto dei social network, di internet e delle nuove tecnologie sulla nostra società.
Con lo sguardo esperto di chi ha vissuto in prima linea l’evoluzione (e le derive) del mondo digitale, Bonvicini ci offrirà analisi lucide e senza filtri su temi che toccano da vicino il nostro quotidiano: dalle devianze giovanili alla cultura dell’emulazione, dal web come strumento educativo o distruttivo fino al lento smarrirsi del senso critico.
Uno spazio di pensiero libero, per leggere con occhi diversi quello che ci succede intorno

Cold Case all’italiana: quando il caso Garlasco diventa una serie TV a reti unificate

Gli appassionati di cronaca nera — e anche chi ogni tanto incappa nei soliti programmi serali — se ne saranno accorti: il caso Garlasco è riesploso, ancora una volta, con puntualità quasi sospetta. Sembrava finito nel cassetto dei “cold case” e invece eccolo lì, di nuovo ovunque. Perché?

Alberto Stasi

Chi segue programmi come Chi l’ha vistoQuarto GradoLe Iene o Ore 14 di Milo Infante su Rai2, avrà notato qualcosa: circa un mese fa è iniziato un lento e poi martellante tam tam mediatico. Prima una notiziola a settimana, poi due, poi ogni giorno, poi tre volte al giorno. Una valanga inarrestabile di comunicati, interviste, dichiarazioni di avvocati e ospitate televisive — alcune anche in contesti surreali, tipo talk sportivi o varietà.

Impossibile dimenticare le facce: te le ritrovavi ovunque. Non c’era Ucraina, racchetta di Paolini, vittoria o suicidio sportivo dell’Inter che tenesse. Persino tragedie come quella del Duomo di Milano — dove un uomo condannato per femminicidio, “reinserito” come receptionist in un hotel, ha ucciso di nuovo — sono passate quasi inosservate.

Gli avvocati di Stasi

Stesso silenzio per la ragazza caduta dal catamarano (senza contratto), o per l’autista del pullman che giocava con la velocità mentre trasportava bambini. La priorità mediatica? Sempre lui: Garlasco.

Il direttore Vespa ci dedica minuti su minuti, Del Debbio — che di solito ci racconta quanto è geniale Trump — è costretto a invitare Nuzzi per parlarne. Tutto ruota attorno a un unico punto: farci credere che stiamo assistendo a una nuova verità.

E chi scrive non pretende di avere certezze assolute, ma una cosa la dice con rispetto per i lettori: quando l’informazione diventa tamburo battente e sembra arrivare “a bombazza”, come direbbe un noto rider delle calamite marroni, bisogna farsi due domande. La prima: perché adesso? La seconda: a chi giova?

PUBBLICITA’

Dal 2007 a oggi sono passati 18 anni. Eppure si torna a cercare l’arma del delitto nel canale, come se nel frattempo non ci fossero stati 300 temporali e una trentina di alluvioni. Ci parlano di una “nuova impronta” sulla scala di casa Poggi, a pochi metri dal corpo di Chiara. E a quel punto, verrebbe da citare Sora Lella: “Ma ci staranno a prende’ pe’ i fondelli?”

L’avvocato di Andrea Sempio — che sembra una versione futura di Vasco Rossi — parla di codice penale con lucidità e competenza, ma viene spesso deriso. Mentre il legale di Stasi, con ciuffo da Mal dei Primitives, è ormai onnipresente in tv, forte di un’attenzione mediatica sproporzionata. E continua a professare l’innocenza del suo assistito, condannato “all’italiana”: non oltre ogni ragionevole dubbio, ma sulla base del dogma nazionale del “è stato lui e basta”.

Lo stesso dogma che ha colpito anche Olindo e Rosa, o Massimo Bossetti. Con la differenza che per loro non c’è stata alcuna campagna mediatica, nessun santo in paradiso. A Bossetti viene ancora oggi negata la possibilità di revisione del processo. Perché da noi, una volta deciso il colpevole, la narrazione non si cambia più.

Come finirà questa storia? Difficile dirlo. Ma ricordiamoci da dove parte: da un gossip. Dalla presunta relazione tra la madre di Sempio e un vigile del fuoco. Un pettegolezzo montato in tv, da cui è poi deflagrato tutto il resto.

Olindo e Rosa, Massimo Bossetti

D’altronde, c’è poco da stupirsi. In un Paese dove i telegiornali assicuravano che, per identificare chi gettava massi dai cavalcavia, si sarebbero usate le immagini satellitari — capaci, a quanto pare, di distinguere pure il colore dei capelli e la marca del costume — non è strano che oggi ci raccontino che la verità su Garlasco… si trova sul fondo di un canale.

Alberto Bonvicini 

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