Il passato non ritorna mai
Ernesto Galli della Loggia nel suo ultimo editoriale, quello che ha irritato la Meloni spingendola a una piccata risposta sul Corriere, pretende dalla leader di Fratelli d’Italia una professione di fede antifascista. Senza di essa non può, a suo parere, partecipare a pieno titolo all’agone politico e le deve essere preclusa a priori la stanza dei bottoni. Sostiene questa tesi procedendo tranquillamente lungo argomentazioni contraddittorie con la stessa disinvoltura di un fachiro che passeggia sui carboni ardenti. Nello stesso periodo, infatti, è capace di affermare che l’antifascismo è una scemenza senza senso e una conditio sine qua non per governare.
Questo perché, scrive il professore, nei metodi, nelle finalità, nei valori il fascismo è incompatibile con la democrazia. E questo a prescindere dai tempi: non importa se sono passati cento o mille anni, se si è nati quando il regime era morto e sepolto: il passato, par di capire, non passa mai. Mi permetto di affermare che è vero esattamene il contrario: il passato non è mai recuperabile, per quanto ci si adoperi per farlo rivivere: il Tempo è una macina che lascia solo macerie o foto ingiallite. La moda, il linguaggio, il modo di atteggiarsi, i problemi, le prospettive, tutto cambia inesorabilmente e anche quando apparentemente si ripropongono non sono mai gli stessi. Questo vale in tutti i campi: ci si può atteggiare a passatisti nel modo di vestirsi o di parlare ma la riproposta nel presente di un frammento, per quanto parziale, del passato nonché impossibile sarebbe comunque una insopportabile stonatura. Il passato non ritorna mai. Quando sembra che si dia corpo alla nostalgia in realtà si agisce nel presente e si fanno i conti col presente: e questo vale per il fascismo come per tutti gli altri ismi del novecento. Anders Breivik, l’autore delle stragi del 2011 in Norvegia, non è un fantasma del passato ma un segno della follia del presente: tirare in ballo il nazismo o i cavalieri templari per tentare di spiegare il suo gesto è una suprema sciocchezza perché le matrici del male sono hic et nunc, nella sua testa e/o nel suo ambiente, non nei libri di storia.
E i nostri nostalgici del fascismo sono solo povere anime disadattate che non condividono niente con i protagonisti di una temperie politica e culturale che si può solo studiare ma non rivivere. Un compito, quello di evocatore e risuscitatore di morti che, come insegna il Manzoni, compete allo storico ma riesce meglio al romanziere o anche al cinema, per la loro capacità di ricreare un contesto seppure in un ambito di realtà parallela, quella della fantasia. Fuori di essa è solo goffaggine come quella di chi si veste come lo stereotipo dell’antico romano per ritrovarsi a pranzare in uno scenario di cartapesta con cibi immangiabili cucinati con le ricette di Apicio. Divertente come gioco ma patetico se viene preso troppo sul serio. Non si può far rivivere il passato più di quanto si possa far tornare in vita un morto e il fascismo è passato, è storia o materia per sbizzarrirsi con la fantasia. La categoria attuale dell’antifascismo senza il fascismo è in sé, per quello che dà ad intendere di significare, un nonsense, o, se si preferisce, semplice flatus vocis, però un valore operativo ce l’ha eccome, e lo stesso Galli non ha difficoltà ad ammetterlo: è un ottimo strumento per isolare l’avversario, escluderlo, demonizzarlo secondo la consolidata tradizione cattolica fatta propria dai compagni.
Nemmeno il demonio esisteva e la lotta contro di lui era pertanto un nonsense ma il rogo su cui sono stati arsi i suoi presunti servitori era reale e bruciava davvero. Come ora brucia l’accusa di fascista e come suona reale la minaccia rivolta alla Meloni dall’inqualificabile personaggio nostalgico di teste in giù che qualcuno ha incautamente piazzato dietro una cattedra. Di questo bisognerebbe occuparci e preoccuparci non di pretendere assurde professioni di fede democratica, avendo bene in mente che la democrazia non è un’ideologia da professare ma una pratica da attuare. E alla Meloni si può rimproverare di non avere un progetto politico chiaro, di essersi seduta sulla balla di fumo di banalità e di frasi fatte, di correre dietro ai problemi senza avere la capacità di anticiparli, di nutrire un’ambizione superiore ai suoi mezzi e alla sua statura, gli si può perfino rimproverare di essere stata alla scuola di Fini ma per carità si lascino perdere il fascismo e Mussolini.
Non c’è nessuna relazione seria fra le opinioni che uno si è fatto del passato sulla scorta delle sue conoscenze e della sua sensibilità e le posizioni che assume di fronte al presente. Non mi stupisce un approccio all’attualità connotabile come progressista o di sinistra in uno che prova ammirazione per la figura del Duce; tantomeno trovo incompatibile la militanza nella Lega di Salvini con un giudizio di condanna senza appello della retorica del ventennio e del culto della persona del Capo. Ma quel che è certo è che le opinioni possono essere, come tali, condivise o deprecate ma guai volerle censurare. Il reato di opinione è un oltraggio alla democrazia e alla civiltà, è il frutto velenoso della cultura dell’odio, dell’intolleranza, della sopraffazione. Il tempo dei libri proibiti è scaduto come quello delle eresie e della caccia alle streghe.
Pierfranco Lisorini docente di filosofia in pensione