Il Partitino del centro e l’illusione della grande Rivoluzione
Il Partitino del centro e l’illusione della grande Rivoluzione
L’eco flebile di un Chihuahua nella Canizza della Politica Italiana
C’è un nuovo attore nell’arena politica italiana, e, seppur piccolo, pretende di farsi sentire: il Partito Liberaldemocratico di Luigi Marattin. Con una collocazione dichiaratamente centrista e un’ambizione dirompente, il Pld si presenta come l’antidoto al cosiddetto “bipopulismo”, cercando di conquistare quello spazio politico che esiste più nei sogni degli editorialisti che nelle schede elettorali. Ma la realtà è che il fragore promesso rischia di tradursi in un latrato sommesso, appena percettibile nel chiasso della politica italiana: il flebile abbaio di un Chihuahua nella canizza, confuso tra i latrati dei mastini ben più rodati del teatrino parlamentare.
Una sfida contro i giganti (e contro se stessi)
Marattin e il suo Pld si inseriscono in una lunga tradizione di tentativi centristi che, più che rivoluzioni politiche, si sono rivelati raffinati esercizi di equilibrismo. L’idea di un partito che si smarca dai due poli ha certamente un suo fascino teorico, ma nella pratica si scontra con un elettorato che raramente premia la purezza ideologica quando non è accompagnata da una robusta struttura di potere.
La scommessa del Pld è chiara: riempire lo spazio di quel 10% di elettori che non si riconoscono né nella destra sovranista né nella sinistra progressista. Ma è uno spazio politicamente instabile, fatto di elettori volubili e partiti che si sgretolano al primo soffio di vento, come dimostra la storia recente di Italia Viva e Azione.
L’isola che (non) c’è: il centro del centro
La narrazione del Pld è costruita su una missione quasi messianica: riportare il liberalismo al centro del dibattito politico italiano. Eppure, la sua differenziazione rispetto ad altri esperimenti simili sembra più retorica che sostanziale.

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Cosa lo distingue, ad esempio, da Azione, se non una rivalità personale con Carlo Calenda? E cosa lo rende più credibile di una Forza Italia alla ricerca disperata di un’identità post-berlusconiana?
Marattin dice di voler parlare a chi rifiuta sia un ministro del Lavoro come Maurizio Landini che un ministro dell’Interno come Matteo Salvini, ma questa non è una linea politica: è solo un modo per delimitare un campo senza proporre un vero progetto. In un sistema dominato da leader forti e narrazioni polarizzanti, un partito che punta tutto sulla razionalità e sul rifiuto degli estremi rischia di apparire insipido.
Tra utopia e realtà: la coerenza come rivoluzione?
Dove il Pld potrebbe davvero distinguersi è nel suo radicalismo liberale. Marattin si propone di essere il paladino del liberalismo economico, una merce sempre più rara nel panorama politico italiano, dove i governi di ogni colore oscillano tra assistenzialismo e protezionismo. Se avrà il coraggio di portare avanti proposte forti – dalla riduzione del ruolo dello Stato nell’economia all’abolizione della golden share – potrebbe almeno guadagnarsi il rispetto degli osservatori più attenti.
Ma la politica non si fa solo con le idee, si fa con le strutture e con i voti. E qui il Pld ha un problema serio: è un partito senza un vero radicamento territoriale, senza amministratori locali di peso, senza una base elettorale consolidata. Può contare su qualche intellettuale e su una manciata di nostalgici del liberalismo classico, ma questo basterà a superare lo scoglio elettorale?
Conclusione: un Chihuahua tra i mastini
Il Pld vuole essere un elemento di rottura, ma rischia di finire nel calderone degli esperimenti centristi destinati a vivere solo nei talk show. L’analisi politica insegna che il centro non è mai un luogo di stabilità, ma una terra di conquista: chi ci sta senza un esercito finisce per essere inglobato da chi passa di lì con più forza.
Per ora, il Partito Liberaldemocratico somiglia più a un Chihuahua che abbaia tra i mastini della politica che a un vero contendente per il potere. Potrà anche avere un bel guinzaglio e un padrone affezionato, ma se vorrà davvero sopravvivere nella giungla politica italiana, dovrà imparare a mordere. E mordere forte.