IL libro della settimana: Il visitatore

IL LIBRO DELLA SETTIMANA a cura di Biagio Giordano
Eric -Emmanuel Schmitt
IL VISITATORE

IL LIBRO DELLA SETTIMANA

a cura di Biagio Giordano

Eric-Emmanuel Schmitt

Il visitatore

settembre 2008, pp. 129

ISBN: 9788876418389

Traduzione: Alberto Bracci Testasecca

Area geografica: Letteratura francese

Collana: Dal Mondo

€ 15,00

Recensione di Biagio Giordano

Il visitatore è una commedia teatrale di Éric-Emmanuel Schmitt, esordita a   Parigi nel 1993. Del copione è uscito anche un libro nelle edizioni e/o.

Con quest’opera, l’autore – giovane professore francese di filosofia e drammaturgo – ha ottenuto nel ’93  diversi premi Moliere.

Il testo è stato poi tradotto e rappresentato in numerose lingue e in più di 20 paesi. In Italia è stato messo in scena nella stagione ’95/’96 con la regia di Antonio Calenda.

L’opera si compone di 17 scene, all’interno delle quali si svolge il dialogo fra Sigmund Freud, la figlia Anna, un ufficiale della Gestapo, e un misterioso intruso dotato di oscuri poteri mnemonici sugli altri, che si scoprirà essere in grado di conoscere  eventi importanti dell’infanzia di Freud.

Storicamente le scene sono ambientate nell’aprile del 1938, a Vienna, quando l’Austria era  già stata invasa dalle truppe della Gestapo e annessa forzosamente alla Germania del Reich. Vienna, occupata dalle truppe della Gestapo conosce da subito  gravi violazioni dei diritti civili dei cittadini, come le umiliazioni dei diversi e le persecuzioni violente contro gli ebrei,  aspetti questi straordinari per l’epoca, che caratterizzeranno, per drammaticità, l’intera atmosfera in cui si svolgono i dialoghi di questa opera di Schmitt.

Note biografiche. Il padre della psicanalisi, Sigismund Freud, nasce a Freiberg in Austria, il 6 maggio 1856, città oggi divenuta Pribor e facente parte della Repubblica Ceca, era figlio di genitori ebrei, ed è stato da piccolo circonciso. Freud non ha mai nascosto le sue origini ebraiche, di cui andava fiero. L’ambiente in cui Freud era cresciuto con la famiglia faceva parte di quella tradizione dell’ebraismo che prediligeva interpretare i testi della Bibbia attraverso le antiche tecniche dell’ermeneutica talmudica. La famiglia di Freud ha una storia simile a quella di molte famiglie ebree dell’Europa orientale. Gli antenati di Jakob, padre di Freud, si erano insediati alcuni secoli prima nella Renania (1).

Nella tradizione ebraica della famiglia di Freud, era ben presente il pensiero “bundista”, che, a differenza di quello sionista, chiedeva alle istituzioni del posto il diritto alla dignità e alla integrazione nelle terre dove gli ebrei avevano vissuto per secoli. Pertanto, nel pensiero di Freud non c’è traccia di affermazioni, riflessioni o progetti riguardanti il ritorno alla “terra promessa” (2).

Trama e commento dell’opera. Ne Il visitatore, Freud è indeciso se fuggire dalla drammatica situazione in cui si trova coinvolto dopo l’invasione tedesca, oppure restare a contrastare in qualche modo la brutale paranoia del nuovo regime espansionista. Il padre della psicanalisi appare stanco e sofferente, è torturato da un tumore alla mascella, problema per il quale aveva già subito numerosi interventi chirurgici, quest’ultimi, nonostante non fossero riusciti ad isolare permanentemente il male, gli avevano comunque consentito di affrontare dignitosamente la quotidianità del vivere, senza rinunciare al suo lavoro.

Freud,  pur disilluso dalla guerra e ammalato, in quel periodo appare ancora molto combattivo, ha centrato l’obiettivo principale di far conoscere la psicanalisi nel mondo, ottenendo numerosi e significativi riconoscimenti in Europa e negli Stati Uniti, e ha  intessuto relazioni di amicizia con personaggi importanti della scienza, dell’arte, della politica, della cultura, pronti ad aiutarlo in caso di bisogno. Nelle scene de Il visitatore il personaggio Freud ha il tono di chi sa controllare i propri patemi interiori   e con ciò riuscire a dire e a sostenere con forza quegli enunciati sul vero e sull’etica su cui maggiormente aveva lavorato.

Le prime scene di questa interessante opera teatrale, vedono un ufficiale della Gestapo penetrare violentemente nello studio di Freud, lo psicanalista si trova in casa insieme a sua figlia Anna, dopo una serie di duri scambi verbali, al limite dell’insulto, che vedono come protagonisti la coppia e la Gestapo, viene arrestata, per ordine dell’ufficiale, la figlia Anna che, sapremo poi dalla cronaca reale dei fatti storici, verrà rilasciata 24 ore dopo.

Rimasto solo, Freud subisce un’altra irruzione, la visita di un personaggio molto strano che entra dalla finestra e non dichiara il proprio nome, l’uomo appare misteriosamente interessato a cercare con Freud un dialogo suscitatore di pathos, e, a proposito, a un certo punto, riesce a stupire lo psicanalista pronunciando frasi che dimostrano come egli sia a conoscenza della sua vita. Lo sconosciuto si addentra sulla infanzia di Freud, sui pensieri più segreti e importanti da lui avuti da fanciullo. Lo psicanalista, sbalordito, conferma quanto detto dall’intruso, e  scopre poi di essere di avere di fronte  Dio in persona.

Cenni biografici. Freud, non era pregiudizialmente ateo, ha sì passato buona parte dell’esistenza a respingere l’idea di Dio, ma di quello antropomorfico, mondano, così come veniva proposto dalle dottrine interpretative delle religioni cristiane ed ebraiche dominanti all’epoca, delle quali Freud in alcuni suoi scritti teorici svelerà, da un punto di vista psicanalitico e storico, le principali contraddizioni e inconsistenze  logiche.

Freud per assenza di interesse, dovuto per lo più alla mancanza di fede, non conosceva ancora in quel periodo le teologie dei grandi pensatori protestanti, se non per sentito dire da parte di qualche amico intellettuale. Quelle teorie teologiche  avevano avviato da tempo elaborazioni teologiche nuove, tese a demitizzare alcuni aspetti dottrinali dei vangeli e dell’antico testamento, allontanando sempre più, con la teologia dialettica, il concetto di Dio da ogni antropologismo mondano così come era stato proposto, e via via affermatosi,  con la teologia liberale.

Per la sua carenza conoscitiva della teologia protestante, Freud finirà per avere un concetto di Dio fuorviante, recepito per lo più come  esito di una costruzione fantasiosa a sua volta funzione di un operatore fantasmatico inconscio, inteso quest’ultimo come risultato del lavoro della  rimozione e della resistenza dopo un orrendo delitto atavico contro il padre da parte dei figli. Un’idea di Dio quindi che Freud  associa  a una logica particolare, quella del parricidio. 

Il parricidio, sorgente del monoteismo, per Freud sarebbe un delitto compiuto contro la legge, avvenuto nei primordi della società umana, e la cui motivazione pulsionale, criminogena, risiedeva nell’impossibilità di mantenere il divieto dell’incesto. Per riscattare la  colpa conseguente all’omicidio si è poi messo in moto nei fratelli assassini, un processo inconscio nevrotico che ha  portato  alla deificazione del padre morto.

Il padre morto rinasce nell’immaginifico colpevole dei fratelli come Dio.

Ne Il visitatore il dialogo tra Freud e un Dio monoteista rimane tutto mondano, dominato ancora dalla teologia liberale, i temi trattati riguardano infatti la follia del mondo, la libertà, la vita, la morte, come se l’amore e la fede verso Dio dovessero passare, inevitabilmente, da una dimostrazione della potenza sulla terra del divino, qualcosa di visivo  e pratico concernente un Dio in grado di  risolvere i mali terrestri temporali.

Da questo testo teatrale emerge quindi un Dio sempre più di impronta teologica liberale, cioè compreso, assimilato, tagliato a misura per una pura proiezione dell’immaginifico umano verso lo schermo di un altrove che riappacifica col mondo.

Riferimenti bibliografici:

1-  Vedi pagina 7 del libro “Sigmund Freud” di Giancarlo Ricci, editore Bruno Mondadori, Milano 1998

2-  Vedi pagina  9, del libro “Sigmund Freud” di Giancarlo Ricci, editore Bruno Mondadori, Milano 1998

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