Il Guardiano della Costituzione fra critica e vilipendio
Il Guardiano della Costituzione
fra critica e vilipendio
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Il Guardiano della Costituzione
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Dopo le elezioni del 4 marzo dello scorso anno, che avevano visto il movimento 5S primo partito col 32% dei suffragi, il Capo dello Stato, preso atto che la prima maggioranza possibile, Cinquestelle col Pd che si era attestato al 18%, non si poteva fare per l’indisponibilità dei democratici, ha dovuto ripiegare sulla seconda possibilità, Cinquestelle con la Lega al 17%, forti di una sicura maggioranza parlamentare. Fuori luogo le lamentele del centrodestra, che, numeri alla mano, quella maggioranza non l’aveva e la pretesa di Forza Italia di andare a cercare in parlamento i voti mancanti era sicuramente ripugnante.
Quattordici mesi dopo, al culmine di una stagione di forti fibrillazioni all’interno della maggioranza, dopo che il presedente del consiglio era stato sfiduciato dal partito di maggioranza relativa sul problema della Tav ma invece di dimettersi, come avrebbe dovuto fare per un minimo di decenza, aveva fatto finta di nulla, il ministro dell’interno aveva denunciato l’inerzia dell’esecutivo e minacciato (non presentato) una mozione di sfiducia se non si fosse posto rimedio all’impasse. È allora che Conte, apparentemente di propria iniziativa, attacca con una violenza inaudita il ministro, che è anche vice premier, e senza un voto parlamentare, senza verificare in parlamento se il governo avesse ancora la maggioranza, corre al Quirinale e rassegna le dimissioni e Mattarella, senza preoccuparsi delle condizioni previste dalla Costituzione per aprire la crisi, senza provare a rimandare alle camere il presidente del consiglio per una verifica, prende la palla al balzo e subitaneamente le accoglie. Dopodiché assegna di nuovo l’incarico a Conte per formare un governo con una nuova maggioranza, quella maggioranza Cinquestelle-Pd che aveva tentato invano l’anno prima. Tutto regolare? In mezzo però c’è una consultazione elettorale, quelle per il parlamento europeo, che conferma il crollo del Pd e certifica la disfatta del Movimento 5S: il primo riceve poco più del 22% dei consensi, il secondo precipita la 17%. Insieme i due partiti raggiungono il 39%, praticamente quanto la Lega da sola che balza oltre il 34%. A seguire ci sono le elezioni regionali che confermano la rotta dei due partiti e la ulteriore crescita della Lega, mentre Forza Italia si avvia inesorabilmente verso l’estinzione. È chiaro a tutti, lippis atque tonsoribus, che Pd e Cinquestelle sono ormai due forze minoritarie nel Paese e che minoritaria sarebbe anche una grande ammucchiata che comprendesse anche quel che resta del partito di Berlusconi (ammucchiata che poi era nel disegno originario di chi, in Italia e in Europa, voleva far fuori la Lega e, con la Lega, populismo e sovranismo). Mattarella, pertanto, avalla e lo fa con un sorriso d’orgoglio, un governo che nel Paese gode di una netta, nettissima minoranza e lo può fare perché in parlamento ci sono i numeri e Costituzione alla mano, i governi si fanno e si disfanno in parlamento. Ma in primo luogo il governo non è caduto in parlamento ma per l’iniziativa personale di Conte. Sarà mica un colpo di Stato e il presidente non se n’è accorto? In secondo luogo Mattarella ha sì preso atto che in parlamento ci sono i numeri per una nuova maggioranza ma, anche se non è tenuto a leggere i giornali e seguire i sondaggi, deve sapere come sono andate le elezioni di maggio con l’appendice delle regionali. E come fa a non tenerne conto? Come può determinare una così scoperta scollatura fra paese legale e paese reale, come può non prendere atto della volontà popolare, della sovranità popolare? Ma, si dirà, glielo consente la Costituzione. La costituzione, come qualunque legge, va interpretata rispettandone lo spirito, usarne la lettera per stravolgerne senso e finalità è roba da farisei o da manzoniani azzeccagarbugli. Personalmente non condivido la beatificazione dei Padri Costituenti – fra i quali tanti monarchici e tanti fascisti riciclati, per non dire dei comunisti agli ordini di Stalin – ma riconosco che la loro prima preoccupazione era quella di evitare che si ripetesse una deriva autoritaria che mettesse a repentaglio la sovranità popolare, che è l’essenza della democrazia. Usare la costituzione per giustificare il potere di una minoranza è un oltraggio a quelli che l’hanno scritta. Non è questione, come ha sostenuto incautamente l’avvocato Conte, del capriccio di un ministro che pretende di tornare al voto quando gli fa comodo per aumentare il numero delle poltrone di cui disporre; è questione di rispettare la sovranità popolare e di non imporre con una manovra di palazzo un governo impopolare quando si sa, quando è acclarato, quando è attestato da un voto elettorale, che la maggioranza parlamentare non ha più alcuna rispondenza con la maggioranza reale. Ci sarebbe da chiedere, non a Conte, che non rappresenta nessuno e non ha ricevuto alcun mandato popolare ma al Capo dello Stato: che strumenti ha la maggioranza dei cittadini, la stragrande maggioranza dei cittadini, per imporre la propria sovranità, per espugnare il Palazzo d’Inverno in cui sono arroccati gli sconfitti? Deve forse ricorrere ad una insurrezione armata, come nei Paesi dell’America latina, o deve potersi esprimere attraverso il voto, come si fa in una democrazia liberale? Quei diritti che unanimemente vorremmo riconosciuti ai cittadini di Hong Kong e che la sinistra nostrana vorrebbe riconosciuti ai moscoviti (e in realtà lo sono) a noi non spettano? Del resto il neoministro dell’economia lo ha detto: andiamoci piano col voto popolare: fascismo e nazionalsocialismo si sono imposti con libere elezioni. Per concludere Inopportuni gli insulti al Capo dello Stato ma i fatti sono fatti e il più duro dei giudizi politici è giustificato. I compagni però non possono dare lezioni, loro che hanno da sempre praticato contro l’avversario di turno la calunnia, la contumelia, l’irrisione né si sono contenuti se l’avversario sedeva al Colle (gli attacchi a Leone erano di una bassezza vergognosa, a riprova che del vecchio Pci non c’è proprio nulla da rimpiangere). Quindi, gli insulti no ma per carità evitiamo anche tabù e sacralizzazioni: non ci sono né testi sacri né unti del Signore e se Mattarella non mi piace nessuno mi può impedire di dire che non mi piace, ci mancherebbe (è quello che ha fatto Comencini, in un modo sicuramente censurabile nella forma ma non nella sostanza). Pier Franco Lisorini docente di filosofia in pensione
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