Il falso problema delle Ong…

Il falso problema delle Ong
e il vero crimine del traffico di uomini
Perché disquisire sulla natura delle Ong, su chi le finanzia e su come avviene il recupero dei migranti?

Il falso problema delle Ong
e il vero crimine del traffico di uomini

Perché disquisire sulla natura delle Ong, su chi le finanzia e su come avviene il recupero dei migranti?

La polemica sulle Ong ha qualcosa di fastidiosamente falso e stucchevole. Intanto, visto che l’establishment e il pensiero unico da un po’ di tempo hanno sollevato il problema delle notizie false, le fake news che circolano liberamente in rete e disorientano la pubblica opinione, è bene chiarire che quella del fenomeno epocale, dell’emergenza planetaria, di una migrazione di massa causata da sconvolgimenti  geopolitici, climatici, economici è una clamorosa, spudorata, gigantesca bufala, una macroscopica fake news colpevolmente avallata dalle sinistre europee e con particolare zelo da quella italiana, su mandato di potentati ben radicati a New York, nella Silicon Valley e a Bruxelles. 


Esclusa la Siria, che è un caso a parte e che richiama altre e più circoscritte responsabilità, per il resto si tratta di una pressione migratoria che interessa prevalentemente giovani e giovanissimi africani attratti dal luccichio dell’Occidente e dalla prospettiva di essere accolti e mantenuti senza l’incomodo di dover lavorare, sulla quale si innesta la tratta della prostituzione e dei braccianti a basso costo. Per negare l’evidenza non bastano la disinformazione e la manipolazione dell’opinione pubblica, che secondo il “filosofo” Cacciari è cosa buona e giusta che la nostra debolissima politica non riesce più a far bene; per negare questa evidenza bisognerebbe bendare gli occhi agli italiani o rendere invisibili i presunti profughi, sostituirne le immagini con quelle di famiglie disperate cacciate dalla loro terra e dalle loro case e nascondere le prostitute di colore che hanno sistematicamente sfrattato le loro colleghe caucasiche, nostrane e dell’est.

Se avessero ragione i compagni, se non si trattasse di un’invasione facilitata da complicità interne e da un disegno di riorganizzazione globale, se l’arrivo di migranti fosse una benedizione, una manna dal cielo, non solo perché arricchisce cooperative e privati amici ma perché destinato a coprire un vuoto demografico e a salvare la nostra economia e le nostre pensioni, che senso avrebbe disquisire sul modo col quale raggiungono il nostro territorio?

E se, al contrario, l’invasione infligge un colpo mortale alle nostre risorse finanziarie, è la causa prima del blocco dei contratti, del mancato adeguamento delle pensioni, del persistere di una terribile pressione fiscale e della scomparsa dello Stato sociale, rende meno sicure le nostre strade e le nostre case, pesa in modo intollerabile sulla sanità pubblica ed è una bomba sociale destinata a esplodere quando il sistema dell’accoglienza collasserà, c’è qualcosa di meritorio nella gestione dei flussi migratori, quale che sia il modo in cui essa viene condotta? E siamo di fronte a un dramma umanitario che gli italiani affrontano con grande coraggio e disponibilità a differenza del resto dell’Europa, che “ci ha lasciati soli” o a un gigantesco affare sul quale hanno messo le mani non solo gruppi e singoli di dubbia reputazione che si precipitano ovunque avvertano odore di soldi, non solo cooperative rosse e preti maneggioni ma anche insospettabili con legami in tutte le forze politiche, che, non a caso, tante volte tentennano, distinguono, distolgono lo sguardo? La risposta è scontata: non c’è nessun dramma umanitario, i veri drammi si consumano in Africa e purtroppo in tante altre parti del mondo: i giovani africani che sciamano per le nostre città o sono solo scrocconi e braccia sottratte al lavoro nelle loro terre o vittime di chi li ha illusi che da noi avrebbero trovato l’Eldorado o, peggio ancora, l’avamposto dell’africanizzazione e dell’islamizzazione dell’Italia.


Da queste premesse e dalle risposte che si danno alle domande che esse pongono discende che o l’opera delle Ong o di chiunque tolleri o faciliti gli sbarchi è sempre meritoria e non ha quindi senso andare a vedere se chi si occupa dei soccorsi ci rimette del suo o ci guadagna qualcosa, se l’accordo con gli scafisti è frutto di un’armonia prestabilita o di contatti e trattative esplicite e dobbiamo benedire scafisti, mafiosi, la nostra marina, la croce rossa perché tutti salvano dei potenziali naufraghi lodevolmente sottratti alla miseria e alla fame nei loro Paesi per portare linfa nuova nella nostra nazione esangue malaticcia e invecchiata; o le Ong sono organizzazioni criminali, a prescindere dalle intenzioni dei singoli individui, perché tutte, come i privati con i loro yacht, la nostra marina, la croce rossa, come i mafiosi e gli scafisti commettono un crimine nel momento in cui organizzano facilitano, favoriscono, incoraggiano l’invasione e non ha, di conseguenza, senso andare a vedere a quante miglia dalla costa si posizionano le navi, a quali mezzi si ricorra per coordinare soccorsi e partenze o quali siano le motivazioni di comandanti ed equipaggi.


Il problema, pertanto, non è giudiziario: il nodo della questione, infatti, non sta nell’accertare se i responsabili delle Ong sono delinquenti o benefattori, se i naufragi sono veri, inventati o ingigantiti, se il trasbordo avvenga in acque internazionali o a dieci metri dalla costa, se esistono bilanci e rendiconto; lo scontro fra procure, le interrogazioni parlamentari, la convocazione dei responsabili delle Ong semplicemente alzano un gran polverone su una questione politica, che richiede un intervento e una presa di posizione esplicita della politica e dell’esecutivo. Il nodo della questione sta da un lato nel risultato finale dell’attività delle Ong, della croce rossa, della marina militare: l’evidenza che centinaia di migliaia di africani sbarcano ogni anno in Italia e debbono essere alloggiati e mantenuti; dall’altro nella causa prima: chi o che cosa c’è dietro e qual è il fine dell’operazione, su cui si possono fare solo supposizioni. Questa non è materia da tribunali ma riguarda la sicurezza dello Stato e, quindi, la politica.

Bisogna, insomma che si sappia, che il popolo sappia, da che parte stanno le istituzioni e i partiti che pretendono di rappresentarlo. Le dichiarazioni dei vertici istituzionali, del Capo del governo e dei suoi ministri lasciano pochi dubbi: al di là delle reticenze, dei distinguo, delle roboanti dichiarazioni che non dicono nulla, risulta chiaro che chi ha nelle mani il potere di prendere decisioni non intende prenderne perché sta dalla parte dei “buoni”, dei trafficanti di uomini, della nuova tratta degli schiavi, dei sostenitori della cittadinanza globale, di quelli che più ne vengono meglio è del dopo chissenefrega.

Poi ci sono gli omuncoli e le donnicciole di seconda fila che si spartiscono diligentemente le parti fra i primi che pensosamente riconoscono che il problema esiste ma è planetario e il governo lo sta affrontando al meglio e sta rimandando indietro quanti non hanno diritto allo status di rifugiati (non è vero ma, si sa, per i compagni la verità una variabile indipendente) e le altre che senza arrossire sostengono che l’Italia è un modello per il mondo intero, che bisogna ascoltare le parole di papa Francesco (viene da ridere pensando che un tempo i compagni volevano impedire alle suore di votare e consideravano il crocefisso un simbolo politico), che bisogna salvare vite umane sempre e comunque, anche se a metterle a repentaglio sono proprio quelli che organizzano gli imbarchi. Il governo, la nomenklatura, il Pd e la sinistra tutta in realtà non hanno alcuna intenzione di impegnarsi non dico per liberare il Paese dalle centinaia di migliaia di africani che l’hanno occupato ma per impedire che continuino ad arrivarne altri. Allora abbiano il coraggio e l’onestà di dichiararlo in modo inequivoco affrontando su questo tema il giudizio del popolo italiano, che del buonismo e degli affari che spingono all’accoglienza è, e soprattutto sarà, chiamato a pagare il conto.


E bisogna anche che si sappia qual è la posizione delle opposizioni, perché finora ci sono state, non solo fra i Cinque stelle ma anche nel centro destra, dichiarazioni improvvisate e improvvide, contraddizioni, balbettamenti, slogan e latitanza di una posizione strategica. Il traffico di migranti è una faccenda criminale, punto. Se esiste la necessità di importare manodopera stagionale per l’agricoltura lo si dica e lo si faccia in una cornice di legalità, in modo trasparente e nel rispetto della dignità umana e del lavoro e, ovviamente, con permessi di soggiorno temporanei. Se ci sono persone cacciate dalla loro terra per congiunture eccezionali, il problema non riguarda l’Italia ma tutta la comunità internazionale; per la parte che le compete e compatibilmente con le risorse disponibili il nostro Paese se ne può far carico per il tempo che durano quelle congiunture eccezionali: le guerre, tanto per essere chiari, non durano in eterno. La cooperazione internazionale può in ogni modo esprimersi con interventi in loco, anche militari, non solo per sostenere le popolazioni in pericolo ma anche per evitare turbolenze e sconvolgimenti che minacciano la sicurezza di intere aree molto più di quanto non faccia il dittatore comunista coreano.

Si deve anche riconoscere senza ipocrisie che gli interventi nei Paesi sottosviluppati o a rischio di crisi umanitarie non sono, com’è invece l’accoglienza, una spesa a fondo perduto, ma comportano un ritorno economico e politico. E, infine, si smetta di parlare di integrazione, soprattutto quando non si sa che cosa significa. L’integrazione, come la miscela, la scomparsa delle identità culturali e nazionali è un’orribile utopia accarezzata in alcuni ambienti dell’alta finanza, della diplomazia e della superburocrazia occidentali, dal sottobosco delle Nazioni unite, di Bruxelles o della Silicon Valley. Lasciamo che Soros e i suoi compari cuociano nel loro brodo: si illudono di essere i motori della storia ma sono solo un prodotto di scarto del sistema; nessuno fra poche decine di anni si ricorderà di loro. Al di là di quella orribile utopia l’integrazione è una sciocchezza: si integrano, se lo vogliono, singoli individui, non interi gruppi umani con la loro lingua, la loro cultura, le loro tradizioni. Semmai si creano delle enclave, dei ghetti, delle minoranze destinate a rimanere corpi estranei.


Da qualche tempo una regia occulta sta orchestrando una campagna contro le false notizie che circolano in rete che si salda con la tentazione di dar vita ad una caccia alle streghe, razzismo, fascismo, populismo. È ora che i giornalisti onesti, la parte sana della politica, quel po’ che ne resta, il mondo accademico non inquinato e tutte le persone che vogliono continuare ad esercitare la propria libertà e il proprio senso critico in tutti gli ambiti della società civile comincino a sbugiardare tutti quelli che ad ogni livello si stanno adoperando per imporre le aberrazioni del pensiero unico, attaccandoli sul piano culturale, linguistico, storico e giuridico. Il razzismo era una faccenda interna alle discipline antropologiche, una somma di teorie strampalate sfruttate dai tedeschi, e non solo, in funzione antiebraica e dagli inglesi per giustificare il loro impero coloniale e la sottomissione di popoli inferiori.

Non ce n’è più traccia. La xenofobia, se c’è, è una cosa diversa e rischia di essere alimentata come reazione fisiologica all’invasione. Il fascismo è materia di studio per gli storici e non una categoria dello spirito. Se poi chi, documentatosi, prova ammirazione per la persona del Duce o rimpiange l’Italia degli anni Trenta non vedo come possa essere incolpato più di un altro che avendo letto le pagine di Plutarco riconosce la grandezza di Alcibiade o la lungimiranza di Pericle. Ma chi pensa che alzare il braccio in segno di saluto e lo fa in un’occasione che dovrebbe rinnovare pietà e cordoglio per due giovani assassinati, rappresenti un pericolo per la democrazia è semplicemente un imbecille e bisogna gridarlo con tutta la forza che si ha (per maggiore chiarezza: l’imbecille non è chi alza il braccio ma chi teme che il braccio alzato metta a repentaglio l’ordine democratico).

Quanto al populismo, chi intende che gli umori, i bisogni, le speranze, il sentire popolari siano una cosa da combattere e reprimere, sarà bene che venga avvertito che al popolo spetta sempre l’ultima parola, e non solo nelle urne. Non solo gli spetta ma se gli viene negata prima o poi se la prende Se poi intendono per populismo la demagogia, allora ci si specchino quelli che combattono il populismo, con i loro bonus, le mance elettorali, le loro improbabili aperture umanitarie e le lacrime di scena sulle tragedie del mare.


L’elezione di Macron in Francia sembra avere aggiunto qualche freccia all’arco dei “buoni”, dei caritatevoli, dei “siamo tutti migranti”, dell’Europa a tutti i costi, che poi sono anche quelli del continuum di genere, delle diverse specie di famiglie, dell’utero in affitto, dell’eutanasia, del suicidio con la mutua, i nuovi benpensanti e i custodi del politicamente corretto, che su quella elezione hanno posto il loro cappello (l’hanno fatto anche Renzi e Berlusconi, anticipati dall’inquilino del Quirinale). Bene: non hanno tutti i torti.

Macron è la prova di come la popolarità si possa costruire dall’alto, come un prodotto commerciale, è la prova della presenza di quel potere oscuro – ma non troppo – in mano, in Francia come in Italia, a qualche decina di famiglie, che hanno incaricato un gruppo di esperti di selezionarlo, rifinirlo, istruirlo e si preparano a telecomandarlo. Quelle stesse famiglie che sono l’espressione della grande finanza, della tecnologia informatica, della globalizzazione della diplomazia e della superburocrazia occidentali. Ma, come diceva Dolores Ibárruri ai compagni spagnoli, ¡No pasarán! e il napoleone di cartapesta elaborato al computer dovrà fare i conti non tanto con la Le Pen ma col popolo francese (e i primi conti dovrà farli con l’Assemblea nazionale).

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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