Il diktat paradossale del 5%

Il diktat paradossale del 5%
La Russia non è il nemico ma se pensate che lo sia dovete comportarvi come se lo fosse                 

Sul 5 % del Pil da destinare alle spese militari si sono sbizzarriti politici e opinionisti. Chi ha drammatizzato, chi ha minimizzato, chi ha approvato, chi ha deprecato. Una rovina per molti, per alcuni una risorsa;  un modo per rendersi indipendenti dagli Usa e dare slancio alle nostre imprese o una prova in più di servilismo e un aiuto all’industria bellica americana alla quale inevitabilmente si dovrà attingere.

La Meloni spergiura che scuola, sanità, infrastrutture non verranno toccate, si sforza di sussurrare al suo elettorato senza che l’amico americano se ne accorga che in fondo è solo una farsa un po’ perché tutto viene rimandato alle calende greche un po’ perché si faranno passare per spese militari anche i pannoloni degli ospiti delle Rsa.  La Schlein, dimentica di essere stata una fervente sostenitrice del responsabile della guerra in Ucraina e della corsa al riarmo, si straccia le vesti per la scuola e la sanità distraendosi per un momento dalla sua battaglia per i diritti, in primis quello del sostegno alle donne che vogliono figli senza essere insozzate da un maschio. Poi c’è Conte, l’avvocato buono per tutte le cause, che ora recita la parte del pacifista ma è solo una macchietta che nessuno prende sul serio.

Conte, Schlein , Meloni

Insomma se ne sentono di tutte, tanto per far credere all’esistenza di una dialettica politica autentica quando il nostro è un regime viscido nel quale partiti, progetti e ideali politici, iniziative sociali e culturali sono solo un imbroglio per nascondere il totalitarismo del malaffare e la morte della politeia.

Se ne sentono tante, si sparano cifre come in una sala d’aste ma nessuno dice l’unica cosa sensata, nessuno pone una domanda semplice semplice: perché mai in questo momento dovremmo avere la necessità di aumentare la spesa per la difesa? Ma come, risponderebbero tutti in coro, dai fratellastri d’Italia a Tajani, dai Piddini a Calenda, dallo stesso Conte a Fratoianni: perché la Russia ci minaccia. Lo stesso coro unanime che ha fatto di Putin l’aggressore dell’Ucraina quando era un’evidenza solare che il governo nazista di Kiev d’accordo con la Nato e i dem americani aveva attaccato i russi del Donbass e cercato di stringere la Russia in una morsa.

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Addirittura un campione di ciò che sono gli “intellettuali” italiani, il canuto zazzeruto con un piede in Italia e uno nel mondo anglosassone, sostiene impunemente la tesi che senza la Nato l’esercito russo bivaccherebbe nelle ruas e nei quadrados di Lisbona. Con quale scopo e quale tornaconto non è dato sapere. Nella sua storia secolare la Russia non ha mai cessato di essere la versione slava della romanità orientale, l’erede dichiarata di Bisanzio, il baluardo della cristianità ortodossa, senza alcun interesse ad espandersi verso ovest.  Quando nel 1453 Costantinopoli, abbandonata dalla cristianità occidentale al suo destino, cadde nelle mani di Maometto II, il testimone dell’Impero e del  cristianesimo ortodosso passò al granduca di Mosca Ivan III, che assunse il titolo di Cesare – Czar – legittimandosi come erede degli autocrati bizantini grazie al  matrimonio con Zoe Paleologa, nipote dell’ultimo imperatore romano d’Oriente. Un’eredità formalizzata col successore Ivan IV il terribile col quale la terza Roma si sbarazzava dei residui feudali e rivendicava apertamente il suo ruolo di baluardo della cristianità contro la pressione islamica.  La Russia imperiale si espande verso sud e verso est rimanendo come Bisanzio culturalmente e politicamente chiusa nei confronti dell’occidente europeo fino a Pietro il Grande che ruppe il diaframma fra le due Europe creatosi  in seguito alla morte di Teodosio e all’imbarbarimento della romanità occidentale: da allora in poi l’Europa delle teste coronate e della fitta rete di parentele dinastiche si arricchiva di un nuovo ingombrante soggetto, diventato subito parte attiva nel dinamismo geopolitico europeo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo. Dopo il terremoto rivoluzionario e bonapartista terminato col disastro dell’aggressione alla Russia il Congresso di Vienna fissò l’equilibrio politico continentale delle “potenze”: Francia, Inghilterra, Austria,Russia. Un compattamento politico e soprattutto culturale che fece della Russia una componente essenziale della civiltà europea. Il resto è storia recente: il risveglio delle nazionalità che mina l’impero asburgico e rompe quell’equilibrio, le tensioni sociali e le utopie rivoluzionarie, la crisi generale dell’ordine sociale politico e istituzionale europeo di cui fece le spese la Russia zarista.  La sconfitta del trotskismo e i totalitarismi antibolscevichi impediscono il debordare  del comunismo che rimane circoscritto a Mosca e alla sua area di influenza e di difesa rompendo di nuovo l’unità politica e culturale del continente che si ritrova diviso fra est e ovest, questa volta con una precisa connotazione politica e ideologica. Una frattura deleteria per il ruolo dell’Europa nel mondo ma che torna utile sul piano politico, economico e commerciale a quei Paesi che ora rimpiangono la cortina di ferro, beninteso ridotta a un cappio al collo di Mosca: dal Regno Unito alla Francia alla Germania, usciti tutti con le ossa rotte dalla seconda guerra mondiale. Non si rassegnano a un nuovo ordine mondiale che li marginalizza, orfani della guerra fredda non hanno più alcun ruolo significativo e per acquistarlo inventano una inesistente minaccia russa. Vogliono giocare in Europa la stessa partita che Israele gioca nel medio oriente: più atlantisti del dominus americano ne interpretano e sollecitano l’imperialismo finanziario che per sopravvivere deve smantellare il Brics. Si sono accodati a Biden nell’usare l’Ucraina come ariete contro Mosca; mal che vada a farne le spese saranno gli ucraini, e ci sarà comunque come consolazione il business della ricostruzione

Trump e Biden

Se Trump, come i suoi predecessori, è solo lo strumento della finanza globale –  americana, o, se si vuole, israelo-americana – deve necessariamente far  uscire l’America dal cul de sac ucraino in cui l’ha cacciata Biden e far leva su Israele per scardinare l’ordine geopolitico mediorientale: controllando il Pakistan e tutta l’area iraniana e mesopotamica si può dare una spallata all’India mettendo contemporaneamente a cuccia il Brasile di Lula e il Sudafrica mentre l’asse col Giappone e la Corea del sud rimuove ogni residuo ostacolo alla pervasività del dollaro. A quel punto la Cina rimane un formidabile concorrente industriale e commerciale ma interno alla finanza globale e tramonta l’idea di un ritorno alla sovranità monetaria (e politica) del pianeta.

Se, al contrario, Trump rappresenta il ritorno ad un remoto primato della politica il focus della sua azione di governo non è il dollaro ma l’economia industriale americana, con un occhio di riguardo all’occupazione,  alla tenuta sociale e al mercato interno, allargato a tutto il continente in una nuova versione della dottrina Monroe. È il Trump sovranista e populista che terrorizza le cancellerie europee, i mercati, le multinazionali e il potere delle banche, che è poi quello che gli americani hanno votato, è l’America che guarda a un mondo multipolare e pacificato come una risorsa, non come una minaccia.

Onestamente non so quale sia il vero Trump e sospetto che non lo sappia nemmeno lui. Ma una cosa è certa: in tutti e due i casi è un suo preciso interesse mantenere buoni rapporti con la Russia, anche se il bellicismo europeo gli torna utile. Dal suo punto di vista se gli europei agitano un nemico immaginario, sognano una force de frappe che li faccia sentire importanti e castrano la loro economia per fare un dispetto alla Russia sono indubbiamente stupidi ma la loro stupidità porta acqua al mulino dell’industria bellica americana e li rende schiavi delle risorse energetiche americane.

Musk e Trump

 E allora, quale che sia il vero Trump, ecco il paradosso dell’imposizione deI 5% del Pil destinato al riarmo in vista di una guerra che non ha senso e non si farà mai. Come dire: non ho niente contro Putin, col quale ho ottimi rapporti e senza di me non gli farete nemmeno il solletico ma dovete pagare per il vostro velleitarismo.  Un paradosso ma anche una manna dal cielo molto più dei dazi, del gas e del petrolio perché almeno l’80% delle migliaia di miliardi di euro che Regno Unito e Ue dovranno tirare fuori serviranno per comprare aerei e missili dagli americani. Il resto andrà a ingrassare intermediari e azionisti delle industrie belliche nostrane, i cui vertici direttamente o indirettamente controllano governi europei di destra, di centro e di sinistra, a cominciare dal nostro e tutti i principali media europei. E al Trump bifronte, a differenza di Musk e di qualche suo collaboratore, non dispiace  avere a che fare con politici eterodiretti, privi della forza e dell’autorevolezza del consenso, impegnati a rimanere a tavola chiunque sia quello che la imbandisce.

Noterella finale

A proposito di media. Leggo ora sulla sua quotidiana rubrica un surreale attacco di Mattia Feltri al segretario generale delle Nazioni Unite che ha sanzionato l’intenzione di Zelensky di ricorrere scopertamente alle mine anti uomo. C’è una sola scusante per la posizione di Feltri – peraltro tutt’altro che isolata -: non sapere di cosa si tratta. I campi minati rallentano l’avanzata del nemico ma a guerra finita le mine sono un disastro per l’ambiente e l’incolumità dei civili. Meglio son piazzate più sono efficaci ma lo sminamento diventa quasi impossibile e in ogni caso richiede anni se non decenni. Le spiagge del Calambrone sono rimaste off limits per tutti gli anni Cinquanta con mine assai meno sofisticate e posizionate in modo grossolano, figuriamoci cosa sarà delle aree intorno a Karkiv o a Sumy. Fin qui semplice ignoranza o ingenuità ma Feltri va oltre. L’argomento “gli ucraini si devono pur difendere” non gli basta e allora per giustificare il comico di Kiev  che  chiede mine agli amici della Nato ecco l’affermazione perentoria: i russi, dal momento che non hanno sottoscritto la convenzione che le mette al bando,  le stanno usando senza ritegno dal ’22.  Cioè: i russi, che sono quelli che avanzano, minerebbero il terreno su cui mettono i piedi. Fantastico.

Pierfranco Lisorini

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