IL DESTINO DEGLI IMPERI ATTRAVERSO LE LORO VALUTE (I)

Il denaro come espressione della salute o della malattia di un impero. Di ogni impero.
E la figura geometrica che ne indica le vicende è la parabola: quella curva che esprime impietosamente la caducità di tutto ciò che è vivente o inanimato.
Un impero nasce come somma di diversi fattori, dalla padronanza sul piano tecnologico a quello militare, dall’innovazione nel campo degli armamenti all’abilità commerciale, e così via. L’impero romano si impose in particolare per l’efficienza dei suoi eserciti, ai quali nessun altro seppe resistere. Ciò portò Roma ad invadere e assoggettare popoli in ogni direzione. Ne seguì lo sfruttamento sotto forma di tributi, schiavi, derrate alimentari.

Schiera di legionari. La conquista con le armi di territori stranieri, saccheggiandone le ricchezze, costringendoli al pagamento di tributi, spesso schiavizzandoli, era prassi ordinaria nell’antichità. E la Roma imperiale non fece eccezione.

La sua moneta, il denario, composta da oro o argento purissimi, era riconosciuta e tesaurizzata in tutti i territori assoggettati. Ciò determinò un continuo afflusso di ricchezze nella capitale, con un benessere diffuso a livello popolare e uno sfarzo scriteriato nei palazzi del potere.

L’afflusso di enormi ricchezze dai territori assoggettati spinse i palazzi ad una vita sregolata e dissipatrice, elargendo alla plebe “panem et circenses“. Il romano di allora ricorda l’americano di oggi

Ma il sommarsi di: eccessiva estensione territoriale, spese astronomiche per le infrastrutture (strade, ponti, acquedotti e altre colossali costruzioni) enormi eserciti, richiesti per tenere a bada le costanti ribellioni dei popoli periferici, costi dei trasporti da località troppo lontane, mentre le spese delle élite e del popolo continuavano a crescere: tutto ciò determinò la progressiva incapacità di tenervi fronte, come fedelmente rispecchiato dalla moneta.

180 d. C. Muore l’imperatore filosofo, Marco Aurelio, lasciando al dispotico figlio Commodo un impero a pezzi

Emblematico il regno di Marco Aurelio, dal 161 al 180 d. C., che vide l’imperatore impegnato in ben 17 campagne militari, specie contro i Parti, che stremarono l’impero, precipitandolo dalla passata floridezza al repentino declino economico, precursore della terribile crisi dell’anarchico III secolo. E la moneta ne testimoniò le amare vicende, con la ripetuta aggiunta del rame all’argento, e la sua incessante coniazione: gli ingredienti perfetti per una crescente inflazione e il diffuso rigetto di accettarla in pagamento.

Alla crescente penuria di oro e argento, il denario subisce il deprezzamento (debasement) tramite l’aggiunta progressiva di rame e metalli meno nobili…

…mentre la truppa guarda con crescente insofferenza i pagamenti in monete dal calante valore intrinseco. E un esercito insoddisfatto combatte con sempre minor vigoria, cedendo alle orde barbariche sempre più ardite e incalzanti ai confini

Una moneta come il denario, che era stata il perno degli scambi commerciali, accettata senza riserve da ogni abitante dell’impero, aveva finito per perdere credibilità: la gente non le attribuiva più il valore di un tempo, certificato dal suo alto contenuto in argento. E una moneta screditata spinge la gente a sostituirla con altri beni mobili, fino al baratto.

Gli scambi commerciali nell’Alto Medio Evo erano assai ridotti ed avvenivano perlopiù con lo scambio di prodotti agricoli e animali (baratto), anche per l’esigua disponibilità di metalli nobili

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La perdita di fiducia nella moneta sottende l’analogo discredito verso lo Stato, e il suo crollo finale, che in questo caso aprì le porte all’Alto Medio Evo, privo di una moneta che unificasse i movimenti commerciali tra i vari aggregati umani risultanti dalla generale disgregazione. Le città si spopolarono, determinando un minor bisogno di moneta, in quanto le “comunità rurali” avevano scarsi scambi, col predominio del baratto. Anche l’infima disponibilità dei metalli nobili necessari per coniare monete non fece che riflettere il regresso della civiltà. D’altronde, è impensabile che quelle che sino a tempi recenti si definivano comunità rurali potessero disporre di moneta: esistevano in quei secoli “solo raccordi familiari -o forse meglio parentali- inter villas a costituire il tessuto connettivo sociale della vita nelle campagne”. [VEDI]

Le repubbliche marinare italiane di maggior rilievo furono: Venezia, Genova, Pisa, Amalfi. Tutte compensavano la scarsa ampiezza territoriale con l’estensione della rete commerciale nell’intero Mediterraneo; ma proprio per questo necessitavano di battere moneta propria, accettata dovunque

Solo nel Basso Medio Evo, dopo l’anno 1000, la monetazione riprese, sia pure in quantità limitata. Il primo Stato italiano a battere moneta fu la Repubblica di Amalfi nel 1080, con il tarì d’oro, largamente accettato, a conferma della floridità della pur piccola Repubblica marinara. Una moneta sfiduciata avrebbe enormemente nociuto alla sua attività.
Seguirono, su più larga scala, limitandoci all’Italia, l’ambrosino d’argento milanese, lo zecchino d’oro della Serenissima, il fiorino d’oro di Firenze, il genovino di Genova: tutte realtà ben consolidate, che riversavano sulla loro valuta il proprio prestigio. Prestigio che si materializzò nell’ampia fiducia di cui godettero negli scambi sia italiani che esteri, ma limitati all’area mediterranea e quindi ancora ben lontani dal coniare quella che oggi definiamo “valuta di riserva”, accreditata da un ampio spettro di nazioni.

Dall’alto: ambrogino d’argento milanese: zecchino d’oro veneziano; fiorino d’oro fiorentino

Dobbiamo infatti fare un salto fin verso la metà del XV secolo per trovare la prima valuta di ampia diffusione, ossia internazionale nel senso moderno del termine. Fu allora, infatti, che il Portogallo assurse allo status di nazione dominante grazie alla sua abilità marinara, che gli permise di raggiungere, col periplo dell’Africa, la lontana Asia, nonché, dall’inizio del XVI secolo, dopo la scoperta dell’America, il Brasile. Grazie alla sua intraprendenza, la moneta portoghese, il real, divenne la moneta riconosciuta e accettata in gran parte del mondo allora conosciuto: il corrispondente delle suaccennate valute di riserva.

Punto primo: scortare le navi cariche di preziosi con una flotta a difesa dai pirati e da bandiere ostili lungo estenuanti percorsi oceanici

Punto secondo: dotarsi di fortini e guarnigioni armate in punti strategici lungo le rotte per protezione e rifornimenti di vettovaglie

La sua parabola, tuttavia, fu breve, perché l’eccessiva estensione oceanica e le relative spese sia per le scorte dei suoi vascelli che trasportavano beni preziosi, come oro dall’Africa e spezie dall’Oriente, sia per la posa di numerosi fortini lungo le rotte a difesa dei beni stessi, lo portarono ad accumulare debiti con banchieri italiani e tedeschi, facendosi anticipare soldi a fronte di futuri proventi.

L’ultima spiaggia: la progressiva riduzione del tenore di oro o argento fino a valori infimi (debasement), prodromo del futuro default

Col tempo, gli introiti dalle sue spedizioni non ressero più le spese vive e i debiti, e la sua moneta perse gradualmente di fiducia, accelerata anche dall’ormai famigerato sistema di svalorizzare le monete d’oro e argento, in lega con metalli meno nobili, aumentandone la coniazione e la relativa inflazione, con conseguente discredito e successiva mancata accettazione nei pagamenti; finché, verso il 1530, il real dovette arrendersi alla triste realtà. La festa era finita, dopo soli 80 anni.
La trafila “dalle stelle alle stalle” non fu diversa dalle precedenti e da quelle che seguirono: sovrabbondanza materiale, sfarzo e tenore di vita adeguato all’improvvisa ricchezza; estensione sproporzionata dei traffici; spese astronomiche per difendere gli avamposti in lontani paesi; debiti con le banche ipotecando introiti futuri; svilimento della moneta e sua moltiplicazione inflazionistica; perdita di valore e sfiducia.

La Spagna assurse rapidamente al rango di vero impero, sul quale “non tramontava mai il sole”, grazie alla scoperta di enormi giacimenti di argento oltremare

Il piccolo Portogallo dovette rientrare nei suoi limiti geografici e demografici (solo un milione e mezzo di abitanti), per cedere il passo all’esplosione della ricchezza del nuovo impero a pieno titolo: la Spagna, dopo la scoperta di ingenti miniere d’argento nel Nuovo Mondo.

(continua)

Marco Giacinto Pellifroni   2 novembre  2025

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