Il delirio onirico dell’Italia meloniana

Con la disinformazione siamo alle comiche finali: le notizie sui temi cruciali, l’Ucraina. il medio oriente, l’immigrazione illegale, lo stato dell’economia e dell’occupazione propinateci dai giornaloni borghesi –  il Corriere, Repubblica, la Stampa – perfettamente allineati con quelli considerati di destra – Il Giornale, Libero,il Tempo e con qualche sussulto  la Verità (che cerca di riscattarsi rivangando la brutta storia del Covid e del  vaccino) –  vanno puntualmente rovesciate se si vuol mantenere un minimo di orientamento.

Sia chiaro: il tentativo di ingannare e disorientare la pubblica opinione non è una prerogativa del nostro Paese. In questa materia i capiscuola sono stati gli americani, che non per nulla sono quelli che hanno scoperto la psicologia sociale e le tecniche di condizionamento individuale e di massa. Ma in America, come, in misura minore, nel resto d’Europa, ci sono anche degli antidoti, esiste anche una stampa libera, esiste la possibilità di attingere a fonti alternative affidabili e facilmente accessibili sugli schermi televisivi e nelle edicole e una buona parte di quanti ricoprono posizioni di rilievo nella società non si prestano all’intruppamento come succede in Italia dove i  cosiddetti intellettuali danno un’oscena dimostrazione di assenza di pensiero autonomo.  Non faccio nomi perché sono terribilmente suscettibili – e nel passato ne ho avuto personalmente la prova – ma posso affermare tranquillamente che di quelli che godono di visibilità non se ne salva nessuno.

Con l’Ucraina si è superato ogni limite. Lasciamo perdere  la mancanza di analisi sulle origini del conflitto (l’accerchiamento della Russia da parte della Nato, la pulizia etnica nel Donbass, la proibizione del russo inserita in costituzione, la pretesa di tenersi la Crimea ricevuta in dono da Krusciov senza nemmeno la foglia di fico di un voto popolare), sulle quali si sorvola allegramente;  nemmeno un fiato sulla illegittimità di un governo originato da una rivolta organizzata dalla Cia e perpetuato dalla legge marziale, non una parola sul terrorismo di Stato di Kiev, non una parola sul ricorso sistematico alla menzogna ( bombardamento del ponte di Kerch, sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, assassinio della Dugina  prima attribuiti al Cremlino poi diventati motivo di vanto).  Sullo sfondo una pervicace negazione dell’evidenza:  la Russia , che com’è noto lippis atque tonsoribus contende agli Usa il ruolo di maggiore potenza militare del pianeta e da settant’anni detiene saldamente il primato in campo missilistico e nucleare, è uno schiacciasassi teso a ottenere i maggiori risultati col minimo sforzo; e aver pensato anche per un momento che potesse essere piegata  da uno dei Paesi più poveri e peggio organizzati anche dal punto di vista militare,  riempito quanto si vuole di armi occidentali,  ha dell’incredibile. Non a caso il governo russo non è ricorso a una mobilitazione generale, non a caso ha evitato di parlare di guerra: quella che viene condotta è un’“operazione militare speciale” e non è questione nominalistica perché la Russia non è un Paese in guerra, la società russa non vive in una condizione di guerra e non subisce le conseguenze di una guerra. L’Ucraina dal canto suo è solo la vittima sacrificale degli errori di calcolo dei vertici Nato, della Cia e del Pentagono.

Sono considerazioni scontate, ovvie, incontrovertibili ma nel generale capovolgimento della verità non c’è più nulla di scontato, le notizie non sono più il resoconto dei fatti ma veicolo di una  narrazione di comodo costruita a tavolino che periodicamente, quando i fatti irrompono nella cronaca, viene riaggiustata per integrarli al suo interno opportunamente deformati.

Si è fatto passare per debolezza e impreparazione una dimostrazione di forza: il massiccio ricorso a volontari delle repubbliche asiatiche, a truppe private (il gruppo Wagner) e cecene e ora della Corea del nord dettato dalla volontà di tenere la società russa al riparo dal conflitto. Bufala per bufala per i nostri media imbeccati da Seul quelle coreane sono sprovvedute, male armate, mandate al macello e pronte a disertare. Dimenticando per l’occasione che quella nord coreana è una dittatura militare armata fino ai denti, forte di un consenso indiscusso che trabocca  anche oltre il 38ºparallelo e nata da una terribile lezione inflitta all’esercito americano).

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Il fatto è che la Nato e l’Ue scherzano col fuoco e i loro dirigenti per evitare di essere travolti da una reazione popolare hanno scelto la strada di edulcorare la prospettiva di una guerra globale imponendo l’immagine di una Russia stracciona e vicina al collasso, pronta ad essere abbandonarla al suo destino dall’alleato cinese. Il segretario alla difesa del defunto governo Biden, che ormai si può permettere di spararle grosse tanto non conta più nulla, ha dichiarato che Putin ha perso dall’inizio del conflitto settecentomila uomini (nemmeno gli ucraini si erano spinti fino a tanto) precisando che ogni giorno muoiono mille soldati russi.  Penso che negli ambienti militari americani si siano fatti una grassa risata; ma non da noi: l’edizione on line del Messaggero la propone come un dato accertato. Quello che purtroppo è certo è che se, per fortuna e ringraziando i russi, la popolazione civile ucraina ha sofferto perdite estremamente limitate, lo stesso non si può dire di intere generazioni di giovani ucraini spediti a morire nel Donbass o intrappolati nel Kursk senza speranza di uscirne vivi (e non sono tutti epigoni del nazismo). Ed è anche certo che le armi e i denari dell’Occidente (Italia compresa) non assicureranno all’Ucraina nemmeno un metro quadrato di territorio ma in compenso continuano ad arricchire il clan dell’ex comico e gli permettono di finanziare il terrorismo islamista. E così, con la complicità di politici del calibro della Meloni, di Tajani, di Crosetto o di Urso, il conflitto continua e più continua più il destino dell’Ucraina è compromesso: era già un Paese corrotto e dissestato,  ora la sua economia è completamente distrutta e si appresta a diventare terra di conquista  di quanti si fregano le mani per la sua “ricostruzione”. Non solo: col passare del tempo si fa sempre più concreta l’eventualità della sua dissoluzione e i primi a contendersene le spoglie sono i suoi più stretti alleati. E dovendo giustificare di fronte all’opinione pubblica (ripeto soprattutto americana) i miliardi di dollari che altrimenti parrebbero buttati nel cesso si deve far credere che sono serviti e che servono a qualcosa.  A questo scopo Zelensky ha approntato un doppio regalo per il suo patrono e mandante: l’offensiva nel Kursk (che allontana la possibilità per l’esercito ucraino di uscire dalla trappola in cui si è cacciato ma in compenso impedisce che si avviino negoziati di pace quando finalmente si insedierà il nuovo presidente americano) e lo stop al passaggio di gas russo, per la gioia dei fornitori americani; tutto per dire: vedete che spendo bene i vostri soldi!.

Ma se Zelensky trionfante annuncia: “dall’Ucraina non passerà più un millimetro cubo di gas russo, è un colpo mortale per Putin e per la Russia”, il colpo, ancora una volta , l’ha preso l’Europa.  E i media italiani sono in imbarazzo: cosa dobbiamo raccontare  al popolo bue? Diciamo che a chiudere il rubinetto sono stati i russi che ci vogliono affamare.  Ma come si fa se Zelensky  va in giro a dire che l’ha  fatto lui? Allora cambiamo versione: intanto raccontiamo che chi subisce è la Russia che perde i suoi clienti  mentre per noi non cambia niente, anzi quasi quasi ci guadagniamo. Ma i moldavi si disperano – non sono loro – e le nostre bollette levitano.  Allora ecco il colpo di genio: c’era un contratto da rinnovare e per colpire la Russia l’hanno stracciato gli ucraini e per far male alle nostre democrazie l’hanno stracciato i russi.

L’ultima sciocchezza l’ho sentita da Dario Fabbri (questa volta faccio il nome): La Russia, dice, sta vincendo, anzi ha già vinto. E uno pensa: toh, anche da noi si può impunemente cantare fuori dal coro. Ma poi, proseguendo: “vince sul piano tattico ma strategicamente la sua è una disfatta”. Bene, così può passare. Ma se qualcuno meno avvezzo a bere di tutto si chiede: com’è che vince nella tattica e perde nella strategia? che vuol dire?  che dopo aver vinto in realtà ha perso, forse perché rimane isolata?  Ma è chi perde, caro Fabbri, a rimanere isolato e gli indecisi – non solo loro – sono pronti a salire sul carro del vincitore.

Due codicilli

Dal Belgio rimbalza la notizia delle violenze degli immigrati sulle donne la notte milanese di capodanno, con la polizia che se c’era stava a guardare. Non si doveva  divulgare, le veline imponevano di spostare il focus  sul vilipendio (e sai tu che reato!) tanto le femministe  starebbero state zitte perché gli aggressori erano scuri di pelle ma i belgi hanno rotto le uova nel paniere. Ce n’è abbastanza perché un ministro degli interni si dimetta: ma Piantedosi è in una botte di ferro perché se lui lascia diventa difficile fermare Salvini.  Allora tutti d’accordo: addosso a Sala!

Cecilia Sala e Meloni

Una giovane cronista italiana esperta in podcast va in Iran per costruirne uno che documenta le malefatte del regime e allo scopo contatta una persona tenuta d’occhio dai pasdaran. Ce n’è abbastanza per arrestarla per violazione delle leggi islamiche (o, se si vuole, attentato alla sicurezza dello Stato). Col passare dei giorni diventa un caso nazionale, complicato dall’arresto di un cittadino iraniano accusato di spionaggio dagli americani e dalla circostanza che la ragazza ha protettori molto influenti.  Si comincia a parlare di scambio, ma a palazzo Chigi non c’è Craxi e la classe politica italiana – maggioranza e opposizione – è in gravi ambasce, tirata da una parte de dall’altra.  Alla Meloni non resta che andare a prostrarsi dal nuovo Dominus e ad nutum Iovis tutto si risolve: la ragazza esce dalla segreta e per l’iraniano si troverà una soluzione.  Trump non si è ancora insediato ma evidentemente le leve del potere sono già saldamente nelle sue mani. Per la stampa italiana però la prova di forza non è la sua ma della questuante, investita dall’universo mondo mediatico, dal Corriere al Manifesto passando per il Domani e il profumo d’incenso del Giornale, di un’ autorevolezza che nessun capo di governo italiano ha mai avuto. L’Italia è tornata grande!

Per concludere

Questo è il clima, questa è l’informazione in Italia, dove i partiti esistono ancora sulla carta, il parlamento esiste ancora sulla carta, un’opposizione c’è ancora, sulla carta. Solo sulla carta.  Certo non c’è repressione, perché non c’è niente da reprimere; certo non c’è censura, perché non c’è niente da censurare, certo non ci sono leggi eccezionali: non ce n’è bisogno.  Ma non c’è nemmeno nulla in cambio, e l’Italia è tornata grande e autorevole solo nella fantasia malata di certi giornalisti; c’è solo stanchezza, frustrazione, rassegnazione e  una grande miseria  sociale, morale, culturale.

Pierfranco Lisorini

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