IL DECLINO DI SAVONA

Savona negli anni 70 era una città che aveva 80.000 abitanti, negli anni 90 è scesa a 65.000 per arrivare, negli anni 2000, a 60.000, senza che in quegli anni vi sia stata un epidemia che potesse giustificare la perdita di 20.000 abitanti.
In verità vi è stata una epidemia che non ha riguardato però gli abitanti, ma le attività industriali, perché a Savona, fino agli anni 80, vi erano fior di industrie, che creavano occupazione e ricchezza alla città; dopo di chè, con ilvento del cambiamento, dovuto all’arrivo delle nuove tecnologie e alla nuova coscienza nei confronti del problema ambientale, è venuto a mancare l’impulso all’innovazione e da città produttiva Savona è diventata città assistita.Della fine della ferriera dei Tardy & Benech, poi diventata Italsider,ne ha già parlato largamente il Consigliere Silvio Rossi, per cui mi pare inutile tornare  su questo argomento, che peraltro è stato l’esempio più eclatante della deindustrializzazione della nostra città; ma non è stato l’unico per nostra sfortuna, infatti non ci dobbiamo dimenticare ditutte le altre industrie savonesi, che fino agli anni 80 rappresentavano la forza produttiva della nostra città, alcune in parte legate alla grande industria siderurgica, altre no:
La vecchia industria delle “fialette” in  Via Repusseno, un’azienda florida che necessitando di un’ampliamento consistente per poter implementare la sua produzione, doveva delocalizzarsi altrove, perchè non le era stato possibile trovare altre aree nel comprensorio savonese e l’amministrazione comunale di allora, non considerando l’importanza di tale fabbrica, poco fece per trattenerla nel proprio territorio; al contrario trovò un’area consona “gratis” in basso Piemonte, dove potè costruire una struttura moderna, dove oggi lavorano circa 300  persone.
Per lo stesso motivo la Scarpa  & Magnano, con stablimento e sede via Verdi- Villapiana, dopo tanti anni nella nostra città, si trasferisce in Val Bormida
Sulle sue aree ora  vi sono palazzi.Che dire dell’ARCOS, una fabbrica che produceva bacchette per saldare, richieste anche dal mercato estero ,attività ai tempi in pieno sviluppo, la quale, non avendo un’ area sufficiente, fu costretta a trasferirsi  nel Comune di Albisola, che gli concesse una area sufficiente per la sua attività.
La Servettaz Basevi, per tanti  anni insediata nella zona del prolungamento davanti  al mare, dopo il traferimento dall’area di Corso Colombo  in via Stalingrado chiude. (oggi nelle sue aree esiste un centro commerciale).
Vi è da dire che lo sgombero della Servettaz dalla storica area attigua alla spiaggia  di Corso Colombo avvenne nel periodo in cui  Sindaci della città erano i socialisti Martinengo e Zanelli, per cui le aree divennero i giardini pubblici del prolungamento; fu una fortuna per Savona, che scampò la costruzione di immobili fronte mare, perché, come ben si sa, i Sindaci comunisti hanno un debole per l’edilizia residenziale e, a quel tempo, erano pure  di moda, nei Paesi comunisti dell’est, i palazzi tipo “Chruscevka”, per cui c’è da dire: ce la siamo scampata!
Poi vi era la zona lungo il Letimbro, cioè tutto Corso  Ricci, dove esistevano  una miriade  di piccole aziende, che operavano sia nel settore meccanico che in quello alimentare.
Tutte queste industrie esistenti in Savona in quegli anni, oltre ad una occupazione per quel  tempo qualificata,  davano lavoro ad un terziario importante.
In aggiunta alle aziende di medie dimensioni, esistevano in città anche molteplici attività artigianali, che operavano nei fondi degli edifici, senza spazi sufficienti e senza parcheggi, e spesso osteggiate, perché attività rumorose o non adatte ad essere esercitate in zone residenziali.
Lo spostamento delle grandi industrie liberava grandi aree, che potevano essere rimodulate per essere utilizzate da imprese con minori esigenze di spazio , un po’ come era successo con il porto antico non più utilizzabile per le grandi navi; ma il sistema Savona, anziché rimodulare e razionalizzare   gli spazi dismessi dalla grande industria a favore degli  artigiani, per i quali erano più che sufficienti, preferiva costruire palazzi.

La domanda che cisi deve porre, a mio avviso, è la seguente: come mai mentre in tutta la Padania e, in verità, anche in certe aree centromeridionali, avveniva una riconversione industriale, che vedeva città creare distretti industriali importanti, che portavano  innovazione e occupazione sempre più qualificata, una città come Savona, che era stata per anni presente nel mitico triangolo industriale, contribuendo alla rinascita del Paese dopo la guerra,  invece indietreggiava?

La risposta sta nel fatto che il cambiamento  della situazione macroeconomica era mal digerito da una mentalità corporativa del sindacato e dalle amministrazioni  ortodosse rigide e conservative, che governavano la città, che preferivano chiedere aiuti di Stato a favore delle mestranze e piuttosto che aiutare gli imprenditori a riconvertire le loro attività, e utilizzare le aree dismesse per speculazioni immobiliari.
Erano anni nei quali moriva la siderurgia, perché settore non più consono agli standard ambientale dei paesi occidentali, e con la siderurgia tutto l’indotto legato ad essa, ma per contro  nasceva una nuova opportunità, e cioè la grande nautica, che tutte le città litoranee del nord Mediterraneo, con Genova in testa, coglievano al volo.
Grande nautica significa meccanica, elettrotecnica, elettronica, falegnameria, informatica, ingegneria navale, design, hotelleria, tutti settori che le nostre industrie mature e le imprese artigiane avrebbero potuto cogliere, se la politica avesse favorito questo nuovo grande e ricco settore nascente.

Senza andare molto distante, mentre a Genova e a La Spezia, con l’aiuto della politica, il sistema politico-economico coglieva l’occasione, a Savona si costruivano orrendi palazzi e si toglievano spazi, che sarebbero stati utili alle attività della nautica in quanto attigui al porto.

A  tutto questo  va aggiunta l’operazione PAIP, esempio di grande improvvisazione e disorganizzazione, per la quale fior di aziende sono fallite, a causa dei ritardi da parte del Settore Lavori Pubblici delle Amministrazioni di allora nella realizzazione delle opere di urbanizzazione, Settore che ha completamente dimostrato la sua incompetenza e arroganza, perchè non si può pensare che, dopo avere firmato le convenzioni per acquisire terreni per costruire capannoni, si possa aspettare 8 anni per realizzare le  fognature e tutto il necessario per poter iniziare a lavorare, (per es. nella zona F del Paip, a fronte della Convenzione firmata nel 1986, l’urbanizzazione avveniva nel 1992, mentre i lavori di costruzione dei capannoni terminavano nel 1990).
Le aziende private non possono campare e pagare mutui se sono impossibilitate a lavorare per un tempo così elevato, a causa  della burocarazia comunale.
Ciò è accaduto a Savona e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Savona poteva rimanere in parte industriale e in parte diventare turistica; poteva essere una piccola Nice, più giovane, più dinamica e più bella e invece sta volgendo lentamernte verso un declino, di cui, purtroppo, ne hanno e ne stanno facendo le spese, i nostri giovani, che per lavorare devono emigrare altrove.
Alda Dallaglio
(Consigliere uscente Gruppo Savona Capoluogo)

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