IL DECLINO DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA
In un quadro generale di fortissima difficoltà del sistema di relazioni internazionali che si trova ormai sull’orlo del conflitto globale e di vera e propria crisi delle democrazie liberali insidiate da “democrature” e autocrazie di vario tipo la democrazia italiana sembra proprio aver imboccato la strada del declino in uno scenario nel quale potrebbero presentarsi variabili imprevedibili.
Così con un declino apripista di possibili avventure potrebbe concludersi la lunga transizione avviata fin dagli anni ’90 del secolo scorso con la fine della “Repubblica dei Partiti”: transizione affrontata dell’establishment politico, economico e culturale semplicisticamente attraverso lo spostamento dell’asse di riferimento dalla rappresentanza politica alla governabilità intesa come potere modificando così – a seconda delle reciproche convenienze – il sistema elettorale in modo da rendere l’esito del voto pressoché impermeabile al giudizio di elettrici ed elettori (con conseguenza di larghe intese, governi tecnici, passaggi immediati da giallo verde a giallo rosso ecc.).
Ci si sta interrogando sulle cause profonde di questa difficoltà: potrebbe essere allora possibile individuare due elementi fondativi:
1) Il distacco dalla Costituzione Repubblicana vero fondamento della “democrazia antifascista”, trasformata in “democrazia afascista”. Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati (Democrazia afascista – Feltrinelli) la descrivono come preparatoria di un mondo gerarchico e statico; una società della cieca deferenza, dove c’è chi è in alto e c’è chi è in basso e dove chi è in basso, persuaso che le sconfitte sono solo eventi personali, deve piegare il capo rinnegando un secolo di conquiste democratiche. Il grande nemico della democrazia afascista è infatti l’uguaglianza sociale e politica. Crescono così invidia, risentimento, frustrazione e ci si rivolge al populismo rifiutando l’idea della politica come “motore sociale”. In questo modo si anestetizza lo stesso schema bipolare che si sta consolidando come espressione del sistema politico perchè entrambi gli schieramenti finiscono prigionieri di quelle che sono state definite “concezioni avaloriali”, ipermaggioritarie, notabiliari e aconflittuali limitandosi a gareggiare – appunto – per la gestione del potere;
2) L’altro elemento di declino è stato rappresentato dalla presenza (anche dirompente) delle cosiddette “proposte terziste”, nè di sinistra, nè di destra, che hanno portato ad un analogo effetto anestetizzante omologo a quello provocato dal distacco dalla Costituzione antifascista. Nel suo “Categorie della Politica, dopo destra e sinistra” Vincenzo Costa individua nella crisi di legittimazione della democrazia liberale l’incapacità di intercettare i cambiamenti e le istanze di quello che viene definito, riprendendo Habermas : “il mondo della vita”. Così il nè di destra e il né di sinistra si traduce in un ritrovarsi nel manifestare diffidenza verso i ceti popolari cui è attribuita lo stigma di “sconfitti della globalizzazione”. Se la destra è sempre stata intrisa di uno spirito suprematista e “iper classista” la sinistra sembra adeguarsi in un atteggiamento escludente nei confronti di che dispone di minore capitale economico e culturale. Il punto di contrasto di questo stato di cose risiederebbe allora nel reingresso delle masse popolari nella gestione della politica: elemento questo progressivamente assente con la fine dei grandi partiti a integrazione di massa sostituiti proprio dal polverone populista del “nè di destra, né di sinistra” (che non è stato soltanto appannaggio del M5S).
Servirebbe un recupero di identità che potrebbe realizzarsi soltanto convincendo che la politica rimane lo strumento più efficace a cambiare la condizione sociale.
La riaffermazione della Costituzione Antifascista, della visione che contiene il suo testo dei rapporti sociali, delle forme di strutturazione istituzionale, di disegno per il futuro rappresenterebbe la chiave di volta per delineare la costruzione di una nuova identità democratica: nel frattempo però ci aspettano prove molte ardue e non pare che ci si stia attrezzando a sufficienza per affrontarle adeguatamente.