Il costo della sanità

IL VOLTO DELLA MEMORIA 
(Cinquantunesima parte)
FAMIGLIA E SOCIETÀ CIVILE

IL VOLTO DELLA MEMORIA
(Cinquantunesima parte)

La crisi della Sanità Savonese è correttamente messa in rilievo dai:

TITOLI DI DUE SERVIZI GIORNALISTICI, a firma di MARIO DE FAZIO comparsi sul QUOTIDIANO LA STAMPA rispettivamente in data 5 NOVEMBRE 2015 e 9 NOVEMBRE 2015:

– MEDICI DI FAMIGLIA IN ESTINZIONE

L’ASL È COSTRETTA A COPRIRE 14 POSTI

 – SAN PAOLO, AL PRONTO SOCCORSO 33.000 PAZIENTI IN SETTE MESI

 IN AUMENTO LE VISITE PER PATOLOGIE LIEVI.

TEMPO MEDIO DI ATTESA: TRE ORE

 Che cosa dicono A TUTTI NOI, nella loro esemplare sinteticità, questi DUE TITOLI?


Ci dicono semplicemente questo:

 . STA SPARENDO LA MEDICINA DI BASE (O TERRITORIALE, che dir si voglia) E, CON ESSA, SONO DESTINATI A DILEGUARSI TRE PRESUPPOSTI FONDAMENTALI PER LA SANITÀ DEL FUTURO:

  1) L’HUMANITAS DELL’ARTE MEDICA E, CON ESSA, IL FONDAMENTALE RAPPORTO CHE DEVE INTERCORRERE TRA MEDICO E PAZIENTE  

  2) LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE  

  3)  LA RIABILITAZIONE DEL MALATO

 .  LA FUNZIONE DELL’OSPEDALE VIENE DEGRADATA SUL PIANO SCIENTIFICO E FUNZIONALE, PER LA SEMPLICE CONSIDERAZIONE CHE TUTTO IL PERSONALE OSPEDALIERO È COSTRETTO AD UN SUPER-LAVORO USURANTE SUL PIANO FISICO E DEPRIMENTE SUL PIANO CULTURALE, PERCHÉ ALIENO RISPETTO ALLE FUNZIONI PROPRIAMENTE OSPEDALIERE  

 .  IL COSTO DELLA SANITÀ E DESTINATO A SALIRE ULTERIORMENTE CON RIFLESSI PROFONDAMENTE NEGATIVI PER L’INTERO SETTORE ECONOMICO

 .  IL CASO SAVONESE (SOPRA CITATO) NON È UN FATTO A SE’ STANTE, MA E’  LA SEMPLICE ESPRESSIONE, IN SEDE LOCALE, DI UN PERCORSO NEGATIVO, SUL QUALE SI STA INCAMMINANDO L’INTERO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. Al fine di approfondire la conoscenza di questo decisivo argomento, ci siamo rivolti AL VOLTO DELLA MEMORIA di ALDO PASTORE, Il quale, augurandosi che, su questo specifico argomento, posso svilupparsi un sereno e costruttivo dibattito, ci ha fatto pervenire questo SUO SCRITTO (DATATO 14 GIUGNO 1996) dal seguente titolo:

IL COSTO DELLA SANITÀ

 E’ tempo di Legge Finanziaria e, più in generale, di dissertazioni sulla Finanza pubblica; è facile prevedere che ritorneranno 311′ attenzione dei tecnici e dei politici i temi legati allo Stato Sociale ed alle sue principali componenti costitutive (pensioni, assistenza, sanità); auspico, in tutta sincerità, che non tornino 311a luce i vetero-discorsi sui tagli e sui rattoppi e che, finalmente, si inizi un discorso serio sull’ intera materia (con particolare riferimento al tema della sanità), badando, unicamente, a riforme di struttura che mirino, contemporaneamente, al miglioramento della qualità dei servizi ed al rispetto delle compatibilità economiche dell’intera nostra collettività.

Soprattutto il settore della sanità va studiato, analizzato ed approfondito, a cominciare dal suo bilancio interno.

In questo mio “pezzo”, tenterò di far conoscere compiutamente il “dare” e l’ “avere” di questo comparto, cercando di dimostrare come, in passato ed al presente, si sia ragionato e si continui a ragionare, avendo, come base di partenza, dati distorti ed inesatti e, di conseguenza, si sia programmato ed agito con metodologie profondamente errate e, soprattutto, prive di prospettive a venire.


Incominciamo, allora dalle ENTRATE.

Queste sono esattamente individuate e definite dagli Articoli 32 e 53 della nostra Costituzione; voglio ricordare, in sintesi, che: ‘La Repubblica tutela la salute di tutti i cittadini, come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività” (affermando, con questo concetto, la prevalente natura pubblica dell’intervento sanitario); tuttavia, tutti i cittadini debbono contribuire alle entrate, fatta eccezione per gli indigenti, ai quali debbono essere, comunque, garantite cure gratuite.

L’Articolo 53, peraltro, precisa che tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese, in ragione della loro capacità contributiva; per di più, viene aggiunto che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Ora: i cittadini italiani, in questi ultimi cinquant’ anni di regime costituzionale, hanno contribuito, in forma e modalità diverse (e, spesse volte, sperequate) a finanziare lo Stato sociale, e, con esso, la Sanità (vedi: prelievi sulla busta-paga, oppure tassa sulla salute e quant’altro); esiste, tuttavia, una notevole percentuale di cittadini di questa nostra Repubblica che non hanno mai versato una lira per il finanziamento dell’intero comparto, oppure hanno versato in misura sottostimata ed, in ogni caso, difforme rispetto ai criteri di progressività, sanciti dalla Carta Costituzionale.

I dati sull’evasione fiscale, riferiti alle Dichiarazioni dei redditi del 1991, ci dicono, senza ombra di dubbio, che i contributi sociali evasi ammontano a ben 36.582 Miliardi di Lire, rispetto ai 56.417 Miliardi di Lire regolarmente dichiarati; ora: se pensiamo che la spesa sanitaria per l’anno 1994 si è attestata a quota 95.176 Miliardi di Lire (segnando 7.182 Miliardi di disavanzo rispetto alle previsioni) e che la spesa per l’anno 1995 è arrivata a quota 97.050 Miliardi (con 9.225 Miliardi di disavanzo), è facile arguire che se lo Stato Italiano avesse potuto recuperare ed utilizzare soltanto un quarto dei contributi sociali evasi, il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe potuto chiudere i suoi consuntivi in uno stato di sostanziale pareggio, senza ricorrere a tickets, o tagli di diverso genere e natura.

Abbiamo sentito parlare, in questi ultimi giorni, di rivoluzione fiscale; ben vengano le rivoluzioni fiscali, se queste comporteranno semplicità, chiarezza e trasparenza; ma è mia radicata convinzione che non perverremo a nessun autentico sconvolgimento se questo nostro Stato non saprà combattere l’evasione fiscale e contributiva e se non saprà recuperare il maltolto a danno dell’intera società civile.
E veniamo alle USCITE.

Su questo versante, occorre, in primo luogo, sfatare un luogo comune, che fa quasi quotidianamente notizia sui principali organi di informazione e cioè che in Italia si spenderebbe troppo per la sanità e che, di conseguenza, questo settore sarebbe diventato una voragine finanziaria per il bilancio statale; nulla di più inesatto e di più falso: in realtà la spesa Italiana è sotto la media (6% del Prodotto Interno Lordo) rispetto agli altri Paesi della Comunità Europea; più precisamente, all’interno della C.E.E., siamo al penultimo posto della graduatoria riferita all’entità della spesa.

E’ vero invece che si spende male: occorre, a mio modo di vedere, procedere ad attuare alcune riforme di struttura, che, peraltro, erano già previste nell’assetto normativo della Legge 833 (istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale) e che, per interi due decenni, sono state completamente disattese.

La prima riforma concreta da attuare riguarda il DECENTRAMENTO FINANZIARIO ED OPERATIVO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: per anni abbiamo assistito alla definizione, in sede centrale, del Fondo Sanitario Nazionale con criteri restrittivi e sottostimati, non tenendo minimamente conto delle precise indicazioni delle Regioni, che fondavano le loro previsioni sui bilanci consuntivi degli anni precedenti; è giunto ormai il tempo di un vero ed autentico decentramento del nostro Stato e, per il settore della sanità, i tempi sono più che maturi.

La seconda riforma è molto più complessa, perchè, per rendere effettiva, concreta e reale la sua attuazione occorre un grande alto di qualità sul piano culturale e di costume e, successivamente, sul piano politico-amministrativo.


In termini molto semplici, OCCORRE TRASFERIRE IL BARICENTRO DELLA SANITÀ DALL’OSPEDALE AL TERRITORIO; è, infatti, a livello territoriale che occorre fare prevenzione, cura e riabilitazione; 1’ospedale, in avvenire, dovrà diventare una struttura, altamente specializzata, dove verrà curata e riabilitata soltanto quella parte di cittadini che non potrà essere razionalmente trattata a livello territoriale.

Spostare il baricentro dall’ ospedale al territorio significa, di conseguenza, trasferire competenze, risorse finanziarie, strutture e personale dall’ospedale al territorio; d’altra parte, questa tendenza è diventata patrimonio culturale ed operativo della grande maggioranza degli altri Paesi Europei e non si vede perchè il nostro Paese, ad onta delle sue lungimiranti ipotesi legislative, non si debba mettere al passo del progresso scientifico e civile, avvenuto a livello continentale.

Che cosa fare, dunque, in concreto?

Mi permetto di suggerire alcune indicazioni che mi paiono assolutamente ineludibili:

– Occorre creare i distretti socio-sanitari di base (la Regione Liguria, dopo aver commesso l’imperdonabile errore di non istituire le Unità Socio-Sanitarie Locali, è in enorme ritardo rispetto ad altre Regioni Italiane);

– E’ necessario collocare nel distretto tutte le attività dei servizi territoriali sanitari e sociali, sia specifiche che fra loro integrate; in tale senso i distretti socio-sanitari dovranno diventare la sede di gestione e di coordinamento operativo ed organizzativo di tutti i servizi territoriali;

– Di conseguenza, è urgente costituire le équipes socio-sanitarie distrettuali, utilizzando, a tal fine, gli esuberi di personale ospedaliero ed attuando, in concreto, una seria politica di mobilità del personale stesso;

– E’ necessario valorizzare ed utilizzare al massimo ogni forma di volontariato (individuale o associativo); parimenti si rende necessaria l’istituzione di un Servizio Civile (alternativo a quello Militare), al fine di poter utilizzare, all’interno delle èquipes territoriali, giovani altamente motivati sul piano etico e sociale; – E’ urgente potenziare e decentrare ulteriormente gli ambulatori di quartiere e ricuperare, alla loro primaria ed indispensabile funzione, i consultori familiari;

– Si rende necessario trasferire alle competenze dei distretti e delle loro équipes l’assistenza socio-sanitaria agli anziani non autosufficienti e dei cronici in senso lato; a tal fine va privilegiata l’assistenza domiciliare rispetto al ricovero in R.S.A. (Residenze Sanitarie Assistite); in proposito vanno studiate ed attuate forme di incentivazione economica alle famiglie che si facciano carico di far fronte ai bisogni assistenziali degli anziani (sull’esempio di quanto ha già fatto la Regione Toscana, con Legge Regionale n. 108 del 21/121l995).

Questa è, a mio modo di vedere, la strada dell’ avvenire; attraverso questa metodologia è possibile migliorare la qualità dell’intervento sanitario e, contemporaneamente, ridurre la quantità complessiva della spesa.

Constato, peraltro, che nella nostra realtà locale, si va in direzione opposta; è ritornato di moda il 1700, attraverso l’ipotizzata istituzione delle cosiddette residenze protette; mi domando, tuttavia, se dobbiamo rassegnarci ad una simile, arcaica ipotesi, o se, invece, non sia necessaria una drastica azione per scrollarci di dosso quel manto di sterile apatia, che questa nostra Città da troppo tempo, porta sulle sue spalle.

Savona, 14 luglio 1996

  ALDO PASTORE

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