Il compagno algoritmo: resurrezioni rosse in ascensore social di uno spettatore sarcastico, non ancora influencer

Se la storia ama l’ironia, allora Marco Rizzo ne è il testimonial non ufficiale, il Che Guevara del feed, l’ultimo superstite del “centralismo democratico” trasformato in “centralismo dell’engagement”. E sì, perché oggi il fu comunista ha preso l’ascensore. No, non quello sociale, che presuppone ancora qualche tipo di fatica meritocratica, ma quello *social*, che richiede solo uno smartphone, una buona luce e un algoritmo in vena di miracoli.

Marco Rizzo

1. Colossi d’argilla: 
Il caso Rizzo è la statua di Nabucodonosor del XXI secolo: torace ideologico in ferro e gambe scrollate da TikTok. C’è chi ha militato per una rivoluzione, chi per una redistribuzione e chi – come il nostro eroe – ora redistribuisce reel. È il sogno dell’ex marxista-leninista: lottare per l’abolizione delle classi, e ritrovarsi a combattere l’ombra dell’engagement rate. Lenin diceva “il comunismo è il potere dei soviet + l’elettrificazione del paese”. Rizzo aggiorna: “il socialismo è l’ospitata con l’influencer + la monetizzazione dei visual”.

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2. Melensi appetiti malcelati:
Che teneri i nostalgici dell’egemonia gramsciana che ora si abbeverano alle fonti dell’algoritmo. L’intervista con l’“escort con due lauree” pare partorita da un editor di Ciao Darwin con un’educazione marxista. Non è un caso, è branding: il reel non è una scelta, è una chiamata ideologica. Solo che al posto del materialismo dialettico, troviamo le “bombe che piacciono agli italiani”. L’analisi di classe si piega alla curva di retention.

3. Difformità di giudizio:
Se un influencer spara a zero contro Gualtieri, si chiama “freedom of speech”; se lo fa un ex comunista su Instagram, torna a essere “dibattito politico”. La stampa, che un tempo lo ignorava, ora lo riplasma a fenomeno pop. È l’Italia della contraddizione performativa: chi disprezza i social, ma li scrolla ossessivamente; chi sognava i consigli di fabbrica, ma ora insegue i consigli degli algoritmi.

4. Parusia offuscata da timori:
Non è un ritorno, è un’apparizione. Ma come ogni epifania, anche questa è offuscata da un dubbio escatologico: cosa viene dopo? Che succede quando i follower smettono di cliccare? La seconda venuta del comunismo post-millennial rischia di trasformarsi in un’eterna attesa del prossimo trending topic. L’avvento non è nel partito, ma nel pubblico. E se la folla si stanca, che ne sarà del profeta?

5. Sogni muscolari:
La vera rivoluzione è diventata un sogno gonfiato di like. Se un tempo si progettava l’assalto al cielo, ora basta un algoritmo ben tarato per assaltare la home degli italiani. Gli ideali? Molto belli, ma meno performanti di una clip virale girata con Donatella Zaccagnini. Altro che “proletari di tutto il mondo, unitevi”: oggi basta un microfono e un account verificato. E magari una buona caption.

Marco Rizzo e Donatella Zaccagnini

Conclusione: 
Il compagno Rizzo non è più l’uomo nuovo: è l’uomo aggiornato. Patchato. Con filtri. E in fondo, chi siamo noi per giudicare? In un mondo dove il vero potere si esercita nei commenti e non nei parlamenti, forse ha solo capito prima degli altri che la lotta di classe, oggi, passa per le storie di Instagram.

Insomma, se Marx tornasse oggi, forse non scriverebbe più Il Capitale, ma Il Capitale Umano Digitale. E Marco Rizzo? Probabilmente gli farebbe un reel. Con hashtag, ovviamente.

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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