Il BTP Trionfante e l’OAT in Bancarotta: La Francia Sprofonda, Noi Brindiamo
Il BTP Trionfante e l’OAT in Bancarotta: La Francia Sprofonda, Noi Brindiamo
Addio grandeur, benvenuta débâcle. L’Italia, culla del genio e del caos, osserva la caduta della sua rivale d’Oltralpe con un misto di sardonica soddisfazione e opportunismo da bottegaio.

Mentre Parigi sguazza nel deficit e i francesi festeggiano la caduta del loro premier, l’Italia di Giorgetti si gode un “spread” da far impallidire un BTP. Anzi, da far impallidire un OAT.
Cari fratelli d’Italia (e sorelle, e pure cugini, e zii, e nipoti), è giunto il momento di mettere da parte la proverbiale autocommiserazione. Per decenni ci siamo crogiolati nel mito del “mal d’Italia”, quel mix di debito pubblico, instabilità politica e flemma congenita che ci rendeva l’eterno studente con un potenziale infinito, ma la pagella da incubo. La Francia, nel frattempo, era la secchiona della classe, la prima della classe, quella che al massimo poteva permettersi un’insufficienza in educazione fisica. Aveva la grandeur, la Torre Eiffel, la cucina stellata e pure la demografia rampante. Noi, al massimo, avevamo la pizza e il debito. Ma i tempi, si sa, cambiano. E, per dirla con un termine che a Parigi conoscono bene, sono tempi di débâcle.

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L’aria d’Oltralpe, un tempo densa di profumo di baguette e superiorità morale, è ora pregna di rabbia, disincanto e, a quanto pare, Champagne di addio. Sì, perché mentre noi, placidi, ci occupavamo di riforme, di giustizia e di Sanremo, il cuore della Quinta Repubblica ha iniziato a battere all’impazzata, come quello di un paziente in stato di shock. La ghigliottina, quella gloriosa invenzione francese che, a quanto pare, non ha mai smesso di essere di moda, è calata sulla testa del povero premier François Bayrou. E la gente, anziché piangere, ha brindato. A Marsiglia, a Digione, a Nimes, il popolo ha alzato i calici (o i brick di vino scadente, si sa come sono fatti i francesi) per celebrare la fine di un incubo. Un incubo fatto di deficit, di debito, di un’istruzione in declino e di una popolazione che, incredibile ma vero, smette di fare figli. In pratica, sono diventati noi. Solo che lo sono diventati in modo più sguaiato.
La vendetta dello spread
E qui arriva il bello. Mentre i mercati internazionali guardavano con occhio sempre più sospettoso il pantano francese, il nostro BTP, un tempo il parente povero, il cugino sfigato del Bund, ha iniziato a scalare le classifiche. La nostra stabilità politica, che per anni è stata una barzelletta degna di Zelig, ha finalmente fatto breccia nel cuore degli investitori. Il governo Meloni, un tempo dipinto come il precursore della terza guerra mondiale, è ora visto come l’àncora di salvezza di un continente alla deriva. E lo spread tra Italia e Francia? Annientato. Polverizzato. Scomparso nel nulla, come un soufflé sgonfio. Tre anni fa erano 200 punti, ora meno di 10. È una vittoria epocale, un trionfo che riscatta anni di sacrifici, di lacrime e di conti in rosso.
Ora, non fraintendetemi. Non è che all’improvviso siamo diventati la Germania. I nostri problemi ci sono ancora, e sono tanti. Ma la Francia? La Francia è una nave che imbarca acqua da tutte le parti. Il loro deficit è al 5,8% del PIL, il loro debito ha superato i 3,3 trilioni. E, a peggiorare le cose, il 60% dei loro creditori sono stranieri. In pratica, devono soldi a mezzo mondo, ma soprattutto a noi (speriamo). E il loro parlamento, un tempo il baluardo della democrazia, è diventato un’arena da circo, dove i politici si sfidano a colpi di accuse e di “catastrofe imminente”.
Lo specchio ribaltato
Il quadro è chiaro: l’Italia, l’eterno malato d’Europa, sta finalmente guarendo, o quantomeno è in convalescenza. La Francia, la presunta locomotiva, è in piena crisi di nervi. I loro sindacati minacciano scioperi, le loro piazze sono in subbuglio, e il loro parlamento è paralizzato. Insomma, tutto quello che, per anni, abbiamo letto sui giornali e che riguardava noi. L’Europa, un tempo con due ancore sicure (Germania e Francia), ora ne ha solo una. E non è detto che regga. Ma noi, noi ce ne stiamo tranquilli. Ci guardiamo la partita, ci prepariamo una carbonara, e, con un sorriso sornione, pensiamo al nostro BTP, che ora vale più di un OAT.
La satira, in fondo, è solo la verità raccontata in modo grottesco. E la verità è che, per una volta, possiamo guardare alla Francia senza invidia. Possiamo osservare la loro caduta, non con cattiveria, ma con la consapevolezza che, forse, il nostro caos non era poi così male. E che la nostra improvvisa stabilità non è un miracolo, ma solo il risultato di un’altra nazione che, per una volta, è riuscita a fare peggio di noi. E per questo, cari amici, alzo il calice. Non per lo Champagne francese, ma per un buon vino italiano. E non per festeggiare la loro rovina, ma per celebrare, con orgoglio, il nostro piccolo, inaspettato trionfo.
