Il bluff di Renzi che finge di volere il voto
Il bluff di Renzi che finge
di volere il voto |
Il bluff di Renzi che finge di volere il voto Passato il referendum, prima e dopo la pronuncia della Corte costituzionale sulla legge elettorale, tutti in coro i media si sono affannati a cercare di convincerci che la politica italiana è spaccata in due: da una parte chi vuole andare al voto subito, dall’altra chi pretende che si arrivi alla fine naturale della legislatura. I primi sarebbero rappresentati dai tre leader dei partiti maggiori, Renzi, Salvini e Grillo; gli altri da Bersani, Alfano e Berlusconi. Come dire che i tre partiti che almeno sulla carta si dovrebbero spartire l’elettorato sarebbero fronteggiati da tre signori che valgono un voto a testa, il loro. Ma se così fosse non ci sarebbe materia per contendere, al più tardi alla fine di aprile avremmo un nuovo parlamento.
La verità è ben altra. Che Salvini e soprattutto Grillo chiedano in buona fede di andare alle urne è plausibile. Con tutte le riserve e i limiti imputabili più ai loro apparati che a loro personalmente – i parlamentari pentastellati meno parlano meglio è –, sono gli unici interpreti autentici degli umori popolari e gli unici alfieri della legalità e della democrazia. Che lo siano il Pd, e in particolare Renzi, che del partito ha fatto uno strumento personale, è una barzelletta che non fa ridere. Il Pd, cioè Renzi, vorrà le elezioni solo dopo avere conseguito la ragionevole certezza di vincerle a prescindere dal consenso reale, facendo affidamento sulla stanchezza e la rassegnazione degli italiani, e, quindi, sull’astensione e sul qualunquismo – uno vale l’altro, sono tutti ladri – e su una campagna mirante a screditare il concorrente più pericoloso e a impedire lo scenario che “inorridisce” Berlusconi, un fronte unico Grillo – Salvini orgogliosamente populista. Mi si potrà obiettare che Renzi sta effettivamente agitando il vessillo del voto subito. Prima ci sono state le indiscrezioni fatte trapelare dallo stesso Renzi: «Basta melina, il Pd è per il Mattarellum, i partiti dicano subito se vogliono il confronto. Altrimenti la strada è il voto» accompagnate dalle parole da lui stesso messe in bocca al suo capogruppo alla Camera: «Per noi bisogna andare a votare subito» e al senatore Andrea Marcucci, che ha sentenziato, facendo eco al capo: «la melina è un danno per il Paese». Poi i telegiornali che aprono con dichiarazioni sempre più esplicite dell’ex premier finché ce lo siamo ritrovati sullo schermo televisivo che per tre anni aveva occupato dalla mattina a notte inoltrata e abbiamo ascoltato dalla sua viva voce l’appello al voto con un: «ce la possiamo fare, il 40% è una sfida che possiamo vincere», e via declamando. Chiaramente per le centinaia di beneficiati dal premio di maggioranza che oltre alla certezza di non venire rieletti si vedono soffiare anche il vitalizio la prospettiva dello scioglimento anticipato delle Camere è spaventosa. Ma sono stranamente tranquilli perché evidentemente qualcuno li ha rassicurati e sanno che si tratta di un bluff. Il bluff è invece riuscito con Bersani, che in realtà non conta nulla ma con l’aiuto dei giornali amici, e anche di quelli che amici non dovrebbero essere, si fa credere all’opinione pubblica che conti qualcosa e che il suo no faccia indietreggiare il segretario del partito. Il no di Bersani fa però meno paura del ruggito di un topo e allora si fa cadere D’Alema nella trappola. Lo si riporta al centro della scena, si dà risalto alle sue parole, si fa assegnamento sul fatto che baffino anche sbiancato mantiene la sua grinta, e si amplifica il suo ruolo di anti Renzi che si prepara a spaccare il partito per evitare il salto nel vuoto delle elezioni. E quindi? Renzi, che, se lo dice da sé, non è un politicante, è rispettoso della volontà popolare, smania di averne, lui che non l’ha mai avuta, l’investitura, al voto ci vorrebbe andare, più di Grillo, più di Salvini, più della Meloni. Ma Bersani è perplesso e l’ex leader massimo minaccia la scissione…Se poi interviene anche il pezzo da novanta, il padre nobile, quello che salda il vecchio Pc col nuovo Pd, il regista degli ultimi governi non eletti, allora si deve riconoscere che Renzi il voto l’avrebbe tanto voluto, ma… Tre anni di malgoverno e di abuso della comunicazione dovrebbero avere insegnato che di tutto quello che dice l’uomo di Rignano non bisogna credere nulla, assolutamente nulla. E quando leggo che anche secondo Belpietro il venditore di pentole scalpiterebbe perché vuole andare subito al voto mi cascano le braccia. Qui, mi dico, o sono tutti d’accordo e siamo finiti in un brutto film di fantascienza o veramente il cervello delle persone che credevamo intelligenti è andato a finire sulla luna e c’è bisogno di un Astolfo che vada a recuperarlo. Che interesse avrebbe Renzi a votare subito? Con la vicenda del terremoto e il seguito di valanghe di neve che hanno seppellito una Protezione civile inefficiente, con due capi uno peggio dell’altro e una disorganizzazione che va imputata proprio a lui, il venditore di pentole? Con l’Europa che ha scoperto i nostri conti truccati proprio da lui che un giorno sì e l’altro pure diceva che tutto andava bene? Con la legge sul lavoro che era il suo fiore all’occhiello e che tutti ora, compresi i giornaloni di regime, riconoscono fallimentare? E la buona scuola? Non scherziamo. Renzi sicuramente non è uno statista, sicuramente non è un politico di spessore, ma non è un imbecille né tantomeno un aspirante suicida. Col voto oggi un Pd guidato da lui scompare. Le sue dichiarazioni sul voto hanno lo stesso valore di verità delle esternazioni sulla Raggi, verso la quale si è mostrato mellifluo e garantista, «lasciamola lavorare, rispettiamo la presunzione d’innocenza, non rincorriamo le polemiche…non cediamo all’odio per l’avversario». Al confronto il veleno dei Borgia diventa Gatorade, se si pensa che proprio lui ha dato ordine ai suoi di braccarla, di impedirle di fare qualunque mossa, di portarla allo sfinimento. Non si era mai visto sulla scena politica italiana una simile dimostrazione di ipocrisia, che va oltre la vecchia scuola comunista e ricorda, per l’appunto i pugnali e i bocconi avvelenati delle corti cinquecentesche. Che Renzi, ma non solo lui, dia peso e significato al voto popolare è meno probabile di un processo di beatificazione per Cicciolina. Quello che interessa a lui e al suo staff è lavorare intorno alla legge elettorale e orchestrare una campagna tesa a disorientare l’elettorato. Ma per questo gli occorre tempo, altro che voto ad aprile. Chi invece ha veramente interesse a votare subito è il popolo italiano e le formazioni politiche che in qualche modo continuano a rappresentarlo ne devono tenere conto. Certo non Alfano, certo non quella manica di miserabili eletti nelle liste di Forza Italia e trasmigrati nelle varie formazioni del cosiddetto centro o eletti nella montiana Scelta civica per poi traslocare nel Pd. Certo non il Pd che non sa decidersi se liberarsi di Renzi, se rimanere unito, se sposarsi con la destra fasulla di Berlusconi o con una sinistra senza idee e senza programma. Mentre si preparano le grandi manovre per mantenere in piedi l’establishment si sguinzagliano i sondaggisti per dar credito a un’idea allucinante: se si dimostra che andando a votare l’Italia piomba nel caos perché, non esiste possibilità alcuna di fare un governo bisogna arrendersi all’evidenza e bongré malgré a votare proprio non ci si può andare. Fatti i conti, viste le proiezioni, considerato lo scenario del futuro parlamento, il compagno sconsolato conclude: noi col più del 30% siamo il primo partito e a noi converrebbe andare alle elezioni ma non possiamo garantire la governabilità, quindi nostro malgrado, per senso di responsabilità, per patriottismo, per il bene del Paese, il voto ve lo potete scordare. Ma che democrazia è questa? Se fosse vero, e non lo è, che le elezioni fornirebbero il quadro di un Paese diviso fra due o tre schieramenti vorrebbe dire che quella è la volontà del popolo italiano e dovrebbero uscirne un esecutivo e un programma che conciliassero quelle due o tre anime del popolo italiano. Insomma: si dovrebbero mettere d’accordo e se proprio non ci dovessero riuscire si andrebbe di nuovo alle urne ma gli elettori saprebbero chi e perché l’accordo non l’ha voluto. E poi, se alla scadenza naturale di questa legislatura abusiva il quadro non dovesse cambiare, che si fa? Non si vota più o si rispolvera una legge dichiarata incostituzionale? Ma in realtà il problema non sussiste: che il Pd possa anche solo lontanamente avvicinarsi al 30% dei suffragi è fantapolitica. Ma i sondaggi? Tanto per rinfrescare la memoria: i sondaggisti alla vigilia del referendum davano ad intendere che i sì e i no fossero testa a testa. Non aggiungo altro. E allora mi chiedo: ma che cosa sta succedendo? Gentiloni fino all’altro ieri era il Renziloni, il suo governo la fotocopia di quello di Renzi, lui era lì per tenere in caldo il posto al fiorentino e ora improvvisamente Gentiloni, che non sta facendo nulla di nulla, è diverso, è un’altra cosa, di lui ci si può fidare, e poi c’è bisogno di tempo, niente fretta, il momento è delicato, e, dulcis in fundo, l’Italia non ha bisogno di polemiche. È vero esattamente il contrario. L’Italia ha bisogno che si rompa quello che va rotto, che ci sia chiarezza, che questo parlamento di abusivi, ora l’ha riconosciuto formalmente la Consulta, se ne vada a casa, che tutta questa classe politica che ha affondato il Paese vada a casa. Questo è il momento della polemica dura, intransigente, senza compromessi e retropensieri. Ed è anche il momento di pensare a come fermare lo sconcio degli eletti che cambiano partito derubando il voto dei loro elettori. Se non si può imporre il vincolo di mandato perché bisognerebbe mettere mano alla Costituzione si ricorra a qualche sistema che scoraggi il malcostume. Purtroppo chi è tentato dalla politica spesso non è uno stinco di santo. Ci vuole grande attenzione nella compilazione delle liste ma non basta. Occorre imporre un codice di comportamento che, anche senza avere valore giuridico, serva da dissuasore. Io non metterei alla gogna nessuno; in ogni epoca e ad ogni latitudine è ed è stata una pratica ignobile; ma la sottoscrizione di un contratto con gli elettori e la condanna all’emarginazione politica accompagnata da una dura sanzione morale sulla rete per chi si azzardasse a infrangerlo mi sembrerebbe un buon deterrente. Per concludereMa, in concreto, quali sono i motivi che spingono Renzi a fingere di voler correre al voto? Cerco di sintetizzarli premettendo che: il voto referendario è stato, come ormai tutti ammettono, un voto contro Renzi e il suo governo; il voto referendario è stata un’esplicita richiesta di cambiamento e, quindi, di nuove elezioni; le elezioni sull’onda del referendum sarebbero state un plebiscito contro Renzi e il suo partito; come immediata conseguenza il partito, per sopravvivere, si sarebbe liberato di Renzi. Considerato tutto questo, col mettersi a capo del movimento per il voto subito Renzi ha ottenuto un primo risultato, forse decisivo: non si sono potute organizzare grandi manifestazioni popolari per il voto perché ci si è trovati nella situazione paradossale di avere l’avversario, Renzi, dalla stessa parte. Checché se ne dica lo spettacolo di Lega, Fratelli d’Italia e pezzi di Forza Italia in piazza a Roma è stato piuttosto deludente: troppi politici e poco popolo e soprattutto scarsa convinzione e nessun entusiasmo. Ma la prima preoccupazione di Renzi non era quella di aver messo il Pd a rischio di disfatta quanto piuttosto quella di essere lui a rischio di perdere il partito. Ed ecco il secondo risultato che ha già incassato: con lo spauracchio del voto ha fatto vacillare la sedia e il vitalizio della massa dei deputati piddini che siedono abusivamente in parlamento e non hanno alcuna chance di venire rieletti; non lo erano prima della sentenza della Consulta, meno che mai dopo. Nel panico che ne è seguito ci sono state le reazioni scomposte e contraddittorie di vecchi e nuovi big del partito col risultato che la “riflessione” del partito dopo la sconfitta praticamente non c’è stata, Renzi ha evitato il processo al quale avrebbe dovuto essere sottoposto e ha potuto fronteggiare i suoi avversari interni in ordine sparso.
Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |