Ideologia e speranza
IDEOLOGIA E SPERANZA
(Seconda parte del commento a Nichilismo bifronte)
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IDEOLOGIA E SPERANZA
(Seconda parte del commento a Nichilismo bifronte)
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Nell’elzeviro successivo intitolato sinteticamente “Ideologia, aut-aut ed et-et” veniamo invitati a “riflettere sui diversi rapporti che si possono ipotizzare tra ideologia e speranza…” e sui ‘credi’ metafisici dei nostri padri, formali o sostanziali che fossero; comunque “Credi che tendono ad escludere quelli opposti, nel senso dell’aut-aut”. E qui ci troviamo innanzi a uno dei principali leit motiv del pensiero divergente di Girard: quando si professa una fede, ideologica, politica, etica o religiosa che sia, si è come imbozzolati nella logica dell’identità e della differenza; della verità oggettiva, eterna ed immutabile e dell’ opinione soggettiva, mutevole e aleatoria; dell’amico-nemico; del “o con me o contro di me”, della lotta del bene assoluto contro il male assoluto; del mi spezzo ma non mi piego; dell’ extra Ecclesiam nulla salus; degli angeli contro i demoni; della beatitudine o del castigo eterno; e, insomma, dell’ aut- aut: o l’essere o il nulla, o tutto o niente. tertium non datur. E’ questa la ragione per la quale Girard, seguendo Hillman, considera il monoteismo responsabile delle guerre combattute in nome dell’unico Dio: il “Non avrai altro Dio fuori di me” conduce necessariamente alla guerra contro gli infedeli. In chi e in che cosa, allora, possiano sperare? E’ una delle tre domande fondamentali che, tra l’altro, si poneva Immanuel Kant che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? In che cosa mi è lecito sperare? E’ nota la risposta dell’autore della Critica della ragion pura a quest’ultima domanda: “a ogni uomo è lecito sperare nella felicità, nella stessa misura in cui egli se ne sarà reso degno con la propria condotta, in quanto il sistema della moralità è inseparabilmente unito a quello della felicità”. Ma nella concezione etico-olistica e mistica di Girard, così come nell’ etica stoica e in quella di Spinoza, non c’è spazio per passioni (o affetti) come la paura della morte e la speranza in una vita oltre la vita. “Sembrerebbe allora confermato che la speranza vige, soprattutto, nella distinzione – per esempio, ma essenzialmente – , nell’intento di realizzare il bene ed escludere il male, essendo ‘bene’ e ‘male’ dei rappresentanti paradigmatici di una piccola serie di distinzioni fondamentali (bello/brutto, giusto /errato…). Non però di quella tra maschile e femminile, ottimo esempio di distinzione che ‘non incorpora di per se stessa il problema della speranza’ “. Che cosa intende dire qui l’autore? Certo è che le distinzioni derivanti dal paradigma duale bene / male comportano un polo positivo e uno negativo, un lato buono e uno cattivo, una parte sana e una malata e così via, la distinzione tra bene e male ha come conseguenza il conflitto, e là dove c’è conflitto, c’è pericolo; tuttavia, parafrasando Holderlin, là dove cresce il pericolo cresce anche la speranza nella salvezza; ma per quanto riguarda la distinzione maschile e femminile dov’è il pericolo? Qual è il polo positivo e quello negativo? “E’ questa una distinzione ‘di fatto, non di progetto’, non indica di per se stessa una strada per pervenire ad una data meta, corroborando quindi una speranza. Non corrisponde a una ‘ideologia’ ”. Immanuel Kant
Vero: la distinzione tra maschi e femmine non è una scelta culturale, non dipende dai gusti o dal libero arbitrio umano ma dalla natura, anzi, per i credenti, dallo stesso Dio creatore del cielo e della terra (cfr. Genesi 1, 27: “Maschio e femmina li creò”); nondimeno è anche vero che nella storia il genere femminile è stato considerato lnferiore, subalterno, subordinato e sottomesso a quello maschile (cfr. Il secondo sesso di Simone de Beauvoir), a cominciare proprio dalla Bibbia (Genesi 3, 16: “Alla donna disse: moltiplicherai le doglie delle tue gravidanze; partorirai i figli nel dolore. Tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te”) almeno fino alla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791 redatta dall’eroica e sventurata scrittrice Olympe de Gouges, ghigliottinata il 3 novembre 1793 a quarantacinque anni, per aver osato opporsi al Comitato di Salute Pubblica. E’ noto che anche oggi, per esempio nella religione islamica, la donna è completamente sottomessa al marito o, se non è sposata, ai fratelli o al padre. Ma perché avviene questo? Forse perché tendenzialmente la donna è più incline al compromesso, alla moderazione, all’inclusione e alla sintesi dell’ et-et piuttosto che all’esclusione, all’estremismo e al fanatismo dell’aut-autproprio dell’intransigenza ideologica maschile? Forse che non ci sono state (e non ci sono) donne intransigenti? Dove dobbiamo collocare donne come Caterina da Siena, Giovanna d’Arco, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Simone Weil, Edith Stein o, su un diverso piano, polemiste impegnate e combattenti tutte d’un pezzo come Oriana Fallaci, Fiamma Nirenstein e la stessa Ida Magli citata da Girard?
Olympe de Gouges Lascio aperta questa domanda. In campo politico l’ et-et è proprio del ‘centro’ che “sembra lasciar da parte il ‘due’ della distinzione su cui il dualismo che abbiamo attribuito all’ideologia si reggeva, ed indirizza il giudizio dell’osservatore a pensare che qui predomini di meno la preoccupazione che una ‘determinata versione’ delle cose future si realizzi, escludendone altre”. La distinzione tra maschio e femmina significa dunque anche un differente atteggiamento riguardo alle scelte politiche: nel genere femminile “vige chiaramente più l’ et-et, mentre per l’ideologia è piuttosto l’aut-auta predominare. E sembrerebbe, almeno di primo acchito, di poter proseguire con dei parallelismi paradigmatici pensando il ‘femminile’ accanto al ‘centro’ ed il maschile all’ideologia”. Girard deduce questa distinzione così netta e antitetica tra il genere maschile e femminile, tra l’altro e se ho ben compreso il suo testo, dal saggio Il mulino di Ofelia. Uomini e Dei (BUR, 2007) dell’antropologa e intellettuale militante in difesa della civiltà italiana ed europea, minacciata soprattutto dall’Islam, Ida Magli, scomparsa novantunenne nel 2016: “Ci accorgiamo comunque che è assai difficile poter antivedere un tempo in cui il grande traffico del vivente non si arringhi fondamentalmente più all’ aut-aut maschile, dove la perentorietà del distinguere e dell’escludere si rispecchia nella stessa impalcatura corporea del maschio.
Ida Magli Qui mi sembra maestra Ida Magli nel suo minuzioso percorrere critico della mascolinità di Dio, del Sacro, del Potere, come proiezioni della potenza penica maschile”. Qui Freud docet, malgrado l’attuale diffusione dell’ideologia femminista. “D’altra parte – sostiene Girard – il ‘centralismo non ideologico’ cui si è fatto cenno fin qui si presenta con caratteri paradigmatici in quanto espressione di un’epoca tendenzialmente resa cinica – e quindi in perdita di una speranza che riconosce sostanzialmente artefatta – da un nichilismo monistico ‘pensante’ almeno , e che ha perduto il suo più saldo ancoraggio nel dualismo dell’ aut-aut “. In questo nichilismo monistico e senza speranza Girard trova un’ulteriore conferma “di un nichilismo ‘bifronte’ che in se stesso si manifesta con caratteri talora brutalmente disgregatori, ma tenta una risorgenza proprio attraverso l’elaborazione delle condizioni complessive in cui epocalmente si trova a essere”. D’altronde solo chi cade può risorgere. (Continua). (Continua) |