I sogni spaziali di Elon Musk

Elon Musk

Elon Musk è un personaggio positivo; ispira simpatia per il carattere estroverso e la prorompente energia, non dà ad intendere di appartenere a una razza superiore come fanno nella cerchia di privilegiati baciati dalla fortuna, considera il denaro un mezzo potente per realizzare progetti e non uno strumento di potere. In più ha sostenuto Trump nelle elezioni americane e si è impegnato per mettere fuori gioco la Kalama ridens e le grandi famiglie democratiche e repubblicane. Intendiamoci: a differenza di quel che si vuol far credere negli ambienti della sinistra abituati a ciurlare nel manico il popolo bue non sono stati Musk e il suo denaro a far pendere la bilancia dalla parte di the Donald, la cui vittoria era scontata. Nonostante le bugie dei sondaggisti non c’è mai stato un testa a testa che avrebbe reso possibile ripetere il giochetto di quattro anni fa. L’unica chance per i dem poteva essere un’astensione all’italiana ma agli americani ripugna l’idea che siano altri a decidere al loro posto . E aver creduto che nella classe media americana ormai impoverita, nelle periferie delle grandi città,nei piccoli centri, nelle comunità di latinos spaventati da nuovi arrivi e di afroamericani marginalizzati o fra cattolici ancorati alla fede e alla morale tradizionale si votasse per i lustrini di Holliwood, per l’ideologia gender, per l’insicurezza e la disgregazione sociale che non tocca chi vive al di sopra della società, per il gotha della grande industria bellica e della finanza, per le risate della Kamala ridens è segno di una miopia mentale che sconfina nella cecità. Però fra gli slogan che rimbalzavano fra le due sponde dell’atlantico ce n’era uno inoppugnabile: quel che resta della democrazia americana era a rischio. Ma il rischio non veniva, come pretendevano i dem americani e la loro caricatura nostrana, dal populista Trump al quale attribuivano l’intenzione di non accettare la sicura sconfitta proprio mentre si preparavano a ribaltare la sua vittoria.

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E c’è voluta una valanga per seppellirli e rendere inoffensive armi giudiziarie o mediatiche. Si è imposta la volontà popolare e questa, anche se non piace ai salotti buoni, è la democrazia con tutti i suoi inconvenienti
Musk insomma ha fatto un favore a se stesso ma probabilmente l’unico voto che ha spostato è il suo. Detto questo, rimane la dimostrazione che il capitale può seguire strade diverse e non obbedisce a rigidi schemi ideologici: assoggetta la politica che diventa un suo strumento, ne è condizionato e la combatte o si pone sotto le sue ali protettrici, come per l’appunto ha fatto lui. Ma è stato soprattutto l’incontro di due visionari, convinti di poter mettere ordine nelle cose e di costruire il futuro: Trump si illude di porre rimedio ai guasti provocati dallo sguaiato imperialismo di cui Biden è stato l’ultimo interprete, l’imperialismo che ha impoverito il popolo americano, ne ha compromesso la stabilità sociale e la sicurezza e ha acceso focolai di guerra in tutto il pianeta portandolo sull’orlo di una catastrofe nucleare. Sigillerà i confini, deporterà i clandestini, spengerà gli incendi appiccati dal suo predecessore, farà fronte pacificamente alla pressione economica cinese. Musk porrà fine ai motori termici, raccoglierà i frutti dell’intelligenza artificiale, libererà l’uomo dalle catene dell’ignoranza e lo proietterà fuori degli angusti limiti del suolo terrestre.
A costo di sembrare un terrapiattista confesso che l’idea della conquista dello spazio e l’obbiettivo di mettere piede su Marte per colonizzarlo mi sembrano non velleitari ma favole per bambini, frutto di una divaricazione fra lo stato e i limiti della scienza e le ambizioni della tecnologia. Lo stesso traguardo molto più modesto di una base lunare si sta rivelando fuori portata, tant’è che prima o poi ci si deciderà ad ammettere che lo sbarco sulla luna è stata una messinscena cinematografica. Altrimenti non si capisce l’esultanza per aver riportato un sasso dal suolo lunare e per essere riusciti a impedire che lo stadio superiore di Starship si fracassasse in mare. Un risultato fantastico, quest’ultimo, non c’è dubbio; ma non si capisce dove sia finita la tecnologia che avrebbe permesso mezzo secolo fa ad Armstrong di fare la sua passeggiata sulla luna e di tornarsene comodamente indietro.

Su questa vicenda preferisco non insistere. Quello che mi preme rimarcare è, al di là della fattibilità tutta da dimostrare, l’assoluta inutilità teorica e pratica di progettare uno sbarco su corpi celesti non solo irraggiungibili ma assolutamente inabitabili.. La fisica stellare non ha niente a che fare con la finzione cinematografica: il suo scopo è quello di soddisfare il desiderio umano di sapere ma la lezione incontrovertibile che se ne può trarre è proprio l’impenetrabilità del mistero della vita e del logos, la coscienza della solitudine dell’uomo nel cosmo, e la terribile consapevolezza che il cielo stellato sopra di noi è la testimonianza di un passato del quale è psicologicamente impossibile immaginare la distanza; è il buio del nulla che incombe sulla nostra testa, col dubbio terrificante che le stelle e le galassie che vediamo non esistano più.

Quindi non c’è un futuro per la conoscenza? Credo che non ci sia futuro per la scienza e la tecnica spinte dal bellicismo, dai consumi di massa e da intenti predatori. Il futuro non è riposto nella caccia alle materie prime battendo palmo a palmo il pianeta e sognando di recuperarle altrove ma nel raffinarsi dei costumi e nel potenziamento dell’intelligenza umana. La stessa conoscenza del cosmo se è viziata da propositi pionieristici è destinata ad arenarsi. La stessa idea di captare messaggi dal cosmo, accreditata anche in ambienti accademici, serve solo a dimostrare che nonostante l’acquisizione di conoscenze e tecnologie sofisticate il senso critico rimane fermo al fideismo medioevale: si possono fare tutte le congetture che vogliamo su altri mondi, altre forme di vita, altre manifestazioni dell’intelligenza: così com’è sicuro che la vita sulla terra così come si è manifestata è destinata a finire – come viene anticipato nella vicenda di ogni singolo organismo – è altrettanto sicuro che ciò che ci circonda non “è” distante da noi mille o un milione di anni luce ma semplicemente non c’è, e se mai c’è stato non c’è più: quelle congetture sono fondate sul nulla, così come dal nulla siamo circondati.

Può sembrare un paradosso ma fra “l’infinito universo e mondi” di Giordano Bruno e il geocentrismo dei suoi carnefici la ragione pende verso i secondi: il senso dell’esistenza umana e, più in generale, della vita, è racchiuso in quello che sarà pure pascolianamente un atomo opaco del male ma è l’orizzonte invalicabile del nostro essere. E tutto il resto, astronavi, viaggi nello spazio stellare, intelligenze aliene con le quali comunicare attraverso formule geometriche non sono nemmeno sogni di visionari ma semplici sciocchezze. Nemmeno tanto innocue se dovessero togliere slancio e risorse ad una scienza rigorosa e conscia dei propri limiti centrata sull’uomo, sui meccanismi che ne governano il comportamento, sugli strumenti che rendano possibile il felice e naturale svolgimento della sua avventura terrena. Se poi qualcuno si stupisce che i più prestigiosi laboratori di ricerca possano partorire autentiche e costosissime scemenze ne voglio ricordare una in voga fino agli anni Ottanta: mettere un essere umano dentro un super frigorifero per scongelarlo vivo e vegeto dopo dieci o cento anni. Sono le illusioni dei miliardari, gli stessi convinti di poter sopravvivere sottoterra o dentro un astronave ad una catastrofe nucleare o ad un asteroide intenzionato a centrarci. La ricchezza, si dice, non fa la felicità ma di sicuro non rende più intelligente chi la possiede. Ma non credo che Musk, anche con le sue chimere, sia uno di loro.
Post scriptum
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