I Signori di Como, Dott. Boh… e l’ASL2 Savonese

I Signori di Como, Dott. Boh…

e l’ASL2 Savonese

I Signori di Como, Dott. Boh…

e l’ASL2 Savonese

 Ogni volta che vado a Santa Corona mi incavolo per aver una macchina troppo lunga per le ‘dimensioni’ dei parcheggi liguri. ‘Ce n’è bisogno per i cani’, dice qualcuno. Comunque, dopo averla infilata da qualche parte, di fretta verso l’ambulatorio, ‘piastra dei servizi’ (che brutto nome), primo piano. C’ero stato la settimana prima quindi l’azzecco spensieratamente al primo colpo. L’appuntamento è alle nove ed io sono in anticipo. Certo oramai lo so che si dovrà aspettare e che l’orario dichiarato come appuntamento è semplicemente orientativo, e determina il prossimo evento su cui poter gioire aspettando: Il pranzo o la cena. Philip Noiret, in una delle sue ultime interviste diceva: “Diciamo la verità, ormai alla nostra età, a che cosa cominciamo a pensare subito dopo essere arrivati in ufficio? Al piatto del giorno del ristorante abituale’. 


L’Ambulatorio in cui ho l’appuntamento mi si presenta come un luogo dei misteri. Un misto di disperazione e speranza i cui confini sono in un continuo fluttuare. Sul fatto se la nostra presenza viene percepita o meno dagli addetti, intendo. Un lungo corridoio che sbocca su un atrio, alla soglia del quale troneggia ‘la scrivania’. “Si presenti domani alle nove alla scrivania” mi aveva detto la donna con il camice blu, consegnandomi un foglio. “E faccia vedere questo”. La scrivania è protetta dal resto del mondo da un nastro rosso, attaccato da una parte all’angolo del muro e dall’altro al piedestallo dei ‘Numerini’. Appeso al nastro un foglio con diverse informazioni. Il tutto all’altezza fra l’inguine e le ginocchia. Più o meno. Prima della scrivania, sulla parete sinistra un portone scorrevole con su diverse scritte che mi danno da capire che era lì, che prima o poi sarei dovuto entrare. La scritta più grande intima: ‘Assoluto divieto di entrare’. Dietro la scrivania diverse altre porte normali che danno sull’atrio. In questo Ambulatorio il corridoio descritto funge anche da sala d’attesa, con una lunga fila di sedili di plastica fissati su una struttura metallica. Non appena ti soffi il naso tutto scricchiola. In maniera indecente. E più cerchi di controllarti e più ci caschi, e ti guardi intorno intimorito. 

 

Un mistero di Santa Corona, che non sono ancora riuscito a fugare, e di giorni a disposizione ne ho avuti parecchi negli ultimi anni, è il significato delle diverse divise, o meglio del loro colore: Quando hai deciso definitivamente che il bianco è il colore di infermieri/e, ti trovi un primario che ti passa davanti in camice bianco e ti guarda in modo sprezzante. Il colore verde ha anche del misterioso, perché è spesso portato da personale addetto alle pulizie, ma poi te ne trovi uno di fianco che improvvisamente ti fa il prelievo del sangue. Un genere tutto particolare sono le divise blu carta da zucchero. Vengono di solito portate da uomini di mezza età, ben curati e molto consci della loro importanza, ma sarebbe completamente errato affermare che si tratti sempre di dottori con una certa anzianità. E proprio uno così passeggia avanti e indietro, mentre io mi accartoccio sul sedile cercando di non scricchiolare. Ha un aspetto caucasico ed un portamento arrogante. Il corridoio/sala d’aspetto è pieno, ma ciò non ritarda il flusso, dato che i ‘veri’ pazienti, anche quelli giovani, sono tutti accompagnati da una o due persone. Una coppia mi salta subito all’occhio. Decisamente non del luogo o della regione: Lui distinto con pullover di Cashmere chiaro con collo a V su dolce vita nera e pantaloni di velluto ben stirati. “Ho un appuntamento con il Dottor Boh… da privato, non sono con l’ASL” Poi, dopo che non ha ricevuto riscontro dalla scrivania: “Un appuntamento fatto dal mio cardiologo di Como, il Primario della Clinica XY” “Si, si, il Dottor Boh.. ha il suo studio qui dietro” dice la scrivania facendo segno verso una porta. “Se ha un appuntamento senz’altro la chiamerà presto. Noi non abbiamo nessuna informazione. Il Dottor Boh… i pazienti privati se li gestisce da solo”.  


Devo ammettere che, nonostante il nome sia stato ripetuto più volte, non sono riuscito a captarlo: Qualcosa come Bosci, Boshti. Caucasico appunto. Il Signore di Como si è tolto il ‘Montone’ che ha appoggiato sul sedile di fianco alla Signora e passeggia anche lui avanti e indietro. La Signora porta, chiaro, una pelliccia ed occhiali con una catenella d’oro e studia abbastanza tranquilla una rivista di moda. La porta ‘proibita’, la mia, è rimasta finora ostinatamente chiusa. Solo un’eccezione quando due persone vestite di verde sono entrate portando montagne di biancheria pulita. Sono le dieci passate ed io comincio ad innervosirmi, quando la porta si apre e ne escono tre o quattro persone tutte di colore diverso. Quella color bianco è la mia, cioè il mio dottore, quello che mi ha visitato ieri e dato l’appuntamento per oggi alle nove. Scatto in piedi e automaticamente quasi gli sbarro la strada, fissandolo negli occhi. “Aveva bisogno di me?” chiede in modo impertinente. Io ho già il coltello fra i denti, ma mi controllo e riesco solo a dire: “Si molto, ma lo ha voluto lei” “Ah sì, sì” dice lui facendo finta di ricordarsi e guardando una donna giovane al suo fianco, molto probabilmente un’assistente. “Sì, sì” dice lei “Arriviamo subito” e sgattaiolano tutti dietro l’angolo. Cerco di consolarmi con ‘l’arriviamo subito’ e mi rimetto a sedere, certamente scricchiolando. Quasi non mi accorgo che il Dottor Boh… sta di nuovo passando lungo il corridoio e quasi incrocia il Signore di Como sempre intento a raccontare a sua moglie -che legge il giornale- che è una vergogna come vengono trattati, e che se adesso questo Dottor Boh…non si fa vivo, chiamerà il Primario a Como. La moglie gli dice laconicamente che il Primario è andato una settimana a sciare. In Canada! Tra uno scricchiolare l’altro il corridoio si è quasi svuotato.


La ‘scrivania’ è andata a prendere il caffè ed il ‘mio dottore’ non è ancora tornato. E neanche la scorta. Cerco di consolarmi pensando che magari sono rientrati da un’altra parta ‘in sala’ come era stato chiamato il luogo dietro la porta scorrevole sempre chiusa. Sono oramai le 11 passate ed il corridoio d’attesa semivuoto si presenta in tutto  il suo squallore. Solo la coppia di Como attira un po’ l’attenzione con le sfuriate di lui e le laconiche reazioni di lei. Mi chiedo ora che cosa abbia spinto una coppia decisamente benestante, cittadina del Paradiso Terrestre lombardo, a venire a soffrire in Riviera, all’inseguimento di un Medico con un nome da Stregone, che molto probabilmente non è neanche Primario. Anzi sicuramente non è Primario con un nome così. Quasi non riesco a crederci, ma è vero: Un essere umano vestito di verde si affaccia dalla porta della ‘Sala’ ed annuncia: “Signor Bianco, venga!” Un comando liberatorio che mi fa dimenticare le sofferenze passate e rafforza le speranze di un pranzo puntuale. “Da questa parte Signor Bianco” ordina un’altra voce, questa volta femminile e di color azzurro/carta da zucchero. Mi viene chiesto per la terza volta come mi chiamo, quanto sono vecchio e dove abito e come ringraziamento vengo informato per la quarta volta su ciò che faranno con me. Il resto dura circa 5 minuti al cospetto del Dottore in camice bianco, che poi ne impiega 15 per scrivere la ‘lettera di dimissione’. Ringrazio sorridendo ed esco sul corridoio d’aspetto. Il Dottor Boh… (quello in azzurro/carta da zucchero, dall’aspetto caucasico) cerca di calmare il Signore di Como dicendo che se lo avesse saputo che era lui……al che il comasco risponde con il solito: Lei non sa chi sono io! “Si che lo so, lei è il paziente del mio amico Primario che continua a mandarmi malati immaginari, che io, per serietà professionale non posso e non voglio operare. Neanche in cambio di contanti”. Non credo alle mie orecchie: ‘Neanche in cambio di contanti’…..e vado verso l’uscita. Mi accorgo subito che ho dimenticato qualcosa. Dietro front immediato e corsa verso la scrivania. “Il dottore mi ha detto che devo fare un appuntamento fra due settimane per un breve controllo”. Lo sguardo della scrivania mi gela e fa sentire ancora più piccolo. “Deve farsi fare l’impegnativa e telefonare al CUP!” Già, che scemo! Comunque, adesso vado a pranzo.

 Paolo Bianco

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