I sacri e inviolabili confini dell’Ucraina

I sacri e inviolabili confini dell’Ucraina
Per i quali vale la pena mettere a ferro e fuoco l’Europa intera

Indicati nel passato come ruteni e in tempi più recenti come piccoli russi,  gli ucraini sono un gruppo etnico linguistico appartenente agli slavi orientali al pari dei  russini, dei russi bianchi e dei grandi russi che ne costituiscono la maggioranza, quella che dalla Rus’ di Kiev  si spostò verso il nord portandosi dietro la tradizione bizantina e fece di Mosca la terza Roma, il centro politico e  religioso della cristianità ortodossa. I ruteni stanziati nelle aree sudoccidentali a contatto diretto con i turchi  e col mondo politicamente fluido e instabile  polacco -lituano vi furono incorporati  e divennero parte di un miscuglio etnico, linguistico e religioso composto di slavi occidentali (polacchi, cechi, slovacchi), popolazioni baltiche, tedeschi, ebrei,  tatari e cosacchi.  Quelli fuori della  dominazione polacca presenti nell’area originaria di Kiev,  divenuta una marca di confine – u kraina -,  ne presero il nome, usato poi per estensione per indicare i ruteni in generale.  Prima di essere occupate dagli slavi erano terre abitate da popolazioni di stirpe iranica, gli sciti, alle quali in epoca romana se ne sovrapposero altre di etnia germanica come i goti. Una continuità storica etnica politica culturale come quella che ha dato vita alle nazioni dell’Europa centro occidentale è completamente assente. Com’è assente nelle aree occidentali della Rutenia.

Sul luogo dove sorgeva l’antica fortezza di Eni-Dunjai, in un territorio oggetto di secolari scontri fra lituani e tatari, polacchi e turchi, turchi e russi, dopo il trattato di pace di Iaşi (1791) che pose fine alla guerra russo-turca, i russi costruirono ex novo una città portuale alla quale impressero il nome di un antico insediamento greco: Odessos.  Rifugio di contadini, sbandati e commercianti polacchi, ebrei, russi, ucraini, tedeschi  con un sostrato di tatari cosacchi e greci, nel 1905 è stata teatro della prima rivoluzione russa, resa celebre dall’ammutinamento dei marinai della nave Potemkin. Dal 1917 al 1920, fra guerra europea e rivoluzione russa, la città passò più volte di mano: ucraini, operai comunisti, austro-ungheresi e francesi fino all’affermazione definitiva dei comunisti sulle residue forze bianche fedeli allo zar e l’ingresso della città nella Russia sovietica.

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Tralascio l’intermezzo di un feroce pogrom che costò la vita a decine di migliaia di ebrei. Va rimarcato che proprio durante la rivoluzione del 1917  a Odessa venne creata la Repubblica sovietica di Odessa che aspirava a essere incorporata nella Russia bolscevica. Durò solo 3 mesi e, alla fine della Seconda Guerra mondiale, la città, con il Trattato di Brest Litovsk (marzo 1918), venne a far parte della Repubblica popolare  ucraina. Nel 1919 i russi dell’Armata bianca filozarista del generale Michail Alekseev sconfissero gli ucraini repubblicani di Odessa e a loro volta furono battuti dall’Armata rossa di Michail Tuchacevskji l’anno successivo. Odessa divenne parte dell’Unione sovietica nel 1920.   Quando, con un provvedimento deciso da Lenin venne creata la repubblica socialista sovietica dell’Ucraina per soddisfare i movimenti indipendentistici  nei suoi confini venne compresa anche la cosmopolita Odessa. Ovviamente per Mosca non era una mutilazione, considerato che le repubbliche  che costituivano l’Urss non godevano di alcuna sovranità né autonomia nei confronti del soviet supremo.  Odessa nell’agosto del 1941 oppose una accanita resistenza all’assedio delle truppe tedesco-rumene e dopo la capitolazione pagò duramente un attentato di partigiani: la repressione costò 120.000 vittime, in grande maggioranza ebrei.  E dopo che col disfacimento dell’Urss l’Ucraina, con i suoi confini artificiali, ha conquistato la piena indipendenza,  nel 2014 la russa Odessa ha pagato un nuovo tributo di sangue per il suo attaccamento alla madre patria: la strage del 2 maggio nella Casa dei sindacati per la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo, con undici anni di ritardo, ha condannato il governo ucraino.

Leopoli, nata nel 1250  ad opera dei principi di Galizia come fortezza contro i tatari, da questi distrutta e poi ricostruita e divenne la capitale della Rutenia polacca.  Centro commerciale con insediamenti polacchi, tedeschi, armeni e italiani, fu saccheggiata dagli svedesi di Carlo XII nel 1704 e dopo la prima spartizione della Polonia del 1772 divenne capitale della Galizia austriaca. Caduta in mano ai russi nel 1915 e poi riconquistata dagli austriaci, a conclusione della Grande Guerra col trattato di Saint Germain  tornò alla Polonia  fino alla seconda guerra mondiale. Terza città della Polonia, dopo Varsavia e Lodz, con una  popolazione di  oltre 300.000 abitanti, in grande maggioranza polacchi e per il resto ebrei, ruteni e tedeschi. Passata all’Urss in seguito alla spartizione della Polonia con la Germania nazista, dopo la guerra , etnicamente ripulita con  la deportazione dei polacchi e lo sterminio degli ebrei, venne da Mosca assegnata alla repubblica socialista sovietica dell’Ucraina

La Volinia, oblast  occidentale dell’Ucraina è stato uno dei primi insediamenti slavi in Europa e centro della rutenia, vale a dire etnicamente e linguisticamente ucraino.  Eretto a regno fra tredicesimo e quattordicesimo secolo in continuità col principato di Kiev, dal quale prende origine lo Stato moscovita, crollò sotto i colpi dei tatari e il suo territorio venne diviso fra Polonia, Ungheria e Lituania.. All’inizio dell’età moderna tutta la regione, insieme a Kiev, fu incorporata nei domini polacchi  nonostante la resistenza di tatari e cosacchi.  Nel 1793 con la seconda spartizione della Polonia anche la Volinia entrò a far parte dell’impero russo, che iniziò un’intensa opera di depolonizzazione e decattolicizzazione.  Alla fine della prima guerra mondiale però il voivodato di Volinia tornò alla repubblica di Polonia e vi rimase fino al patto Molotov – Ribbentrop quando .viene assegnata all’Ucraina sovietica e col crollo dell’Urss diventa parte dell’Ucraina indipendente.

In conclusione: guerre locali, conflitti globali, susseguirsi di trattati di pace e spartizioni territoriali, considerazioni politiche e compromessi hanno portato agli attuali confini dell’Ucraina, che se può vantare un’identità linguistica e una pur modesta tradizione letteraria, altrettanto non si può dire di un’identità politica o statuale.

Kruscev

Ora i governi ucraini filo occidentali e sostenuti (ma potrei dire imposti) dall’Occidente, anticomunisti e  antisovietici ma attaccatissimi a territori  mai stati parte della rutenia/ucraina come la Crimea o le regioni russofone del Donbass che la Russia sovietica aveva arbitrariamente assegnato a Kiev,  con la loro criminale e antistorica politica di forzata snazionalizzazione hanno provocato un conflitto dal quale l’Ucraina uscirà distrutta checché ne pensino le due signore che guidano la Commissione e la politica estera dell’Ue.  Sulla rivendicazione della Crimea i, che con la rutenia non c’entra nulla  e settanta anni fa  era stata regalata ai compagni di Kiev dal compagno Kruscev come se fosse un foulard o una borsetta, i nostri politici e la nostra informatissima e libera stampa non sentono ragioni, non ascoltano nemmeno l’insospettabile Cacciari e fanno strame del principio della autodeterminazione dei popoli;  se c’è stato un referendum è stata una farsa e piuttosto che riconoscerla come russa tornerebbero indietro di qualche secolo e la restituirebbero  ai tatari (e perché no ai genovesi?). Non ci sono parole.

E non ci sono parole per tutta questa opaca vicenda. Se solo si pensa  che  il nostro Paese con tutta la sua millenaria civiltà, con una identità linguistica  che poggia sulla lingua latina, con confini che datano dall’imperatore Augusto ha dovuto cedere alla Iugoslavia comunista le terre  già veneziane e italianissime dell’Istria e della Dalmazia e si sentono politici di destra e di sinistra che parlano di aggressione, di invasione, di violazione del diritto delle genti perché  a uno Stato artificiale come l’Ucraina vengono sottratti pezzi di territorio che non gli competono c’è davvero da chiedersi in che mondo viviamo.

Pierfranco Lisorini

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