I racconti

Parole che non leggerai
Un  racconto di Cristina Ricci
Ultima parte

Parole che non leggerai
Un  racconto di Cristina Ricci*
Ultima parte
   
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L’ultimo ricordo che ho di te, l’ultimo che tu hai avuto di me.

Chissà se ne eri consapevole.

Chissà se alla fine è affiorato nella tua mente. L’ultimo momento passato insieme: un oscillare di mani accompagnato da uno sguardo interrogativo.

Ti ho salutato chiedendomi perché rimanessimo lì, fissi, immobili, legati l’uno all’altra.

Sarei rimasta così per sempre.

Per sempre immersa nei tuoi occhi.

Per sempre acqua in cui tu potessi immergerti.

Ma lei ti ha chiamato più forte.

Una delle Parche ha tagliato il filo, ha spezzato il legame che ci teneva uniti. Sei uscito e andato via.

E’ strano come le cose si capiscano così, sempre in ritardo. Per anni “Canzone per un’amica” mi ha sconvolto. Non potevo ascoltarla senza che le lacrime mi salissero agli occhi.

Poi, dopo quel che è successo, ho capito il significato che i fatalisti danno alla parola premonizione.

Sei salito in macchina e non ne sei sceso più.

Il dottore dice che ce la puoi fare, che sei forte.

Questa volta sei tu quello forte.

Il trucco si scioglie sulle guance.

Io sono lì al di là del vetro.

Ti guardo ancora una volta, forse per l’ultima.

Ti guardo come ho fatto poco tempo fa.

Ti guardo con mille domande da porti sapendo che tu non mi risponderai.

Ti guardo imbrigliato da mille tubi e tubicini.

Ti guardo immerso in quella strana luminosità creata dal neon e dai monitor.

Ti guardo e ritornano in me tutte le volte che tu mi hai detto “Sei forte”, tutte le volte in cui mi hai detto “Brava, ce l’hai fatta”.

Ti guardo e l’angoscia mi assale. Striscia lentamente, avvinghia le caviglia, le ginocchia, si annida nello stomaco e non lo lascia.

Io sono lì al di là del vetro e mi nutro di te, ancora una volta con la consapevolezza che potrebbe essere l’ultima.

Ora sono io a dirti “Forza, sei forte, lotta per me, non ti arrendere”.

Ora sono io a incitarti ma le parole non escono. Il pugno dell’angoscia stringe la gola. Il pomo d’Adamo duole. Sembra di dover deglutire sassi, anzi macigni; invece è solo il muco che tirò su col naso e scivola in gola; è solo il dolore che devo mandare giù.

Io sono lì al di là del vetro e inutilmente passo le dita sugli occhi. Non cerco neppure di asciugarmi, devio solo il flusso del fiume, trasformo l’estuario in delta.

Io sono lì al di là del vetro e cerco di dare un senso a quei miseri cinque giorni passati insieme.

Quei giorni che sono stati un’anteprima per qualcosa che poteva essere magico e ora è tutto nelle mani del destino.

Un destino beffardo che ti ha fatto forare in curva.

Un destino beffardo che ti ha fatto perdere il controllo.

Un destino inesorabile,  quello stesso destino al quale invano hai cercato di opporti.

Quel destino che tu conoscevi così bene.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno, quanto mi hai abbracciato la prima volta.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno; quando mi stringevi per la prima volta.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno quando mi baciavi per la prima volta.

Con voce mozzata dicevi “Non si può sottrarsi alla propria sorte. E’ inutile opporsi. Io ci ho provato ma tu eri nel mio destino. Ho provato a sfuggirlo ma, dopo tanto tempo, eccomi comunque qua”.

 

L’ultimo ricordo che ho di te, l’ultimo che tu hai avuto di me.

Chissà se ne eri consapevole.

Chissà se alla fine è affiorato nella tua mente. L’ultimo momento passato insieme: un oscillare di mani accompagnato da uno sguardo interrogativo.

Ti ho salutato chiedendomi perché rimanessimo lì, fissi, immobili, legati l’uno all’altra.

Sarei rimasta così per sempre.

Per sempre immersa nei tuoi occhi.

Per sempre acqua in cui tu potessi immergerti.

Ma lei ti ha chiamato più forte.

Una delle Parche ha tagliato il filo, ha spezzato il legame che ci teneva uniti. Sei uscito e andato via.

E’ strano come le cose si capiscano così, sempre in ritardo. Per anni “Canzone per un’amica” mi ha sconvolto. Non potevo ascoltarla senza che le lacrime mi salissero agli occhi.

Poi, dopo quel che è successo, ho capito il significato che i fatalisti danno alla parola premonizione.

Sei salito in macchina e non ne sei sceso più.

Il dottore dice che ce la puoi fare, che sei forte.

Questa volta sei tu quello forte.

Il trucco si scioglie sulle guance.

Io sono lì al di là del vetro.

Ti guardo ancora una volta, forse per l’ultima.

Ti guardo come ho fatto poco tempo fa.

Ti guardo con mille domande da porti sapendo che tu non mi risponderai.

Ti guardo imbrigliato da mille tubi e tubicini.

Ti guardo immerso in quella strana luminosità creata dal neon e dai monitor.

Ti guardo e ritornano in me tutte le volte che tu mi hai detto “Sei forte”, tutte le volte in cui mi hai detto “Brava, ce l’hai fatta”.

Ti guardo e l’angoscia mi assale. Striscia lentamente, avvinghia le caviglia, le ginocchia, si annida nello stomaco e non lo lascia.

Io sono lì al di là del vetro e mi nutro di te, ancora una volta con la consapevolezza che potrebbe essere l’ultima.

Ora sono io a dirti “Forza, sei forte, lotta per me, non ti arrendere”.

Ora sono io a incitarti ma le parole non escono. Il pugno dell’angoscia stringe la gola. Il pomo d’Adamo duole. Sembra di dover deglutire sassi, anzi macigni; invece è solo il muco che tirò su col naso e scivola in gola; è solo il dolore che devo mandare giù.

Io sono lì al di là del vetro e inutilmente passo le dita sugli occhi. Non cerco neppure di asciugarmi, devio solo il flusso del fiume, trasformo l’estuario in delta.

Io sono lì al di là del vetro e cerco di dare un senso a quei miseri cinque giorni passati insieme.

Quei giorni che sono stati un’anteprima per qualcosa che poteva essere magico e ora è tutto nelle mani del destino.

Un destino beffardo che ti ha fatto forare in curva.

Un destino beffardo che ti ha fatto perdere il controllo.

Un destino inesorabile,  quello stesso destino al quale invano hai cercato di opporti.

Quel destino che tu conoscevi così bene.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno, quanto mi hai abbracciato la prima volta.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno; quando mi stringevi per la prima volta.

Quel destino di cui mi hai parlato quel giorno quando mi baciavi per la prima volta.

Con voce mozzata dicevi “Non si può sottrarsi alla propria sorte. E’ inutile opporsi. Io ci ho provato ma tu eri nel mio destino. Ho provato a sfuggirlo ma, dopo tanto tempo, eccomi comunque qua”.

 FINE

*Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi

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