I primi segnali del futuro che ci aspetta; la predazione delle nostre donne

Come l’evoluzione del costume ha aperto un varco all’infezione islamica
Ragazze circondate da decine di uomini urlanti che le palpeggiano le irridono le gettano a terra abusano di loro e si disperdono solo al tardivo intervento delle forze dell’ordine.

Non accade in Uganda o nel Congo ma in piazza del Duomo  a Milano, tanto per far finire l’anno nel peggiore dei modi. Ed è una replica di quanto era accaduto in Germania  il capodanno del 2016,  che si aggiunge alle aggressioni sui treni, interdetti, non solo nelle ore notturne, alle donne non accompagnate.
Ma che sta succedendo? non si può nemmeno dire che si sia tornati indietro nel tempo  perché nell’Italia  contadina come in quella borghese vigeva un codice di comportamento ferreo che, fatti salvi i casi di devianza  criminale, tutelava la donna – come tutelava gli anziani – dalla violenza fisica e verbale. Qualcuno potrà obiettare: ma i fischi, gli apprezzamenti non graditi sono storia ancora viva nella nostra memoria come lo stereotipo degli sfaccendati seduti davanti al bar che vagliano rumorosamente ogni donna che passa o quello degli “italiani che si voltano”, come recita il titolo del film diretto da Alberto Lattuada, uno degli episodi del celebre Amore in città, un capolavoro della cosiddetta commedia all’italiana.
Faceva parte del costume: una versione plebea dei censimenti ai quali lo stesso padre Dante indulgeva. D’altronde in assenza di luoghi di lavoro o di studio misti, con le feste di paese e i balli rigidamente controllati dai genitori e dai parenti, senza luoghi di incontro che non fosse la messa domenicale non restava che il gioco di sguardi, il pedinamento, e, come si diceva, fermare la ragazza e dichiararsi. Regole sociali meno repressive e sessuofobiche di quanto comunemente si crede, ispirate ad una morale cattolica disposta a chiudere non uno ma entrambi gli occhi di fronte alla trasgressione e alle fisiologiche pulsioni erotiche. Maggiore rigidità e minore possibilità di sotterfugi nei ceti borghesi ma sempre ben lontani dal rigorismo puritano del nord America e di molti Pesi  dell’Europa continentale.

A quanti si illudono che il mondo vada avanti e si beano delle “magnifiche sorti e progressive” fa comodo credere nella favola dell’emancipazione femminile, col tacito presupposto che nell’antichità e nelle età medioevale e moderna la donna fosse asservita all’uomo e considerata un essere inferiore. Se si eccettuano certi aspetti aberranti del cristianesimo – la donna tentatrice, strumento del demonio – circoscritti per altro all’ambito monacale, si tratta di un assunto del tutto falso (come tante altre  sciocchezze sul mondo antico); la donna sul piano etico e relazionale gode di uno status non inferiore all’uomo quando non è  addirittura oggetto di maggiore considerazione  come custode dei valori della famiglia, simbolo della fertilità, della continuità, della dolcezza, dell’amore e della pace sia nel mondo greco-romano sia durante i secoli “bui” e nella modernità. Va ricordato che la sua esclusione (per altro relativa e più apparente che reale) dalla vita politica è diretta conseguenza della fatto che originariamente l’attività politica è il risvolto di quella militare: e portare le armi combattere uccidere e rischiare di essere uccisi è avvertito non come un privilegio ma come un dovere doloroso che comporta anche la necessità di un’espiazione. In modi diversi nell’antichità greco-romana come nell’etica cavalleresca il maschio si inchina davanti alla femmina, la desidera ma  reprime il suo desiderio, se ne vergogna e assume un atteggiamento  di questuante che ben si riflette nella lingua italiana: “spasimante”.

La vera rivoluzione, tutt’altro che positiva, nel modo di considerare la donna avviene nella società postindustriale, con la mercificazione dei rapporti interpersonali, la parcellizzazione del lavoro, l’astrazione e l’isolamento del sesso e la riduzione della donna a oggetto. Nel mondo sub specie transationis della società fondata sul denaro le prime vittime sono i sentimenti e la femminilità, esibita come i quarti di bue dal macellaio, spogliata non solo materialmente ma anche moralmente, ridotta  a bambola erotica e immagine pornografica. Si direbbe che abbia vinto quel cristianesimo conventuale osceno e represso .
L’emancipazione femminile ha significato soprattutto eliminazione di secolari regole di comportamento di fronte alla donna: prima le signore, offrire il braccio, fare strada, per non dire degli inchini e del baciamano. E ha comportato anche la sostituzione della soggezione con l’aggressività, latente o manifesta, culturalmente elaborata e superata nel cameratismo.  Sto parlando ovviamente di tratti culturali non delle pulsioni o delle cariche ormonali  che rimangono costanti in tutte le culture, culture dalle quali possono solo incanalate.

Se la donna è stata la prima vittima della mercificazione del corpo e della banalizzazione del sesso  il femminismo ha fatto il resto. Sacrosanta la rivendicazione del voto per le donne, a lungo osteggiato  dalle sinistre col pretesto che il loro voto sarebbe stato influenzato dai preti; sacrosanto anche il rifiuto di sottostare alle imposizioni della Chiesa e della morale borghese sul modo di vestirsi e di atteggiarsi. Ma i movimenti femministi sono caduti nella trappola del maschilismo e hanno finito per rinnegare la femminilità guardandola con gli occhi del maschio. Da qui un’alternativa aberrante: mascolinizzazione della donna o sua risoluzione a bocconcino per l’uomo.  Poi il  paradosso di intendere ogni riferimento all’uomo-genere umano come discriminatorio nei confronti della femmina. Persi in una stupida querelle grammaticale (le specie si indicano col maschile e col femminile e in tutti e due i casi comprendono entrambi i sessi) per sostenere la parità di genere hanno finito per un verso per convergere con quanti vorrebbero la negazione dei generi e per un altro per pretendere privilegi da specie protetta.

La donna nel corso del ventesimo secolo per inseguire nuovi diritti e vantaggi contingenti ha perso antichi privilegi e la sua preziosa peculiarità.  Non solo la letteratura romantica  ma tutta la lirica d’amore  rapportata ai nostri giorni sa di antiquariato. D’altronde, si sa, il costume cambia e cambiano gli stereotipi ma la dignità della persona  come il valore dell’amicizia, della genitorialità, l’affetto filiale e il rispetto  che si deve  alla madre, alla sorella, alla compagna, al simbolo vivente della continuità della specie e della società non possono essere soggetti ai capricci del costume. E in effetti  nella nostra cultura questi valori rimangono per fortuna inalterati anche se la donna, come era  accaduto per la vecchia aristocrazia, ha preferito scendere dal piedistallo che la obbligava  a rispettare norme e limitazioni diventate insopportabili. Le ragazze si esprimono liberamente, scadono nella volgarità e nella pornolalia come i maschi, fanno sport come e più di loro e giustamente se vogliono uscire di sera e  fare l’alba in un locale lo fanno. E se sono attratte da scuole tradizionalmente maschili come l’istituto industriale niente da eccepire, ci mancherebbe.  Tutto questo non ha niente a che fare col femminismo e con le due opposte derive  novecentesche:  riduzione a oggetto sessuale da un lato e rifiuto di riconoscere le peculiarità di genere dall’altro.  La concezione romantica della donna è diventata anacronistica, e a qualcuno potrà dispiacere. Certo è intollerabile che venga rispolverata nella ripugnante retorica nei confronti delle clandestine, prevalentemente incinte, che in forza di chissà quale  mundio, debbono essere fatte sbarcare con la massima sollecitudine (e mi permetto una tiratina d’orecchie a Matteo Salvini)  quando sono proprio loro il peggiore pericolo per la nostra società.
Insomma: tutta la nostra storia è improntata al rispetto per la donna, con connotazioni che variano nel tempo ed è, almeno in parte, intaccato solo dalla generale svalutazione della persona in nome del primato del capitale finanziario e della monetizzazione della realtà.

E allora ripeto la domanda che ho posto all’inizio davanti all’incredibile episodio del capodanno milanese, che ha fatto versare lacrime di coccodrillo alla ministra per caso (o meglio per volontà dell’inquilino del Colle finalmente prossimo allo sfratto): che sta succedendo? La risposta, che è poi una conferma, è arrivata con qualche giorno di ritardo e non per merito delle Autorità o della stampa nostrane. Il caso ha voluto che fra le ragazze vittime dell’aggressione ci fossero due turiste tedesche che al ritorno in patria hanno rivelato che gli aggressori parlavano arabo  e che gli agenti presenti sono intervenuti con una solerzia degna della polizia messicana. Brutta figura per l’Italia e il suo governo e per i nostri telegiornali che avevano in animo di posticipare il più possibile la notizia che i “giovani assalitori” erano in realtà una banda di maghrebini. Le veline di regime impongono gradualità: guai titolare, come i fatti avrebbero voluto  “Un’orda di stranieri circonda assale e violenta decine di donne”; bisogna smorzare, attenuare, far credere che si trattasse di italiani, poi, con calma, un po’ alla volta e a denti stretti la verità.  Con la precisazione: i due individui a capo del branco sono “italiani di seconda generazione”, espressione incomprensibile della neolingua politicamente corretta tanto per nascondere il frutto velenoso  di anni di immigrazione selvaggia e illegale. Ho scritto sopra che le donne sono state la prima vittima della mercificazione della persona, che non è però riuscita a compromettere le basi di un sistema relazionale basato sul rispetto e l’intangibilità dell’altro. Ora queste stesse basi sono messe a repentaglio dalla presenza  massiccia di stranieri non integrabili che considerano il nostro Paese terra di conquista e preda le nostre donne. Nel 1944 l’Italia violata e violentata dalle truppe coloniali francesi ne ha avuto un assaggio: era la guerra ed una buona occasione per la Francia per mostrare il vero volto dell’identità europea  (l’altra sono i campi di concentramento in Tunisia nei quali  erano stati rinchiusi i nostri soldati, roba da far rimpiangere i lager tedeschi). Ora è anche peggio, perché gli stupratori li abbiamo accolti noi, li stiamo mantenendo noi, li stiamo blandendo in tutti i modi noi, reddito di cittadinanza e assegno unico per i figli compreso. Dico noi ma intendo questa orribile sinistra amica dell’Europa e ferocemente ostile alla propria patria.

Pierfranco Lisorini

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One thought on “I primi segnali del futuro che ci aspetta; la predazione delle nostre donne”

  1. E bravo Lisorini! La foto che hai riportato è appesa ad una mia parete e fu scattata da Ruth Orkin nel 1951, American Girl in Italy. In quegli anni, e anche molto oltre, noi maschi italiani ci lasciavamo andare a fischi e commenti verbali al passaggio di belle ragazze, che magari al momento restavano un po’ imbarazzate; ma in cuor loro ne erano lusingate, considerandole una conferma di quanto erano belle e desiderabili. Questi immigrati volontari, invece, vedono le nostre donne come le donne bianche da concupire e aggredire, come trofei nemici da conquistare per placare la loro sessualità repressa, causa la sproporzione tra uomini e donne in arrivo. Per le sinistre, queste boldriniane risorse sono invece merce preziosa, da andare addirittura a cercare sin da quando entrano in mare, meglio se incinte, così poi raddoppiano la loro presenza. Ma coloro che insistono a votare a sinistra non si rendono conto che stanno consegnando il Paese a gente perlopiù senza arte né parte, giovani maschi nel fiore degli anni, senza donne e quindi inclini a soddisfare i loro istinti sessuali sulle belle italiane che vedono in giro?

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