I Metalmeccanici e la Guerra Civile

I Metalmeccanici e la Guerra Civile

I Metalmeccanici e la Guerra Civile

Da tempo si consuma una battaglia silenziosa o quasi fra le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del settore metalmeccanico, da una parte l’organizzazione di categoria FIOM, che fa capo al sindacato confederale CGIL, dall’altra le organizzazioni FIM e UILM, rispettivamente per conto CISL e UIL. Defilati altri sindacati meno rappresentativi e comunque non alla ribalta delle cronache.

E’ una sorta di “guerra civile” combattuta fra componenti della stessa categoria, che convivono nelle aziende metalmeccaniche ancora presenti sul territorio, come dire “nordisti” contro “sudisti”,  ma tutti fratelli americani. Eppure non è sempre stato così, tutt’altro: dagli anni sessanta proprio i sindacati del metalmeccanico diedero vita ad un nuovo soggetto unitario definito Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) che fino ai primi anni ottanta operò in piena sintonia.

 

Lo scopo principale del sindacato che risiede nel suo DNA è quello di fare i contratti con le aziende per regolamentare la vita lavorativa all’interno delle imprese, quale soggetto rappresentante e controparte istituzionale dei lavoratori nei confronti delle stesse: se non riesce in questo di fatto sta fallendo nel suo ruolo principale. Con gli anni il perimetro di attività delle organizzazioni sindacali si è costantemente ampliato arrivando ad occuparsi delle “persone” e non più solo ed unicamente dei lavoratori all’interno del contesto prettamente lavorativo.

 

Tornando al contratto, che sia collettivo o aziendale, si tratta di un compromesso accettato ed accettabile dalle parti in causa che sono portatori di interessi diversi: fino a che punto è necessario o è possibile scendere a compromessi? Quanto è ritenuto accettabile il compromesso pur di fare il contratto, che è l’obiettivo finale, o almeno dovrebbe esserlo.

Qui stanno le differenze, le politiche e gli approcci della cosiddetta strategia sindacale. Ovviamente non vi è alcun obbligo nel fare un contratto, se non si trovano sufficienti elementi accettabili, ma ci sono delle conseguenze.

Un sindacato come la FIOM ha sicuramente determinato un ruolo importante nelle lotte per i diritti dei metalmeccanici, va però ricordato che storicamente per un buon ventennio l’azione è stata unitaria, come citato precedentemente, successivamente divisa ma con un lavoro sufficientemente collaborativo per realizzare i contratti collettivi; da un decennio invece si assiste ad una profonda spaccatura tra FIM e UILM nei confronti di FIOM.

 Ogni volta con varie motivazioni differenti il sindacato che fa capo alla CGIL non riesce a trovare il compromesso accettabile per firmale il contratto collettivo, è avvenuto nel contratto del 2001, quello de 2003, quello del 2009 e adesso il nuovo contratto del 2012. Fa eccezione quello del 2008 travolto dalle vicende FIAT che da allora hanno ulteriormente creato una spaccatura fra i contendenti, che ora di fatto è il nocciolo della questione, il famoso modello FIAT o Marchionne.

 

La strategia del sindacato di Landini recentemente  è improntata a chiamare in causa la Magistratura,  con gli innumerevoli ricorsi fatti dalla FIOM sulla validità dei contratti, non è dato a sapersi perché ora hanno ritenuto di dover ricorrere alla magistratura e nel 2001-2003 no, non si comprende inoltre se vi sia una strategia per cui, confidando che gli altri sindacati trovino un accordo, tanto valga non firmare e rimanere “duri e puri”. Una sorta di presunzione morale con la quale non sporcarsi le mani per scendere a patti “con il padrone. Certo, se tutti i sindacati metalmeccanici seguissero la linea del non firmare per non scendere a compromessi, avremmo i contratti fermi ai primi anni duemila, magari con la busta paga ancora in Lire. O forse avremmo assistito ad una lotta di classe come quella dei minatori ai tempi della Thatcher? Difficile.

 

A guardar bene però ci sono alcuni aspetti non chiari nell’approccio del sindacato confederato nella CGIL che sembra piuttosto indeciso tra fare il sindacato indipendente ed un programma di governo, che dichiara lotta dura a Marchionne e che cavalca il fronte dell’antipolitica e dei No Tav. Un mix di forze politiche rappresentate alcune in parlamento come quelle dell’Idv, ed altre come Sel in procinto di entrarci, assieme agli ex compagni di partito di Rifondazione e i Comunisti italiani, anch’essi pronti con Rivoluzione Civile a fare ingresso nella Casta, soglia permettendo.

 

Ora insistono su una serie di temi che parrebbero più da partito politico, che quindi opera su altri tavoli di lavoro e determina con l’attività legislativa gli indirizzi di governo, riferendosi ad un contratto collettivo ipotetico desiderato del quale non si hanno evidenze ma generici intenti:

 

– “un contratto che impedisca i licenziamenti attraverso il ricorso ai contratti di solidarietà”: probabilmente non è stato colto che i contratti di solidarietà esistono già, legge 863/84, e che al più se devono essere migliorati si deve intervenire sulla legge, attività non di competenza di un sindacato. Sarebbe sufficiente nelle crisi aziendali proporlo per gestire ad esempio le riduzioni di personale, e peraltro prescinde dal contratto collettivo.

 

– “aumenti il salario fisso, anche attraverso la defiscalizzazione degli aumenti”: per gli aumenti salariali si può parlare di competenza sindacale, la materia fiscale è bene ricordare che ancora non è in carico ai sindacati, e forse è bene rimanga tale.

 “garantisca la sicurezza dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente”: ottimo intento di cui il sindacato ha eccellente compito di monitoraggio e denuncia, peccato che anche qui lo schema di riferimento è la legge, nella fattispecie ora in Italia è il decreto legislativo 81/2008. Peraltro spesso e volentieri le RSU nelle aziende maggiormente inquinanti vedono una prevalenza di delegati FIOM, come ad esempio l’Ilva di Taranto, o la Tirreno Power di Savona, quindi vi è sicuramente l’opportunità di segnalare in anticipo incompatibilità con la salute.

       Landini

“favorisca e sostenga gli investimenti per la piena e buona occupazione” gli investimenti li fanno i capitali: se sono pubblici è probabile che siano stanziati dalle amministrazioni ai vari livelli, quindi non è certo il sindacato che decide quando, al più suggerisce il come, ma certamente non dentro un contratto collettivo dei metalmeccanici. Se i capitali provengono dalle aziende idem con alcune varianti.

 

“allarghi gli spazi di contrattazione della Rsu sulla prestazione lavorativa nei luoghi di lavoro”: questo è uno dei pochi elementi realmente di confronto sul piano sindacale, diamone atto.

 

Oltretutto, continuando a non riconoscere ne il contratto collettivo attuale, ne il precedente ormai scaduto, senza una contro proposta contrattuale circostanziata che risponde anche alle richieste delle associazioni datoriali, d’altronde indispensabile per trovare dei punti di contatto, di fatto sembra quasi che non vi sia realmente l’intento di fare dei contratti ma piuttosto di rimanere in una sorta di fase di stallo per temporeggiare, forse auspicando che si facciano delle “azioni” in politica.

 

L’ultimo tassello dell’intricata vicenda è che ora la FIOM sta facendo votare o sottoscrivere moduli ai lavoratori metalmeccanici per richiedere di non applicare una parte del nuovo contratto di lavoro.

 

La giurisprudenza ha più volte  ribadito che i contratti firmati sono pienamente legittimi, valgono innanzitutto per gli iscritti alle organizzazioni firmatarie, e vengono quindi estesi anche ai lavoratori non iscritti a condizione che non lo rifiutino.

Dire all’azienda di non applicare il contratto, da parte del singolo lavoratore, è perciò perfettamente legittimo, un po’ masochista ed estremamente pericoloso: infatti per la Magistratura, il contratto è composto sia dalla parte salariale e da quella normativa. O si accetta o si rifiuta in toto.

Il che significa che chiedendo la disapplicazione, si mette nella mani dell’aziende la decisione di non applicarlo, mettendo a rischio tutta la parte salariale e la parte normativa, anche quella relativa alle tutele delle malattie. Infatti, come è ovvio, non si può scegliere in un contratto la sola parte che piace di più. L’azione è promossa con una pubblicizzazione di iniziativa democratica, vero, resta il fatto che inevitabilmente si finirà in Magistratura perché chi ha diritto di chiedere di non applicare un contratto? Quali sono i criteri che renderebbero valido questa forma di votazione? Si potrà chiedere di “non applicare la richiesta di non applicazione del contratto”? E’ evidente che tutto questo non farà altro che creare problemi a chi di problemi ne ha già tanti, non era meglio forse avviare una verifica nei gruppi dirigenti lasciando magari da parte l’orgoglio e la politica?

 

Con questa strategia c’è da augurarsi che i metalmeccanici non siano costretti a spedire il certificato medico al Magistrato di turno e fare la richiesta ferie alla Questura.

 

Andrea Melis    2 febbraio  2013

 

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