GLI SPOTORNO ‘I GAMBADÜA’ (terza parte)

Prima parte                                              Seconda parte

Un accenno allo zio, Cav. Giovanni Spotorno, più giovane di quattro anni e morto qualche mese prima, che è sempre stato l’alter ego di papà, dividendo con lui tutto il vissuto e tutti i passaggi della scala della notevole esperienza imprenditoriale, affiancandolo nella gestione aziendale, specie nella parte amministrativa, ognuno il suo ruolo, e sostituendolo in tutto e per tutto nelle sue assenze, inizialmente anche per le corse…
Sopraggiunta la guerra, cadevano bombe ma papà vendeva macchine, si fa per dire… Dovendo invece difendere il patrimonio aziendale dai ‘prelevamenti’ coatti e nottetempo dei tedeschi: di macchine, ma soprattutto di gomme.
Poi la Liberazione e il nuovo mondo. E chiudo.

Ingresso della Galleria

Nuove macchine e nuovo modo di far macchine, anche a seguito dell’avanzamento tecnologico prodotto dalla guerra. E nuove marche e marchi. E pure il ‘nostro’. Da Via Moscova a Viale Fulvio Testi 6, dalla Fiat alla TOYOTA: ora SPOTORNO CAR SPA, gestita dai miei figli, prima concessionaria di impianto privato in Italia.
E adesso veniamo alla mamma.

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”È stata la sua (di mio padre) e nostra fantasia. Per quel che mi riguarda, sono cresciuto tra due donne: mia madre Enrica e zia Ester. Con loro ho respirato aria diversa: montagna, mare e città. Lei, che veniva dal Canton Grigio- ni, ci lavava, ci vestiva e faceva il pane in casa. Mi dava un cucchiaio di marmellata nell’acqua calda e mi diceva ‘Tieni, Gugi, questo è il tuo punch’. Negli anni della guerra, quando eravamo sfollati a Chiesa di Val Malenco, Sondrio, con papà che andava e veniva…
Ma quando torniamo a Milano non è più così per la mamma. En- tra dritta nel mondo dell’arte con il ‘disordine’ della passione. Visita musei, le prime gallerie del dopoguerra, disegna e dipinge piccoli quadri infantili… In seguito sarà scultrice di valore, grazie agli in- segnamenti del suo Maestro Nanni Servettaz di Celle.
Nell’aura della posizione raggiunta dal marito, apre la casa ad artisti, poeti e qualche giornalista. Un’accademia in piccolo, ‘sui generis’, con cene improvvisate e tanti ‘discorsi culturali’. Anche sino a tardi. E tutto ‘casual’: orari, cibo, vestiti…si potrebbe dire ‘alla buona’, come infatti era.
Finita la guerra, il coprifuoco, i controlli…c‘è il piacere dl non rispettare le forme, da parte degli ospitanti e degli ospitati. E ci sono pure io, seduto sul tappeto cinese, a gambe incrociate, ad ascoltare tutto e tutti, come una spugna, anche se molta ‘acqua’ non la capisco. Ma l’ho capita e confrontata in seguito… Ne ho visti e sentiti tanti, che non sto a riportare perchè commetterei sicuramente dei torti per dimenticanze.
Frattanto mia madre diventa ambiziosa. Rifiuta di essere ‘decorazione’ di un marito prepotente dei suoi successi. Un uomo che quando viene fermato per eccesso di velocità, scende e tira fuori una decina di tessere. Tra queste, quel- la di ‘probo viro della strada’…E lo faceva anche all’estero, dove nessuno lo capiva… E una sera, mani sui fianchi, lei si impone ‘Voglio il mio spazio, aria e libertà’!
Seguono molte discussioni, naturalmente in camera da letto. Noi figli le sentivamo dal corridoio ma non capivamo. Poi, una notte, l’armistizio: la Galleria d’arte – Fondazione Spotorno.

CONTINUA

da A Civetta

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