Gli spilli di Nat Russo

GLI SPILLI DI NAT RUSSO

LA DIVERTENTE STORIA DELLA FRAGOLA-PESCE – LA RIVINCITA DEL TAXI – A CHI SERVONO I NOSTRI MUSEI? – CULTURA LIQUIDA DEI NUOVI MEDIA

 

GLI SPILLI DI NAT RUSSO

 

La divertente storia della fragola-pesce

di Nat Russo

Ma è mai esistita la fragola pesce?

Quando si parla di OGM c’è chi pensa subito al mostro del dottor Frankenstein. Eppure la doppia elica del DNA di Watson e Crick è del 1953 e la decifrazione del codice genetico di Nirenberg e Khorana è del 1974. Invece apriti cielo quando la Unilever ha aggiunto ai suoi sorbetti una proteina sintetica – la ISP, Ice Structuring Protein – per mantenere morbido il gelato utilizzando meno grassi. L’ha isolata da un pesce artico che la usa per non morire surgelato, ma l’ha riprodotta con la fermentazione di un lievito geneticamente modificato. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ne ha escluso l’allergenicità, ma c’è chi teme ancora per i consumatori ghiotti di gelati ma allergici al pesce.

Non pago del falso scoop del pesce che si incrociava col gelato, Mario Capanna (vi ricordate quell’anziano studente fuoricorso che guidava i picchiatori katanga con la spranga alla Statale di Milano?) è tornato alla carica con la fragola-pesce. Quell’altra benemerita associazione di allegri gitanti in gommone, Greenpeace, lancia un allarme sul pomodoro-pesce. Il Grillo parlante strilla per il fishberry, la fragola transgenica al pesce. Dei macabri pesci d’aprile? No. Evidentemente mescolare vegetali ed animali suggestiona le menti semplici: ecco il mostro. Ma ragioniamo un attimo. Nel DNA umano c’è il 60% comune alla Drosophila, la mosca della frutta, ed il 30% al comune lievito. E allora? Certi giorni vi sentite più mosche o lieviti?

C’è chi attacca gli OGM dal punto di vista politico. Dario Fo grida al complotto sostenendo che gli OGM sono sterili (anche se non è così). Secondo lui le multinazionali li fabbricano tali per costringere i contadini a ricomprarli tutti gli anni da loro, così non possono conservare le sementi per reimpiantarle l’anno successivo. Ovviamente non sentirete mai un contadino dire queste baggianate, per fortuna il nobel glielo hanno dato in letteratura, perché da almeno mezzo secolo, non si mettono più a dimora i semi vecchi (danno piante con caratteri recessivi), ma grazie all’industria sementiera si usano solo piante ottenute con gli incroci F1 ibridi: alta produttività e reddito migliore.

Infatti uno degli scopi degli OGM, è di massimizzare la produzione di piante coltivabili. Ce n’è un disperato bisogno. L’Italia dipende dall’estero per il 40% del grano duro, per il 70% del grano tenero, per il 25% del mais, per il 90% della soia e per il 50% delle carni. Una bilancia agroalimentare in rosso per circa 10 miliardi di euro/anno e gli OGM sono una speranza.

Qualcuno attacca gli OGM in chiave terzomondista. Ma sbaglia clamorosamente. Martin Oladiran (docente di Scienze animali dell’Università di Venda Jocelyn Webster, Executive Director di AfricaBio) ne è un convinto fautore poiché facilitano l’attività dei contadini con poche risorse (materiali ed intellettuali), in quanto non sono a intensità di capitale o di manodopera, ma di conoscenza. Stima che dal 1996 ad oggi i benefici economici mondiali da OGM sono stati di 30 miliardi di dollari, alleviando la povertà di 8 milioni di contadini su 9 che li coltivavano (in particolare soia, mais, cotone e colza). Per la Banca Mondiale il benessere dei Paesi in via di Sviluppo (PVS) può essere promosso più dall’adozione massiccia delle colture OGM che dai sussidi o dalle tariffe protezionistiche: reddito più alto per i migliori raccolti e riduzione dei problemi di salute dovuti ai pesticidi (gli OGM li hanno ridotti di 170.000 t./anno). L’agricoltura dà i mezzi per vivere al 70 % della popolazione dei PVS, ma la fertilità dei suoli è in declino e gli affamati aumentano di 4 milioni l’anno. Solo nuovi approcci scientifici aiuteranno a garantire una produzione alimentare sostenibile. Specialmente in Africa sono una speranza concreta per alleviare la povertà e la fame, come sempre più spesso sostiene il cardinal Scola.

Una attenta vigilanza sugli OGM è certo indispensabile, ma basta con la favola della fragola-pesce. Sempre secondo il Grillo parlante la fishberry non è stata mai commercializzata perché sapeva di liquido antigelo.

Io non l’ho mai assaggiato, non so lui.

 

LA RIVINCITA DEL TAXI

di Nat Russo

Why not?

C’era una volta il trasporto pubblico. Sta morendo, sepolto da un indebitamento da capogiro, poiché è stato affidato troppo spesso ad un personale politico incompetente ed inconcludente, oppure, tecnici capaci, sono stati resi inefficaci, disarmandoli con vincoli ideologici impraticabili. Ogni tanto assistiamo ad una incredibile (e costosa) campagna pubblicitaria su quanto è bello usare il mezzo pubblico rispetto a quello privato. Soldi buttati. Ma bello per chi? Quando qualcuno si sposta vuole andare dove desidera e quando lo desidera. Con il mezzo pubblico questo non succede e non succederà mai. Il mezzo pubblico ti porta quando vuole lui e dove vuole lui.

In compenso costa moltissimo. Se l’autobus è pieno, il prezzo del biglietto copre appena un sesto dei costi. Gli altri 5 sesti li pagano quelli che non usano il mezzo pubblico. I vituperati automobilisti. Se tutti andassero sul mezzo pubblico e non utilizzassero i mezzi privati il deficit, anziché diminuire, purtroppo si innalzerebbe a dismisura (se un autobus pieno dà perdita, tre autobus triplicano la perdita) e la già pessima qualità del servizio peggiorerebbe ancora. In compenso fallirebbero, case automobilistiche, concessionari, benzinai, assicuratori, accise governative, ecc. Fate voi il vantaggio.

L’autobus non sarà mai competitivo con l’auto. Tutte le grandi e medie città lo sanno e si sono organizzate con sistemi misti. Se parliamo di trasporto collettivo il taxi-bus privato a chiamata è più efficace ed economico. L’ottimizzazione dei costi avviene in base ad una politica di riempimento del mezzo con più passeggeri. Più lo riempio meno lo pago. Chiamiamolo pure car-pooling se volete sentirvi à la page. Dove il traffico pendolaristico tocca soglie consistenti e lo spostamento non supera i 100 km, scuole, fabbriche, grandi uffici pubblici, ecc. possono organizzare in proprio le corse necessarie per il trasferimento degli utenti nelle ore e con le modalità desiderate rivolgendosi a vettori privati con reciproca soddisfazione e risparmio.

E la ferrovia? Le metropolitane reggono solo in situazioni, appunto metropolitane, il 99% del territorio italiano ne sarà sempre escluso. Il futuro del treno può essere competitivo a due condizioni: il passaggio dallo status di mezzo pubblico a quello di mezzo collettivo privato e la lunghezza delle tratte, in competizione con l’aereo. Risulta quindi quantomeno anacronistica la lotta anti-TAV. La TAV andrebbe costruita in molte zone italiane: in primis sulle direttrici di traffico turistico, vedi la Riviera Ligure, dove viceversa non si è riusciti a completare in più di mezzo secolo un semplice raddoppio della linea.

 

 

A CHI SERVONO I NOSTRI MUSEI?

di Nat Russo

 

Metafora espositiva.

Mi capita abbastanza spesso di visitare i nostri musei. Cosa trovo? Che sono desolatamente vuoti. Nessuno li visita. In compenso ci costano un sacco di soldi. Se non ci fossero le visite guidate scolastiche (a cui gli studenti aderiscono ovviamente grazie alla moral suasion di quei pochi docenti ancora motivati) il numero dei visitatori si avvicinerebbe a poche unità l’anno. Delle due una: o ciò che è contenuto in questi musei non interessa quasi a nessuno o i dipendenti non si danno un gran da fare per dirlo in giro. Gli studiosi, dipendenti ed indipendenti, dal canto loro, hanno interesse che sia perpetuata così la condizione museale. Infatti, con molta parsimonia (il campo di studi si potrebbe rapidamente esaurire e poi… se venisse a saperlo qualche studioso importante a loro non resterebbero neppure le briciole), pubblicano qualche paginetta l’anno, costruendo su ciò titoli per concorsi, stipendi, cattedre universitarie e persino carriere politiche. Professioni, passioni od hobby più che legittimi, intendiamoci, se non costassero profumatamente alla comunità. E di questi tempi sottrarre risorse a ben altre urgenze è un atto quantomeno dubbio.

Cosa propongo allora? La chiusura dei musei come tali, per quelli che non raggiungono uno sbigliettamento decente, e la dismissione progressiva delle loro opere d’arte in modo che gli utili ottenuti dalla loro vendita, (che non è una parola ignobile legata a cultura), servano a contrastare l’enorme deficit comunale, prima di giungere al suo commissariamento.

Tranquilli non sarà fatto, so che leggi, laccioli e strilli impediscono di fare tutto ciò. Nel frattempo, per gli studiosi interessati a studiare le nostre opere, si può pensare a permessi di visita su appuntamento. La cultura non ne soffrirebbe certo. I politici, se i dipendenti non riuscissero nell’impresa di aumentare in maniera consistente le visite, potrebbero decidere di trasformare i musei in laboratori, luoghi di studio e di esposizione temporanea per mostrare i risultati delle ricerche effettuate. Ma le risorse per tali operazioni andrebbero reperite fondamentalmente dagli sponsor. È questa la principale garanzia di successo. A differenza degli Enti locali che spesso sono enti di curatela della clientela, allo sponsor interessa solo una massiccia presenza di pubblico che visualizzi il brand. Il successo della manifestazione permetterebbe una ricaduta positiva anche sull’economia turistica della città, cosa che agli attuali dipendenti non pare interessare molto.

Che ne sarà di loro? Se sono studiosi validi, altre istituzioni culturali funzionanti faranno a gara per accaparrarseli, per gli altri (e temiamo siano i più) non resta che una più proficua mobilità verso altri enti. Proficua per i cittadini, una volta tanto.

 

 

CULTURA LIQUIDA DEI NUOVI MEDIA

di Nat Russo

La resistibile difficoltà di realizzare una cosa facile.

 

La creazione di una web-radio-tv, realizzabile, oggi, a costi talmente ridotti da essere alla portata di tutti, nasce per soddisfare l’esigenza di diventare quotidiani e fedeli cronisti della realtà che ci circonda, narrando, giorno dopo giorno, quello che ci accade (a noi ed ai nostri amici vicini e lontani).

Questa matrice di lettura della realtà, al tempo stesso, locale e globale, riflette la consapevolezza di esistere come persone, di capire che la propria vita ha un senso, perchè comunica con quella degli altri. La testimonianza trasforma il proprio vissuto in una vita da protagonisti.

La macrostoria, su cui si pensa di non poter incidere, poiché vola alta sopra le nostre teste, diventa un tutt’uno con migliaia di microstorie, importanti in quanto vere e capaci di influenzare il mutamento sociale di ciascuno di noi, molto più di quello che crediamo possano fare le grandi svolte epocali.

I contenuti presenti su di una web-radio-tv si possono dividere in due grandi categorie:

·   on air, quelli immediatamente disponibili mentre si ascolta la radio;

·     on line, quelli udibili on demand (o scaricabili in pod-casting), presenti in un archivio programmi.

L’insieme di queste due modalità costituisce il patrimonio culturale della web-radio-tv.

La redazione ha, principalmente, compiti di riorganizzazione dei contenuti in sottocontenitori tematici, i quali ricevono a loro volta, i servizi da una moltitudine di redattori, polverizzata sul territorio, che utilizza la telefonia mobile come macchina da scrivere del reporter del terzo millennio.

Una web-radio-tv nasce grazie ai prosumer e per i prosumer, (producer/consumer produttori/consumatori) ed è volta a far convergere, tendenzialmente, il gruppo dei produttori/fornitori di programmi, con i consumatori di essi. I meccanismi di accesso permettono, di fatto, la sovrapposizione delle due funzioni. Ci troviamo in una sorta di agorà virtuale: chi vuole può dire, chi vuole può ascoltare. Il meccanismo, secondo il quale si innesca il protagonismo, è quasi automatico: a forza di ascoltare, visto che è molto semplice, posso decidere di partecipare in prima persona. Il media diventa condensatore di bla bla, ma anche amplificatore e memoria.

Il doppio canale (on air/on demand), è testimonianza dell’attimo fuggente, ma conferisce ad esso dignità di testimonianza permanente.

L’applicazione di un tale meccanismo ad una comunità polverizzata sul territorio, ma riaggregata da un’associazione, diventata significativa. Infatti, la creazione di pillole di microinformazione, fa sì che il paziente (programmista/fornitore), si curi non secondo il metodo omeopatico del sentito dire, ma secondo una prescrizione medica scientifica, che lo irrobustisce, perchè lo costringe a razionalizzare forme, contenuti e repliche.

L’agorà telematica, diventa, quindi, una forma permanente, strumento primario di democrazia: se voglio parlare, debbo ascoltare.

Questa operazione non sfugge ai rischi del trash da forum del libero scambio. Ma più che sulle modalità di gestione della spazzatura, l’attenzione si sposta sui meccanismi di autoregolazione. I redattori, infatti, intesi come gestori dei diversi contenitori tematici, operano, più che come filtro, come razionalizzatori, tolleranti e rispettosi anche delle “banalità” delle opinioni altrui.

L’altro elemento di grande interesse è quello che, se l’utente è, potenzialmente, un collaboratore, si instaura un meccanismo di fidelity infinitamente maggiore anche di quello che si può individuare nei confronti di un conduttore popolare, bravo e simpatico. Spostare l’attenzione dall’essere oggetto al diventare soggetto, è indice di un cambiamento assai radicale, perchè viene ad incidere sui meccanismi di canalizzazione adulta del consenso.

Ritrovarsi nella community può diventare fattore esistenziale decisivo, naturalmente anche per una modificata strategia nella pianificazione degli acquisti, trasformando una membership volatile, propria di una associazione aperta dove la partecipazione non passa attraverso l’iscrizione obbligatoria, in qualcosa di molto più profondo e strutturato.

NAT RUSSO

 

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