Gli attuali fattori limitanti nella disponibilità di cibo

L’avvenire che ci attende   8ª parte

Gli attuali fattori limitanti 

nella disponibilità di cibo

L’AVVENIRE CHE CI ATTENDE
8ª parte

Gli attuali fattori limitanti nella disponibilità di cibo

Secondo capitolo

 

Desidero informare i nostri amici lettori, che nella mattinata di martedì, 17 gennaio, ho ricevuto una telefonata da parte di un nostro cortese concittadino, il quale, dopo aver letto l’ottava parte, primo capitolo di questa nostra pubblicazione, ho voluto evidenziare che “ il fabbisogno energetico, di  cui ogni individuo, abitante del nostro pianeta, ha bisogno, è  superiore a quanto da me indicato,  soprattutto se questo individuo è impegnato in attività lavorative complesse e difficili, se non addirittura usuranti”.

 

Devo dire subito che sono grato nostro concittadino (del quale ovviamente non desidero riportare i dati anagrafici per una semplice ragione di elementare correttezza); desidero, tuttavia, evidenziare che i dati da me riportati e cioè:

fabbisogno alimentare di 2500 kcal al giorno per ogni individuo (e quindi 900.000 kcal all’anno per ogni individuo) vanno riferiti alla semplice sopravvivenza fisica di ogni individuo in condizioni di riposo o comunque di lavoro di tipo leggero.

Aggiungo, inoltre, che in condizioni di maggiore impegno lavorativoo di sovra-affaticamentoil fabbisogno alimentare sale rispettivamente a 3000 kcal al giorno per personaed a 1.100.000 kcal all’anno per persona.

 

Aggiungo, infine, che questi dati sono diventati ormai abituali nazioni industrializzate, per cui, fatte le debite proporzioni, si può verificare che molte centinaia di milioni di individui viventi sul pianeta terrasono al limite della disponibilità di energia alimentare e che, addirittura, alcune centinaia di milioni sono, addirittura, sotto tale limite.

 


 

Ma, il deficit alimentare degli esseri umani (soprattutto nel sud del mondo) non si limita, soltanto, all’insufficienza del valore energetico del loro cibo; ancora più grave risulta, infatti, lo scarso apporto di sostanze proteiche e di vitamine, la cui importanza è decisiva, ai fini della sopravvivenza umana (come ricordato dell’ottava parte capitolo primo è questa pubblicazione).

Infatti l’alimentazione dei quattro quinti dei terrestri dotata di un contenuto di proteine che si trova, spesso, al di sotto del fabbisogno minimo, tanto che, spesso le malattie da sottoalimentazione sono, in effetti, malattie da carenze proteiche o, meglio, da mancanza di una quantità adeguata di amminoacidi essenziali.

Altre malattie, infine, derivano da carenze vitaminiche; in questo specifico caso gli squilibri nutritivi sono dovuti in parte ad un’alimentazione eccessivamente omogenea ed, in parte, alla carenza quantitativa di sostanze vitaminiche di origine animale.

 

Non a caso a FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), attraverso i suoi periodici “vertici” e le sue annuali “Giornate dell’alimentazione”, denuncia, da tempo, la vergognosa situazione esistente in molte regioni del nostro mondo, Purtroppo, nonostante le documentate e dettagliate esposizioni (che ben pochi leggono) della situazione mondiale, ciascuna di queste iniziative si risolve in piagnucolosi e melensi discorsi di Capi di Governo e Ministri ed in ipocrite promesse di dedicare una qualche quota del prodotto interno lordo dei Paesi ricchi all’aiuto alimentare. 

 

Queste promesse, spesso non mantenute, rappresentano, comunque, dei palliativi, di carattere caritativo, buoni per mettere in pace le coscienze, ma incapaci di curare, in maniera decisiva, la scarsità alimentare di quasi la metà dei terrestri. 

Occore essere consapevoli che la fame del Mondo non si può sconfiggere con questi banali strumenti; occorre, al contrario, incidere sulle cause che la determinano.

Ed, a mio modo di vedere, carissimi amici lettori, la carenza alimentare globale va ricondotta a due principali cause:

  1. Le ossessive monoculture avvenute in molte parti del pianeta

  2. L’errata diffusione di tecnologie produttive, esogene ed incompatibili con le caratteristiche dei suoli, ove, esse sono state impiegate ed aliene rispetto alle tradizioni autoctone delle popolazioni ivi residenti

Ed, allora, per trattare compiutamente il significato e l’importanza di queste due cause, mi limito a citare integralmente quanto scritto da Josuè De Castro, su questo argomento nel suo volume:

 

UNA ZONA ESPLOSIVA: IL NORD-EST DEL BRASILE

 EINAUDI EDITORE

 

 

Le condizioni del suolo che quelle del clima sono sempre state tra le più favorevoli alla coltura sicura e redditizia di una quantità di prodotti, che permettono l’organizzazione di un regime alimentare soddisfacente. 

Il suolo della regione è, per la maggior parte, del tipo massapè (terra nera, grassa, viscosa e notevolmente fertile, che ricopre di uno spesso strato poroso gli scisti ed i calcari del cretaceo

Si tratta di un terreno privilegiato per le sue qualità fisiche e chimiche, estremamente ricco di humus e di sali minerali. 

Il clima tropicale, senza l’eccesso d’acqua noto in altre terre di questo tipo, ma con un regime di pioggie e di stagioni ben determinato, contribuisce, anch’esso, favorevolmente alla coltura facile e sicura di una gran varietà di cereali, di frutta e di legumi. 

La stessa foresta indigena conosceva già un’eccezionale abbondanza d’alberi da frutto; altre specie, trapiantate da continenti lontani, si sono acclimatate nel Nordeste altrettanto bene che nel loro paese l’origine. Così è accaduto per l’albero del pane, portato dalle lontane isole dell’Oceania, per il cocco ed il mango, portati dall’Oriente dai colonizzatori portoghesi. 

Tutte queste piante, integrandosi al paesaggio del Nordeste, producevano frutti preziosi per l’alimentazione dell’uomo. Tutto cresceva con una foga tale e produceva con tale esuberanza in questa terra così grassa, da fare accusare di esagerazione lo scrittore Pero Vaz de Caminha, autore della prima lettera sul Brasile, per aver dichiarato che “la terra è di una tale generosità che, se si vuol profittarne, essa potrà dar di tutto”. Sfortunatamente non si è voluto profittarne; il colonizzatore portoghese non l’ha voluto. Le immense possibilità naturali della terra, sottovalutate, non sono servite a niente, perché lo sfruttamento non è stato assolutamente proporzionale alle loro capacità di fornire alimento alla popolazione. 

Una volta scoperto che le terre del Nordeste si prestavano meravigliosamente bene alla coltura della canna da zuccheroi colonizzatori sacrificarono tutte le altre possibilità all’esclusiva coltura di questa pianta e agli interessi della sua monocultura, distruggendo quasi per intero le ricchezze vegetali e animali della regione, sconvolgendo da capo a fondo l’equilibrio ecologico del paesaggio e ostacolando, con tutti i mezzi possibili, ogni tentativo di coltura di altre piante alimentari.

 

E più avanti

Esperti nella coltivazione e nel commercio dello zucchero I portoghesi sapevano che esso avrebbe permesso un’attività economica redditizia soltanto se lo si fosse prodotto su vasta scala e, quindi,  con una  riserva di terre, tale da permettere una coltura estensiva con manodopera abbondante ed a basso costo.

 Desidero aggiungere che a conclusioni analoghe a quelle formulate da Josuè De Castro è giunto Ward Shepard del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti.

 Riporto le parti essenziale delle sue dichiarazioni:

“Il disboscamento e la successiva monocultura da canna da zucchero non hanno rappresentato, per la regione, un fattore negativo soltanto con la devastazione del suolo e l’annientamento delle risorse vegetali; essi hanno anche praticamente distrutto le risorse della fauna, la cui vita era intimamente legata alla vita stessa della foresta. Ancora più grave per l’alimentazione della regione il fatto che la coltura della canna non si è limitata a distruggere fonti di nutrimento, le ricchezze della fauna, della flora, dello stesso suolo. 

Essa fu ancora e soprattutto nociva perché rese estremamente difficile l’introduzione di qualsiasi altra risorsa di sussistenza, che avrebbe potuto, invece, trovare su queste terre, condizioni favorevolissime al suo sviluppo.”

 


Jeremy Rifkin e Josuè De Castro

 

E continuiamo ancora, carissimi amici, con questa amara riflessione di Jeremy Rifkin:

«Il Messico dedica una porzione crescente della produzione agricola al sorgo, cereale per l’alimentazione bovina e animale.

Venticinque anni fa, il bestiame consumava meno del 6% della produzione cerealicola nazionale. Oggi, almeno un terzo dei cereali prodotti sono destinati all’alimentazione animale. E questo, in un paese in cui milioni di persone soffrono di denutrizione cronica».

 

Potrei continuare a proporre altri esempi su questo argomento; ma consentitemi ancora un ultimo esempio ed, infine, una mia lapidaria conclusione finale.

 

Ultimo esempio firma di Steven Sanderson (studioso di scienza della politica)

Le multinazionali dell’alimentazione ormai assemblano i bovini come si producono le automobili.

La tecnica è micidiale; si mescolano i fattori di produzione provenienti da diversi paesi (cereali, farmac,i sement,i embrioni animali, strategie di marketing e processi automatizzati di macellazione) in un unico attività coordinatrice mondiale. 

 Le Tre Americhe stanno rapidamente trasformandosi nel più grande pascolo e nel più importante macello del mondo. 

A rischio è l’esistenza dei contadini in paesi, con un’ampia popolazione rurale povera, dipendente da un’agricoltura di semplice sopravvivenza

 

Lapidaria conclusione finale

La condizione esistenziale di tutti gli esseri umani Deve sempre prevalere sui meschini interessi del vil denaro.

 

ALDO PASTORE

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