Giornalisti
Il cialtronismo da cioccolatai dei giornalisti La bufala mediatica che fa perdere fiducia ai lettori |
Il cialtronismo da cioccolatai dei giornalisti La bufala mediatica che fa perdere fiducia ai lettori |
A volte capita di vergognarsi di fare il mestiere che chi scrive reputa il più bello del mondo: il giornalista. Succede quando la superficialità, la ricerca di sensazionalismo a tutti i costi, la voglia del titolo ad effetto a prescindere dalla realtà delle cose hanno il sopravvento sull’informazione, sulla verifica dei fatti, sull’accertamento della verità, o per lo meno sul tentativo di avvicinarvisi il più possibile. Il clamore mediatico di questa settimana su una notizia inesistente e falsa (bimba sottratta alla madre dal Tribunale perché povera), ingigantita dalla spettacolarità della location (nella ricca Trento una storia strappalacrime), facilmente sfruttabile per battaglie ideologiche (giudici cattivi, assistenti sociali dal cuore di pietra, rappresaglia di Stato al rifiuto di abortire), è uno di quei casi in cui, arrossendo, ci si domanda che credibilità possa avere un giornalismo siffatto. |
Creare un circo mediatico sul nulla, alimentato su se stesso, rimbalzato da una agenzia all’altra, da una tv all’altra secondo schemi preconfezionati, in base a meccanismi automatici che una volta partiti non si riescono più a fermare, non è più giornalismo. È cialtronismo da cioccolatai. È solo un polverone virtuale ad uso e consumo di sprovveduti spettatori e lettori, che si ritrovano confezionato un feuilleton virtuale che non ha corrispondenza con la realtà ma che fa audience, che attira l’attenzione, che scatena emozioni, che alimenta polemiche. Eppure questo è quello che è tristemente avvenuto in questi giorni, segnando una bruttissima pagina per la professione del giornalismo e minando ulteriormente la fiducia che il lettore deve poter nutrire verso chi ha il dovere, il compito, la missione di fare informazione, e informazione corretta Nessuno fra quanti fanno questo mestiere è immune da colpa, ed è senza peccato da scagliare la prima pietra. Anche noi dell’Adige più di una volta abbiamo esagerato e, sbagliando, abbiamo rincorso la notizia perché era ghiotta, anche se alla prova dei fatti si è dimostrata diversa da come è stata presentata. Di questo certamente dobbiamo fare mea culpa. Però non basta. Forse è giunto il momento di domandarsi se non siamo andati troppo in là, se come categoria non abbiamo declinato alle nostre responsabilità per rincorrere lo spettacolo, lo show, la messa in scena di nani e ballerine al fine di rendere il tutto più scenografico e suggestionante. Insomma se abbiamo sostituito l’intrattenimento al fare informazione, la «televisione del dolore» alla faticosa verifica dei fatti sul posto, senza preclusioni ideologiche ed esclusiva voglia di fare scoop. Perché i fatti a Trento sulla vicenda della mamma in questione sono altri. Innanzitutto non esiste alcun provvedimento del Tribunale che ha tolto la figlia alla madre perché povera. Sono di ben altra gravità gli elementi che hanno portato alla triste decisione di allontanamento, e tutti legati all’incapacità psiscofisica della madre di poter accudire al figlio e di preservarlo da pericoli. Chi conosce come operano Servizi sociali, Tribunale dei minori e periti incaricati, sa che decisioni come questa non vengono prese a casaccio ma solo dopo infinite verifiche, e solo quando le condizioni di fatto non consentono altri tipi di soluzione. Solo l’esibizionismo mediatico di taluni, frutto di smania di protagonismo e di interesse di parte, ha portato a trasferire sui media e a cavalcare la vicenda arrecando danni immensi agli stessi protagonisti. Al resto ci ha pensato la grancassa del circo giornalistico-televisivo che non ha esitato un attimo a sparare in prima pagina di giornali e tv nazionali titoli come questi: «La mamma è povera. Il giudice: via la figlia, Sentenza choc a Trento», Il Giornale: «Giudice le vieta di essere madre», Metro: «Si rifiuta d’abortire. Le levano la bimba perché è povera», Libero. Un meccanismo a catena, che a cascata porta ad intervenire politici, sottosegretari di governo, illustri commentatori e commentatrici di grido, incauti e disinformati vescovi pronti al pistolotto ideologico a gettone. Il tutto su una notizia inventata, che non ha riscontro nella realtà. Con questa vicenda di Trento noi giornalisti abbiamo scavato un ulteriore fossato verso i lettori. Nel recitare il mea culpa, però dobbiamo anche dirci come uscire da tali corticircuiti, come evitare di finire ogni volta dentro il frullatore del «reality show», di cui alla fine diventiamo prigionieri, perché se non rincorriamo la notizia veniamo battuti dalla concorrenza e l’altro giornale fa il titolo più grosso e gridato. L’unico modo possibile è quello di tornare alle regole base del giornalismo. Innanzitutto la verifica delle notizie, l’accertamento incrociato dei fatti, il riportare i vari punti di vista, cioè il sentire di ogni vicenda tutte e due le campane. Poi l’equilibrio di giudizio, il «pesare» le notizie per darvi il giusto peso, la misura, la pulizia da pregiudizi ideologici, ma soprattutto da pre-giudizio, di qualunque genere sia. Affidarsi solo al racconto del fatto, dopo averne raccolto tutti gli elementi possibili, pronti anche a cambiare versione se i fatti dimostrano il contrario dell’idea che ci eravamo messi in testa. E soprattutto dire basta una volta per tutte alla tentazione di fare un altro mestiere, quello dell’intrattenitore, del domatore di circo, del saltimbanco che diverte le platee, per tornare a fare con un po’ più di umiltà il vecchio ma sempre importante (anzi, assai più importante di un tempo) mestiere di informare, cioè di raccontare i fatti per quelli che sono, per poi eventualmente commentarli aiutando il lettore a formarsi un giudizio sereno e misurato. In un tempo dove tutti – dai presidenti del consiglio ai reverendi Terry Jones -, pensano solo a fare spettacolo è una missione quasi eroica. Ma è l’unica che possa salvare il giornalismo e ridare fiducia ai lettori. |