GIALLO ORO
La febbre dell’oro, sulla scia di quella del Klondike di fine ‘800, è in pieno e anzi accelerato sviluppo, con le sue quotazioni che macinano record storici pressoché quotidiani.

Interno del caveau di una banca centrale. Ormai è una corsa generalizzata ad abbandonare, come riserve, le valute cartacee, in particolare il dollaro, sempre più screditato, in favore di oro e, di recente, argento
A fare da turbo a questa impetuosa avanzata sono vari fattori, il primo dei quali è certamente la crescente sfiducia nelle istituzioni e nella loro espressione monetaria, cartacea e soprattutto digitale: l’inflazione “palpabile” è ormai ben lontana da quella ufficiale, che oscilla tra il 2 e il 3%, mentre gli aumenti dei beni che la gente verifica personalmente andando a fare la spesa viaggiano a 2 cifre, con punte del 40-50%. Ciò è l’espressione tangibile del calo del potere d’acquisto, che si estende ovviamente a tutta la serie dei servizi che lo Stato fornisce con sempre maggiore avarizia e spocchioso rincaro.

Una delle tante esortazioni, da piattaforme specializzate, ad abbandonare le monete fiat nei propri risparmi, per sostituirle con oro e argento. La corsa è così sfrenata che siamo arrivati al punto che gli esistenti stock di argento non riescono più a far fronte alla domanda (v. oltre)
Tuttavia, l’aumento vertiginoso del prezzo dell’oro è dovuto soprattutto ai costanti acquisti delle banche centrali, in particolare orientali: Cina, Russia, India, Giappone, che sostituiscono le loro riserve da dollari a oro e argento, lasciando affondare la valuta americana (ma non troppo rapidamente, per non svalutare più di tanto i miliardi di dollari tuttora in loro possesso).

Il principale propellente dell’abbandono del dollaro come valuta di riserva è la dimensione galattica del debito USA, qui in un eloquente grafico dal 1900 ad oggi
A dare la stura a questa sfiducia ormai globale è stata proprio la moneta che ha dominato indiscussa dal 1944, o meglio dal 1971, quando Nixon sganciò il dollaro dall’oro.

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Il dollaro è il grande malato, con un debito pubblico americano che sfiora i $ 38 trilioni, con la fuga dei suoi grandi sostenitori, che non solo non comprano più i suoi treasuries, cioè i bond che lo Stato emette ad ogni scadenza per finanziare le nuove emissioni, ma addirittura se ne sbarazzano, rivendendo i bond che posseggono. Per vincere questa sfiducia, gli USA non possono che aumentare gli interessi, con ciò accelerando la corsa verso il default.
Poiché nei caveau delle banche centrali ad affiancare l’oro c’era, in misura addirittura maggiore, proprio il dollaro, è naturale che, col suo crollo verticale, si sia innestata la procedura di inversa; col risultato che oggi in quei caveau c’è più oro che dollari (v. grafico su mio articolo del 25 settembre scorso) [VEDI]

In parallelo all’andamento del dollaro di cui al grafico precedente, vediamo qui la crescita impetuosa dell’oro, specialmente negli ultimi anni, in concomitanza con l’inflazione reale e la perdita di fiducia nella moneta fiat e nelle istituzioni, incapaci di contrastare la perdita del potere d’acquisto, con la crescita dell’incapienza e delle ristrettezze della classe media
Di questo stravolgimento sono ovviamente ben consci i vertici USA, a cominciare da Trump e dal suo ministro del Tesoro Bessent. Che non sono rimasti con le mani in mano.
La fervida e un po’ luciferina mente di Trump ha escogitato un metodo quanto mai singolare per uscire dal cappio del debito, ricorrendo ad una cripto-valuta denominata stable coin. L’aggettivo scelto sta a convalidare la sua stabilità, essendo agganciata (pegged) 1:1 proprio al dollaro; ma ad un dollaro che si pretende depurato dalla scoria dell’immenso debito che oggi lo schiaccia.

Raffronto tra la rapidità di disimpegno di Cina e Giappone dai treasuries americani, accentuando la debolezza del dollaro e la lievitazione del debito USA per l’impennata degli interessi
Il piano, che ha subito allarmato Cina e Russia per la sua potenziale dirompenza sull’assetto finanziario mondiale, prevede che ad accumulare stable coin siano due esistenti piattaforme, Tether e Circle (v. grafico più sotto), preposte ad un massiccio acquisto di treasuries onde sopperire al loro mancato acquisto da parte delle banche centrali straniere, alleggerendo così il volume del debito, e sollevando la Fed dal compito di comprare i treasuries invenduti, emettendo nuova moneta.
Scopo finale dell’operazione: riportare il dollaro ai suoi fasti passati e svuotare di significato l’attuale corsa all’oro, che tornerebbe ad avere un ruolo subalterno al dollaro. Personalmente, ritengo il piano non abbia grandi speranze di successo, in quanto ormai la fiducia nel dollaro è sfumata, e quella che oggi chiamiamo “l’altra metà del mondo” se ne sta allontanando ad una velocità in equilibrio tra l’urgenza di riportare a casa i propri prestiti e il timore di svalutarne troppo il valore. La speranza trumpiana di riavvolgere il nastro della storia è pura utopia.

Raffronto dei principali detentori di treasuries americani (notare l’incidenza delle isole Cayman, noto paradiso fiscale!). Tether e Circle, in prospettiva zattere di salvataggio dal peso del debito USA, sono appena agli inizi del loro compito, rendendo, per inciso, ancora più ricca la già straricca famiglia Trump grazie all’enorme afflusso di capitali attirati dall’essere sotto l’ala Trump: un conflitto di interessi che quelli di berlusconiana memoria impallidiscono
Se il piano, nonostante tutto, avesse successo, sarebbe un trionfo per la finanza americana, che tornerebbe sul podio d’onore, con buona pace dell’attuale tam tam che esorta ad accaparrare oro e argento in vista di incalzanti tempi bui.
Non bisogna comunque sottovalutare l’insegnamento della storia che, a fronte della corsa collettiva verso un bene, reale o immaginario, si profila sempre il pericolo di una bolla, sul genere di quella che si scatenò, verso la fine dello scorso millennio, intorno a tutto ciò che avesse una qualche attinenza con internet, e oggi con l’intelligenza artificiale: vedi il monito della direttrice FMI, Kristalina Georgieva [VEDI].

Con l’immodestia che lo caratterizza, Trump ha chiamato Genius Act il suo tentativo di sgonfiare senza traumi il debito USA, trasferendolo su almeno due vettori esterni.
Non lo escluderei, ma, a mio avviso, l’odierna corsa verso oro e argento è ancora lontana da quel rischio, essendo più che giustificata: 1) dal diverso assetto geopolitico, che ridimensiona il ruolo egemone degli USA in quanto basato sull’onnipotenza del dollaro; 2) dalla generale sfiducia sia nelle monete fiat, dal calante potere d’acquisto, sia nelle istituzioni, che quanto più chiedono tanto meno danno in termini di qualità dei servizi, i quali dovrebbero giustificare le tasse; mentre oggi acquista dignità etica persino l’evasione fiscale -per chi la può fare- come autodifesa di sopravvivenza.

La forma della curva ricalca quella dell’oro, anche se la velocità di crescita è stata molto minore (da un rapporto “normale” oro/argento di 15/1, siamo oggi a 90/1, col signor platino, un tempo re dei preziosi, oggi a ca. 1/3 dell’oro)

La fiammata dell’argento è stata così repentina che la domanda supera talmente l’offerta che le scorte non sono sufficienti a soddisfarla. Si tenga anche presente che, a differenza dell’oro, l’argento ha anche usi industriali, tecnologici, sanitari
Nella pletora di voci che spingono ad accumulare metalli preziosi per sottrarsi all’inflazione, c’è anche chi, al contrario, paventa che siano le banche centrali, che oggi stipano d’oro e argento i loro caveau, a procedere in senso inverso, iniziando a svuotarli, col rovinoso crollo del valore dei metalli preziosi oggi così in auge.
Non si può escludere nessuno scenario, ovviamente; ma riportare l’oro allo status di “relitto barbarico” è un’eventualità del tutto remota. In realtà, più che parlare di aumento di valore dell’oro, ci sarebbe da evidenziare la perdita di valore della moneta corrente. Anche se è innegabile che una componente della continua salita delle quotazioni auree stia anche nella sua graduale estensione alla platea di piccoli risparmiatori, che hanno trovato il modo di veder crescere a vista d’occhio il proprio gruzzoletto; con tutti i rischi che ciò comporta, come la brusca frenata e discesa delle quotazioni alla minima avvisaglia di inversione di marcia, quando l’ingordigia cede il passo all’impulso di passare all’incasso.

Il sospetto strisciante è che l’attuale fervore per i metalli preziosi possa alla fine risolversi in una bolla, come accaduto più volte in passato in seguito a eccessive e diffuse propensioni ad attribuire eccessivo valore a qualche novità, ieri commerciale, oggi tecnologica. Dalla bolla dei tulipani olandesi del 1633 [VEDI] a quella dot com di fine millennio scorso sino all’attuale per AI, la gente si fa contagiare dalla frenesia e dall’ingordigia di accedere a facili e immediati guadagni. Ma oggi la corsa all’oro, più che da parte dei cittadini, è in atto da parte delle banche centrali, ossia dalle stesse istituzioni, che anticipano scenari futuri.
Per quanto concerne l’argento, c’è un poderoso freno all’acquisto speculativo all’interno dell’UE, in quanto gravato, a differenza dell’oro, dall’IVA. Tant’è che prosperano in Svizzera aziende che ne propongono l’acquisto come investimento, esente da Iva, con la custodia nei propri caveau; con l’inconveniente però, del mancato possesso fisico. Ciò lascia spazio a parecchie perplessità sulla trasparenza di questi investimenti, memori di come la discrepanza tra oro in giacenza -e garante delle banconote emesse- abbia già inficiato nei secoli il cammino dell’oro dagli orafi alle banche, anche per l’avversione ai controlli esterni (auditing) da parte dei prestatori di soldi. Si pensi a tutte le illazioni sulla reale consistenza dell’oro detenuto nel forziere pubblico di Fort Knox negli USA, soggetto ad ispezioni superficiali e saltuarie, anziché a veri e propri auditing. Si pensi inoltre al nostro stesso oro, per quasi la metà (43%) depositato in America a titolo precauzionale alla vigilia dell’ultima guerra. Oro che invano stiamo chiedendo di riportare in patria. Col vizio ormai diffuso di sanzioni e sequestri, se sgarriamo dai dettami americani, il rischio è che il nostro oro cambi proprietario al tocco di un tasto su un remoto computer.
Un’ultima considerazione. Per quanto si sfruttino all’osso le miniere e si incentivi il riciclaggio, oro e argento, alle quotazioni attuali, sono quantitativamente ben lungi da fungere da sottostante dell’enorme volume delle transazioni internazionali, a meno di farne salire le quotazioni a livelli assurdi, con parallela svalutazione delle divise. Una robusta svalutazione del dollaro, però, rientrerebbe tra le ondivaghe mire di Trump, considerando che inflazione e svalutazione sono amiche dei debitori. Ma quando si tratta di Trump, ormai lo sappiamo, è difficile capire cosa si agita nella sua testa e quindi trarne previsioni.
Marco Giacinto Pellifroni 19 ottobre 2025