Fuor di cornice (ovvero quel che spesso non si dice): sul NATALE

Se uno nasce il 29 febbraio e tuttavia desidera festeggiare negli anni non bisestili, anche lui, come tutti, il compleanno, quando invita gli amici è normale che precisi come stia festeggiando, poniamo, il 28 febbraio o il primo marzo, dato che proprio il 29 non è previsto dal calendario. Fa come se lo fosse, ma non lo è. Non ha niente da nascondere, e lo dice. Anzi, è la prima cosa che dice. Solo dopo taglia la torta e stappa lo spumante.

Perché allora in generale dal papa giù giù fino al parroco di campagna, certe cose che sarebbe logico e naturale dire non le hanno mai dette se non quando si sono proprio visti costretti?
Una di queste riguarda il Natale.
Del 25 dicembre come una data solo simbolica e convenzionale ne parlano in modo più aperto da qualche anno a questa parte, giusto vedendosi messi alle strette da Internet.
Ancora adesso comunque l’impressione è che nove persone su dieci sgranino gli occhi:
“Come sarebbe? Gesù non si sa quando è nato?”
No. Non si sa. E siccome è interessante capire come mai una cosa che non si è mai saputa, tutti hanno creduto di saperla, vediamo quale può essere la ragione.

Intanto si può sicuramente affermare che indicare una data precisa relativa a qualcosa o qualcuno dà un’idea di certezza, e la Chiesa ci tiene a essere fonte di certezze, perché assume il ruolo di una madre rassicurante.
Nella fattispecie se si ammette che l’anno di nascita di Gesù si situa tra il 4 e il 7 a.C., che la data ha la probabilità di essere il 25 dicembre tanto quanto 1 giorno su 365, che l’ora è più facilmente del mezzo pomeriggio che della mezzanotte, ecco come il sospetto che dal “non si sa quando” si possa passare per cortocircuito al “non si sa dove“, col rischio di dover aprire una questione che finora è stata solo appannaggio di teologi, biblisti e porporati, e da cui potrebbe apparire sempre più sospetta e calcolata la nascita di Gesù Figlio di David proprio là dove nacque, appunto, re David, come a voler a tutti i costi mettere in evidenza un legame di parentela e di regalità che si traduce in un legame di continuità tra Antico e Nuovo Testamento.

Così quello che prima solo si sussurrava, ora si comincia a dire a voce più alta: “Sì, forse Gesù è nato a Nazaret”.
Per Gesù non cambia niente, per la sua divinità e per chi ci crede neppure, ma per la Chiesa dare per incerto ciò che ha lasciato credere senza metterlo in dubbio per una sequela di secoli, cambia parecchio, proprio nel senso della credibilità.
Anche perché essa sa che a quel punto diventerebbe quasi automatico giungere al “non si sa come” (con Maria vergine ante, in e post partum alla maniera cattolica, o vergine solo ante ma non in e non  post alla maniera protestante) e, magari, sebbene l’esistenza del Gesù storico sembri praticamente certa, al “non si sa se” sull’esistenza del Gesù della teologia.
Indicare il giorno 25, significa sovrapporsi, e quindi col tempo cancellare con l’evento del Natale di Gesù, un altro evento concorrente, nello specifico la festa del Sol Invictus, istituzionalizzata dall’imperatore Aureliano nel 274 d.C., la quale a sua volta si sovrapponeva ai festeggiamenti che in vari modi venivano fatti per segnare la fine di un periodo dell’anno in cui l’oscurità aveva continuato giorno dopo giorno, a cominciare dal solstizio di giugno, a togliere spazio alla luce. Era il rinascere della speranza.

Si trattava in questo secondo caso di feste pagane spesso spontanee, mentre nel primo caso addirittura di una festa voluta dall’imperatore, vale a dire da una autorità alla quale la Chiesa andava sempre più opponendosi nella lotta per stabilire chi, tra Stato e Chiesa, doveva contare di più.
Indagando un po’, si viene a scoprire che se nel Vangelo si dice che Gesù era di discendenza davidica, si aggiunge però che lo era da parte di padre.
Ma Giuseppe essendo un padre putativo come poteva trasmettere il suo legame di sangue?
Potrebbe sorgere il dubbio che la nascita di Gesù a Betlemme di Giuda sia una costruzione per certificare maggiormente una tale discendenza ai maggiormente distratti.
Città più credibile potrebbe essere Nazaret, la quale non presenta il problema della distanza.
Infatti è un po’ difficile credere che Giuseppe e Maria siano andati da Nazaret a Betlemme percorrendo quelli che oggigiorno con la superstrada “Yitzhak Rabin” sono 156 km.

Visto che poi avrebbero dovuto ritornare a Nazaret, i km sarebbero diventati più di 300… e misurati con la rete stradale attuale, comoda e diretta… Figuriamoci con quella di duemila anni fa!… E solo per aggiungere un nome sul registro del censiti!
Un disagio del genere richiesto ai tanti che avrebbero dovuto dal loro luogo di residenza raggiungere il loro luogo di nascita, abbandonando per giorni e giorni casa e lavoro (ed eventualmente animali), anche solo per un fatto economico, aggravato pure dalle spese che due persone avrebbero dovuto accollarsi per vitto e alloggio, sarebbe bastato a provocare una rivolta da far traballare il seggio di Cesare Augusto dall’altra parte del mare, cosa di cui il medesimo proprio non aveva bisogno, con tutti i problemi che già gli ebrei, riottosi com’erano, gli procuravano per altre questioni!
A questo punto che Giuseppe non fosse un anziano con barba e bastone ma un adolescente  diciottenne è pressoché certo, e che asino e bue presso la mangiatoia non ci fossero, che la stella cometa non fosse una cometa e nemmeno una stella, è certo del tutto.
Se continua a sembrarci strano è solo perché troppo a lungo si è omesso di apportare correzioni alla rappresentazione più conveniente per confermare quei dogmi che, in quanto dogmi, non possono più essere smentiti.
A differenza di chi nasce in un anno bisestile, che è costretto a festeggiare in un altro giorno. E lo dice.
FULVIO BALDOINO

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