Frutta secca?

Frutta secca?
Sta tornando in auge dopo alcuni anni di criminalizzazione
 

Frutta secca?

 Sta tornando in auge la frutta secca. Dopo alcuni anni di criminalizzazione (“Fa venire i trigliceridi!!”. “È grassa, troppo. Ed è spesso salata e fa male!!”) qualche nutrizionista ha scoperto che la frutta secca contiene un sacco di nutrienti pregiati che in realtà fanno benissimo (milioni di scoiattoli non possono sbagliarsi…).

In ogni caso il Piemonte meridionale, valle Bormida, nella zona che va da Saliceto fino a Cortemilia e oltre, ha riscoperto (già da qualche anno) la nocciola. O forse l’ha riscoperta, o forse non se l’è mai dimenticata. Certo: da loro c’era un certo Ferrero ad Alba, che in quanto a nocciole poteva dir la sua. Ma non basta: c’erano agricoltori, consociazioni, territorio e mercato. Quattro elementi indispensabili per avviare una filiera di volume apprezzabile.


Per me resta un mistero per cui nella zona savonese della Valle Bormida non siano rinati i noccioleti. O ce ne siano pochissimi. Ma non me ne intendo, e aspetto che qualcuno me la spieghi.

Le noci, le nocciole, le mandorle, sono la frutta secca più frequente e storicamente presente. Pare addirittura che le noci servissero, in illo tempore per la produzione di olio, pregiato, ma per motivi logistici non di più rispetto a quello di oliva, presente e frequente, ma vicino al mare.

Non so dove ho letto che il noto fra Galdino di manzoniana memoria, raccoglieva noci casa per casa proprio per fornire di olio il convento.

La frutta secca è sempre stata un companatico ricco: pane e noci mangiare da signori, si diceva un tempo (si rispondeva anche: noci e pan, mangiar da can. Come dire che se le noci son poche, allora non è un gran mangiare). E sorprende sempre la consapevolezza che gli antichi avevano sul cibo, benché non avessero nessun nutrizionista che dicesse loro cosa mangiare.


Cibarsi dunque di frutta secca è un’ottima cosa. Basta ragionarci un poco, però, per capire che non possiamo pretendere di finire ogni pasto con una dozzina di noci, di nocciole o di altri semi del genere. Sono veramente troppo nutrienti. Diciamo pure che possono sostituire la grande parte di un pasto, soprattutto la quota di grassi e di proteine. Per questo “noci e pane” è un pasto completo.

E d’inverno, è importante ricordarlo, dopo aver mangiato la frutta secca si gettano le scorze nella stufa, e con questo ci scalda anche: un frutto veramente completo (volendo esagerare, le bucce del mandarino sopra, così si sprigiona quel profumo di inverno, di casa e di Natale…).

Le nocciole entrano infine in tante preparazioni dolci classiche: dal torrone, al cioccolato, alla torta di nocciole, ai dolcini alla nocciola, al cioccolato gianduia (per ovviare al costo troppo alto delle fave di cacao, un pasticcere torinese, pare, provò a sostituire queste fave con le nocciole nostrane, scoprendo questa meraviglia della pasticceria mondiale che è il gianduia).


Concludo qui condividendo con voi, miei venticinque affezionati lettori, una ricetta antica, ricordata a brani dalla memoria anziana di una mia anziana zia, e per questo un po’ lacunosa. Ma varrà la pena provare… Abbrustolire una decina di nocciole, pelarle, quindi quando fredde, pestarle nel mortaio con calma, aggiungere olio, se si ha. Se no burro. Se no un po’ di strutto. Ma se non si avesse grasso, allora andrebbe bene anche così. Si facciano delle tagliatelle, si cuociano, e si condiscano poscia con queste nocciole abbrustate e ben macinate. Se uno l’avesse sarebbe bene mettere un po’ di formaggio. O anche delle olive sotto sale. O forse un’acciuga. Insomma: quel che uno ha, bisogna valutare se ci può star bene o meno. Perché le ricette di una volta erano fatte così: quel che si ha, si cucina e si rende buono. E se non basta, la fame farà il resto.


A titolo propositivo, lancio anche l’idea (che non so quanto sia inedita) di preparare le tagliatelle con dentro una buona parte di nocciole macinate, sempre abbrustate e fredde. Questa volta il condimento tradizionale potrebbe essere farina bruciata sulla stufa, resa color della nocciola, allungata con latte, burro e formaggio (anche questo condimento l’ho raccolto da una memoria di tanti anni fa).

Onore insomma, alla nostra cara, vecchia e buona frutta secca.

 Alessandro Marenco

 

 

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