Fra turchi e curdi

 Fra turchi e curdi

Quando ci vorrebbero intelligenza e competenza

 Fra turchi e curdi

Quando ci vorrebbero intelligenza e competenza

 Il virus del manicheismo in politica infetta un po’ tutti e si manifesta in tutte le questioni cruciali: da una parte i cattivi e dall’altra, necessariamente, i buoni; da una parte il torto e dall’altra, necessariamente, la ragione. Infetta un po’ tutti ma è ospite stabile del pensiero unico, del pensiero convergente, lineare, apparentemente logico e razionale ma  di una razionalità povera, primitiva, regredita all’infanzia della ragione, incapace di considerare più di una variabile alla volta. Fra i principi basilari della logica  primeggia quello di non contraddizione: A non è non-A, questo oggetto è bianco o non è bianco e non avrebbe senso sostenere che o è bianco o è nero. Allo stesso modo non ha senso concludere che fra due parti in conflitto se una ha ragione l’altra debba avere torto o viceversa.  È molto più probabile che abbiano torto tutte e due o, se vogliamo pensare positivamente, che tutte e due abbiano ragione.  Detto questo se si è parte in causa si farà una scelta assumendosene tutta la responsabilità.


 Perché questa premessa pedante? Perché l’unanime condanna dell’”aggressione” turca alle milizie curde e l’altrettanto unanime solidarietà all’ipotetico “popolo curdo” mi sembra un chiaro esempio di manicheismo e di pensiero debole. Per tutta l’informazione, dalla Verità al Manifesto passando dal Fatto alla Repubblica  Erdogan è un tiranno e un farabutto e i curdi sono le vittime sacrificali di Trump e dell’occidente. E in coscienza mi sembra una colossale sciocchezza. Ho sentito addirittura uno, penso che fosse un personaggio in qualche modo autorevole, sostenere che non si può negare a una popolazione di 35 milioni il diritto di avere uno Stato. Un personaggio autorevole ma poco informato perché nel corso della loro storia millenaria i curdi non sono mai stati una popolazione unitaria; nomadi e guerrieri, insofferenti nei confronti di un potere centrale, restii a superare il modello dell’organizzazione tribale  si sono trovati a costituire delle enclave all’interno  dell’impero ottomano prima e della repubblica turca dopo, dell’Iraq, della Persia e della Siria, creando problemi in tutti questi Paesi, soprattutto quando la loro compagine statale ha presso più forma. Se, infatti, un approccio romantico ne può ammirare l’aspirazione alla libertà, realisticamente il risvolto della libertà sono l’anarchia e l’incapacità, comune a tutte le popolazioni nomadi, di stare al passo coi tempi. A tutto ciò bisogna aggiungere che  una buona parte dei territori montuosi del loro habitat facevano parte di un’area geopolitica in continuo assestamento, del quale ha fatto le spese l’Armenia storica, il cui popolo, quello sì, è stato vittima di un genocidio a seguito  dell’espansione musulmana,  soggetto a  continue deportazioni e stragi, compresa quella compiuta proprio dai  curdi nel biennio 1894-96.  


Quanto alla Turchia di Erdogan, in questi giorni in Occidente viene tacciata di essere uno Stato confessionale, e non è vero, e di violare sistematicamente i principi della democrazia e i diritti delle opposizioni. A parte la circostanza che la democrazia proprio dove è nata è diventata qualcosa di molto liquido, nel medio e vicino oriente  l’eredità colonialista, l’ipoteca religiosa, l’artificiosità dei confini  e le sovrapposizioni etniche si oppongono alle forze centripete che tengono uniti gli Stati e il centralismo autoritario è l’unico  ostacolo alla loro dissoluzione. Si è visto cosa è successo in Libia dopo la caduta di Gheddafi e cosa ha rischiato la Siria col tentativo criminale di far cadere Assad. L’Europa e gli Stati Uniti  non hanno ancora capito  che la pace e la stabilità passano attraverso  il consolidamento degli Stati, non con la retorica ipocrita della democrazia; ma forse l’hanno capito benissimo e per i loro interessi cercano di impedirlo alimentando il terrorismo quando fingono di combatterlo.  


L’uso del caso Regeni per punzecchiare l’Egitto, isolarlo e indebolirlo diplomaticamente e politicamente dovrebbe insegnare qualcosa:  l’ineffabile Fico, che già si era distinto in questa operazione ora smania per fare lo stesso con la Turchia.  Purtroppo anche in questo caso non è un semplice Fico che abbaia alla luna ma un governo che incautamente per seguire caninamente  gli altri si è spinto pericolosamente in avanti fino a far sue  le farneticanti proposte di sanzioni economiche contro la Turchia. Perché  forse Di Maio e Conte non avevano capito che la minaccia di non fornire armi ai turchi era una barzelletta, considerato che  dopo gli Stati Uniti Ankara ha il più formidabile arsenale militare dell’occidente  (vale a dire della Nato). Quando si tratta di sanzioni bisognerebbe cucirsi la bocca. Le sanzioni sono un’arma destinata a scoppiare nella mano di chi la usa, e gli italiani che hanno memoria di se stessi dovrebbero saperlo bene: se l’opinione pubblica italiana scivolò verso  uno sciovinismo aggressivo che se non spinse quanto meno incoraggiò Mussolini ad entrare in guerra fu proprio per le sanzioni comminate all’Italia nel ’36 dalla Società delle Nazioni. Le sanzioni  rinforzano il sentimento nazionale, convogliano il malessere interno verso l’affamatore esterno e c’è sempre il modo di aggirarle. 


I giornalisti possono dare a Erdogan  del Sultano, possono evocare il ricordo della sublime Porta ma sta il fatto che Erdogan tiene ben stretto il testimone di Kemal Atatürk, che la Turchia, pur fra molte contraddizioni, rimane il Paese islamico in cui nessuno si azzarda a riproporre la  sharia, in cui le donne sono avviate alla piena emancipazione, in cui laicismo e tradizione convivono  e sarebbe inimmaginabile un’ingerenza della religione sulla politica e sull’azione di  governo come quella che ci tocca subire in Italia. L’evoluzione del costume è avvenuta in Turchia in modo autonomo, non è stata imposta dall’Occidente, il che non significa affatto che la Turchia sia in qualche modo affine all’Europa o assimilabile all’Europa. Anzi, proprio perché è il risultato di un processo storico endogeno e non è culturalmente tributaria al colonialismo o al postcolonialismo, essa rimane un partner con cui trattare e non un servitore emancipato che si possa bacchettare se sgarra. Vicina ai Paesi dell’Asse, ebbe l’accortezza di mantenersi neutrale e la furbizia di allearsi con gli americani quando la guerra era ormai finita, passando così automaticamente nel campo dei vincitori. Entrata nella Nato non ha mai cessato la sua pressione sulla Grecia con la quale è impegnata in un conflitto latente – ma non troppo – che dura da quasi un secolo e che si è rinfocolato con l’irrisolta questione del gas nell’Egeo, motivo di fibrillazione in tutta l’area che coinvolge direttamente anche l’Italia. Insomma per una serie di motivi la Turchia è sì un prezioso alleato militare dell’Occidente ma è assolutamente incompatibile con l’Europa, e questo andrebbe ricordato a quanti ora vorrebbero, dissennatamente, defenestrare Erdogan e l’altro giorno premevano per il suo ingresso nell’UE (in primis Berlusconi).  Realisticamente, se la Turchia in Europa sarebbe un disastro altrettanto disastroso sarebbe inimicarsela perché si tratta  non solo di un alleato prezioso ma anche e soprattutto del principale garante di stabilità nel medio oriente. 


Recep Tayyip Erdoğan

In una situazione tanto complessa e per molti versi contraddittoria la nostra politica estera è affidata a uno che confonde il Cile col Venezuela e probabilmente non ha ben chiaro cosa sia o dove sia l’Anatolia. Né rassicura l’idea che c’è comunque un presidente del Consiglio che regge la barra: l’avvocato del popolo è uno specialista nel parlare senza dire nulla e ho l’impressione che fuori dalle pandette nella sua testa ci sia il deserto. 

E, per tornare ai Curdi e all’invasione della Siria, sarebbe bene ricordare che da noi si pretende, giustamente, che le minoranze rispettino le leggi e si uniformino ai nostri valori. Proviamo a immaginare quale sarebbe la nostra reazione  se quelle minoranze  pretendessero di costituirsi in milizie armate, di occupare militarmente vaste zone del Paese e di compiere impunemente attentati contro stazioni di polizia, chiese e cittadini inermi. Non mi risulta che gli esponenti politici curdi abbiano mai isolato o denunciato il PKK, il partito dei lavoratori curdi, sulla cui vocazione terroristica ci sono pochi dubbi. E sul debito di riconoscenza che dovremmo avere per il contributo curdo alla lotta contro l’Isis mi permetto, ancora una volta, di ricordare che fra due parti in lotta non è detto che una sia buona e l’altra cattiva: possono essere entrambe cattive e pericolose o magari, chissà, a loro modo buone tutte e due.


E infine, piaccia o no, è obbiettivo interesse non degli eurocrati ma dell’Europa vera, e principalmente dell’Italia, che si rafforzino le compagini statali  del Maghreb – penso ovviamente alla Libia -, dell’Egitto, della Giordania, della Siria, considerato che la soluzione del problema palestinese non è dietro l’angolo  e che Israele deve trovare un ubi consistam in loco  piuttosto che nell’amico americano. Il consolidamento dell’area è di per sé una barriera naturale, non artificiale e forzata, di fronte ai flussi migratori e crea un effetto contagio su tutta l’Africa, che oggi è preda dell’imperialismo cinese. Putin pare che l’abbia capito, a Bruxelles regna una grande confusione.

Sconcertano di fronte alla complessità della crisi siriana il semplicismo e la rozzezza delle analisi della stampa e dei politici italiani. Ora farneticano sull’espulsione della Turchia dalla Nato, la stessa Turchia che a lasciarli fare sarebbe entrata in Europa e avrebbe portato a casa nostra il magma mediorientale, ancora ben lungi dal solidificarsi. Ma stampa e politici italiani ragionano per schemi, sono intimamente manichei e la realtà è troppo complicata per loro.


Erdogan e Putin

Una complessità che non sfugge ai principali attori della politica mondiale: Putin, che riesce a mantenersi alleato dei due avversari storici e si muove con una cautela che non è frutto di incertezza ma di una visione strategica; Trump che saggiamente evita di impantanarsi nella palude mediorientale resistendo  alle pressioni dei democratici eternamente nostalgici del Vietnam.  Entrambi, a differenza della Cina – e di Israele – hanno tutto l’interesse  che quel magma si solidifichi, che il medio oriente si stabilizzi  e si presenti al resto del mondo con interlocutori validi. Dubito che Bruxelles o la Francia di Macron vogliano la stessa cosa. 

Per concludere

Fa specie che l’Europa abbia pagato i turchi perché facciano argine alla pressione migratoria  e che, dopo avere intascato i soldi, Erdogan minacci di spalancare le porte e lasciare che una marea umana finisca per travolgerci. Mi viene da osservare che Erdogan si è preso un impegno destinato a gravare sempre più sul suo popolo e che i flussi migratori vanno semplicemente fermati  senza creare  in Libia, in Turchia o dove che sia delle polveriere destinate inevitabilmente a esplodere.


Erdogan e Trump

Anche l’Italia è stata oggetto del medesimo mercanteggiamento quando per quattro palanche e un po’ di flessibilità sui conti pubblici da spendere per guadagnarsi  consenso sulla pelle degli italiani, del loro futuro, della loro sicurezza, del loro welfare, è diventata la pattumiera dell’Europa. E quando i compagni hanno cominciato a piagnucolare lamentando di essere stati lasciati soli, a Bruxelles qualcuno ha ricordato loro che i soldi per tenersi gli immigrati se li erano presi. Quindi andiamoci piano con la storiella che il cattivo Erdogan ci ricatta: continuiamo piuttosto a essergli grati per aver fatto entrare in nome del buonismo imposto dall’Europa siriani,bengalesi, afgani e tutti quelli che si incamminano verso il miraggio di un benessere a buon mercato per poi tenerserli a casa sua. L’altra strada, quella di andare al bandolo della matassa, fermare i reclutatori, le Ong, i preti di tutte le confessioni, le “agenzie di viaggio” che organizzano le traversate, bloccare le transazioni e spezzare i collegamenti fra punti di partenza e punti di arrivo, quella non si è voluto prenderla. Al contrario: si è imposto ai media di trasmettere il messaggio ridicolo della fuga da guerre, da fame, da disperazione, da cataclismi ambientali. Meno ipocrisia, di grazia.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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