Fra sardine e coccodrilli

Fra sardine e coccodrilli
Rivisitazione del passato e piani per il futuro
nella casa dei compagni

 Fra sardine e coccodrilli

Rivisitazione del passato e piani
per il futuro nella casa dei compagni

 Troppo comodo, come fa Mattarella nell’anniversario del 9 novembre, inneggiare all’Europa senza più muri, strizzando così l’occhio all’invasione – o come altro si vuol chiamare un’immigrazione di massa illegale e predatoria -, chiodo fisso del regime, della sinistra, dell’establishment europeo e mondiale. 

Il Presidente Mattarella

Troppo comodo e soprattutto ambiguo: un muro per impedire l’ingresso è la porta di casa, un muro per impedire di uscire è una galera. Quale, appunto, era il paradiso comunista, la perla dell’est Europa, quella DDR che era, dopo l’Urss, il più prezioso alleato del Pci, il partito di Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta e di quell’Occhetto (con due c) che si era trovato col cerino in mano quando cadde il muro di Berlino. Era arrivato il momento della resa dei conti, quello in cui si sarebbe dovuto aprire gli archivi, scoperchiare il vaso delle complicità, trovare la fonte dei flussi di denaro che prendevano la direzione di via delle Botteghe Oscure, portare allo scoperto la rete spionistica e l’organizzazione paramilitare del partito e del sindacato che ne era l’appendice; ce n’era abbastanza  per cancellare in tribunale ogni traccia di comunismo avviando procedimenti per alto tradimento e attentato alla sicurezza dello Stato: l’azione penale è o non è un atto dovuto? Infatti si è visto. I magistrati peggio delle tre scimmiette non si scomposero: sordi, ciechi e in silenzio. I dirigenti poterono disfare le valigie, poi si affrettarono a cambiare nome al partito e sono ancora qui, loro e i loro nipotini. E quando un giornalista Rai ha chiesto al titolare del neonato dicastero degli Affari Europei in quota Pd che cosa pensasse degli amorosi sensi fra la nostra sinistra e il regime comunista tedesco, questi ha candidamente risposto: io non c’ero e se c’ero giocavo con le macchinine. Ma che il partito in cui milita non è nato sotto un cavolo non gli sfiora il cervello? 


Achille Occhetto

Ma a sinistra si fa anche di peggio. Stravolgendo completamente la realtà si dà a intendere che la caduta del muro di Berlino, che segnò la fine del socialismo reale, è merito del Pci di Berlinguer.  La base storica di questa tesi strampalata sarebbe nella circostanza che l’erede del Migliore avrebbe parlato di una ‘via italiana al comunismo’, icasticamente rappresentata nel simbolo del Pci, con le bandiere italiana e quella rossa con la falce e martello affiancate.  Tanto basterebbe per tirarsi fuori dai crimini di Stalin, che poi sono crimini  non di un singolo uomo ma del sistema, dal servilismo dei satelliti, dal ruolo di quinta colonna al servizio di una potenza straniera, dalla tradizione internazionalista – vale a dire antipatriottica – sperimentata nella lotta partigiana condotta a fianco delle truppe slave col comune obbiettivo di strappare all’Italia le sue regioni orientali.

Abbiamo sentito da Bologna Zingaretti esultare per la bella sorpresa, dice lui, di una piazza mobilitata per opporsi alla presentazione della candidata della Lega. Perché secondo i compagni è normale che venga contestata la possibilità che ci sia un competitor elettorale, perché è normale che ci si opponga alla presenza di un avversario politico e che gli si impedisca di parlare. Mi chiedo allora in cosa quella piazza differisca, riguardo ai metodi e alla concezione della democrazia, dal fascismo del quale lo stesso Zingaretti agita il fantasma evocando il “pessimo ricordo”  del baratro nel quale gli “altri anni Venti” avrebbero fatto precipitare l’Italia. Non è mai, dico mai successo in questi settantadue anni di storia repubblicana che un comizio, una manifestazione, un raduno di comunisti venissero in qualche modo disturbati contestati impediti. Mai. Né esiste la possibilità che simpatizzanti e militanti della Lega o di Forza Italia o di Fratelli d’Italia né delle formazioni più radicali di destra si infiltrino nelle conventicole dei compagni, assaltino le loro sedi, strappino i loro manifesti, organizzino “contromanifestazioni”, come fanno puntualmente i compagni. 

“Sardine” a Modena

Fatto si è che dove non arriva la persuasione subentra l’intimidazione. Il potere rosso in Emilia non è tanto sostenuto dall’entusiasmo canoro di Bella Ciao, la canzonetta che ha preso il posto dell’Internazionale, ma dall’atavica e mai sopita paura della mattanza che insanguinò il triangolo della morte, paura che quella canzonetta intende risvegliare.  L’Emilia-Romagna beneficia della posizione geografica, che ne fa parte integrante di un’area privilegiata del Paese, si avvale della laboriosità e dello spirito di iniziativa dei suoi abitanti ma sarebbe azzardato attribuire  il merito di un suo presunto benessere alla buona amministrazione della sinistra; semmai un relativo benessere, ormai logorato, c’è stato nonostante la sinistra, nonostante lo strapotere delle cooperative rosse, nonostante il clientelismo e la rete del potere rosso che copre tutta la regione, quella rete che ha reso possibile l’infamia di Bibbiano. Ma quand’anche le amministrazioni locali emiliane e romagnole fossero la realizzazione del buongoverno dipinto dal Lorenzetti questo non giustificherebbe la pretesa di mettere a tacere gli oppositori secondo lo schema “i fascisti non debbono parlare”. Se volessi fare il difensore d’ufficio del Ventennio ricorderei che nessuno, con Mussolini  capo del governo, ha mai nemmeno tirato un sasso contro la sede della casa editrice Laterza né risulta che Benedetto Croce abbia mai ricevuto missive oltraggiose o buste con proiettili dentro; potrei anche ricordare che nel cuore del regime, nella scuola di mistica fascista, c’era posto per tutte le opinioni; potrei anche ricordare che Maria Montessori con la sua sperimentazione pedagogica conviveva tranquillamente con l’autoritarismo gesuitico, con lo spontaneismo e con l’educazione paramilitare. Preferisco rimarcare la solerzia degli ottusi funzionari più realisti del re impegnati a controllare a spiare a segnalare, senza fortunatamente riuscire a replicare il clima poliziesco della Germania nazista o della Russia comunista. La loro presenza mi basta per non rimpiangere il regime (non ho fatto riferimento ai processi e alle condanne, per altro lievi, inflitte ai sovversivi perché non esiste né è mai esistito Stato che tollera organizzazioni che hanno come scopo il suo rovesciamento o che sono espressione di una potenza straniera). Ma uno che oggi afferma che il suo partito deve trovare linfa e ripartire dalla piazza mobilitata per far tacere gli oppositori, una piazza per la quale chi non è con la sinistra è un fascista e in quanto tale non deve esistere, uno così non ha alcun diritto di evocare gli anni Venti del secolo scorso come un “pessimo ricordo”: un pessimo scenario è quello di un Paese nelle mani di quella piazza e di gente come lui.

Nicola Zingaretti

All’interno dell’apparente galassia della sinistra, dietro la quale si cela un unico centro di potere, ci si è ormai rassegnati alla perdita non solo della classe operaia ma di tutti i ceti produttivi del Paese. Nel pensatoio di quel centro di potere si sono lambiccati il cervello e dopo settimane di brainstorming pressati e angosciati dai sondaggi finalmente ecco l’insight!, si è accesa la lampadina: facciamo come a Hong Kong, organizziamo una bella protesta spontanea (l’ossimoro è voluto)! Lasciamo fare ai ragazzi (dovremmo dire: fingiamo che sia un’iniziativa dei ragazzi) ma non a quelli dei centri sociali, che sono quattro gatti, spaccano tutto e fanno arrabbiare la gente, ma agli studenti, ai ragazzini delle scuole medie che a scendere in piazza si divertono un sacco. Poi ci mettiamo dentro anche i centri sociali perché se c’è anche qualche picchiatore va bene lo stesso, così facciamo vedere che si fa sul serio. 

Facciamo passare l’idea che la Lega minaccia il nostro benessere, la nostra rete di associazioni, i nostri circoli, la nostra peculiarità, la nostra identità partigiana e antifascista. Salvini è un pericolo, Salvini va fermato, alla deriva autoritaria opponiamo la diga delle nostre piazze stipate come sardine!

Non si è mai vista una piazza che si mobilita non contro il potere costituito ma per difenderlo dal rischio del giudizio elettorale, una piazza che si mobilita per tappare la bocca all’opposizione, una piazza che non si mobilita per la democrazia ma contro la democrazia. O meglio, piazze così si sarebbero potute vedere nella Cina di Mao, nella Germania nazista o nella Russia sovietica e, se ce ne fosse bisogno, si vedrebbero nella Corea del nord: niente di più orribile delle organizzazioni del Partito Unico che arruolano giovani e giovanissimi contro i dissidenti, contro chi minaccia l’ordine garantito dal Caro Leader, dal Piccolo Padre, dalla Guida Suprema o dal Führer. Ho ascoltato con raccapriccio il giovanotto dalla lunga chioma ricciuta e il sorriso a 64 denti che finge di aver mobilitato Bologna via web, come ora si fa in tutte le piazze mondiali che si ribellano contro l’oppressione. Peccato che gli altri si mobilitano per difendere la libertà e scrollarsi di dosso il tiranno  e non per intimorire, impedire che gli altri parlino e che mettano in discussione  posizioni di potere inamovibili.  Ma  Annibale è alle porte, secondo il giovanotto, e tanto basta.  Che l’idea sia sua e di altri tre o quattro compagni di merende è una favola per bambini ma il punto non è che dietro ci sia o no il ghigno falsamente bonario di Prodi: prendiamo atto che in Italia le regole della democrazia non c’è verso di farle accettare. Prendiamo atto che per questori e prefetti è normale che una manifestazione sgradita debba essere oscurata da una contromanifestazione, che i divieti, le limitazioni, le regole si applicano e si impongono solo in una direzione, prendiamo atto che per i magistrati  è lecito che ci sia qualcuno che pretende di mettere a tacere qualcun altro. 

Matteo Salvini

Ma il Pd è impegnato in un’operazione di marketing, ha bisogno di facce nuove e nel pensatoio si è convinti che in questo momento l’adolescente tira. Ed ecco che lo si blandisce con l’esca del voto ai sedicenni, si inventa la storiella della chat per giovanissimi insidiata da un Salvini che si rende ridicolo tentando con un balletto di ingraziarseli;  ma loro lo spernacchiano perché non vogliono essere usati dai politici. Perché un’altra carta da giocare è proprio l’antipolitica, che dovrebbe portare fascine nel fuocherello della sinistra. Quindi, voilà, una bella piazza “spontanea”, di giovanissimi, senza bandiere, fuori dalla politica ma decisi a impedire che la Lega metta piede (ma ce l’ha già messo) in quell’Emilia che deve rimanere rossa come la Toscana. 

Ovviamente il messaggio, nemmeno tanto subliminale, è quello della resistenza, della difesa della democrazia, dell’opposizione al linguaggio dell’odio, della violenza, dell’intolleranza della Lega e di Salvini, cioè del fascismo. Sono i nuovi anni Venti, le squadracce nere stanno per tornare con tanto di manganello e olio di ricino. E allora dai, anticipiamoli, facciamoli fuori noi prima che ci facciano fuori loro!

Ed è altrettanto ovvio che l’odio, figlio della paura di perdere potere e privilegi, è proprio loro, dei compagni, privi di idee, di ideali, di uno straccio di programma ma animati da un incontenibile rancore contro gli elettori, contro i lavoratori, contro il popolo vero da cui si sentono traditi e abbandonati.

Mi auguro di sbagliare ma sento che tira una brutta aria. 

  Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione  

 

 

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